LIBIA: IL COMANDO PASSA ALLA NATO. La Turchia chiede maggior coinvolgimento dei Paesi arabi

Pubblicato il 23 Marzo 2011 in da redazione grey-panthers

Le aperture

Il Corriere della Sera: “Gheddafi resiste, in campo la Nato. Il Rais arringa la folla davanti al bunker: resto qui e vinceremo, noi ridiamo dei missili”. “Sarkozy cede, accordo con Obama sul comando dell’Alleanza. Il gelo della Germania. Berlusconi soddisfatto della svolta”.

La Repubblica: “Libia, entra in campo la Nato. Nel pomeriggio dibattito al Senato, Pdl e Lega divisi sulla mozione. Napolitano spinge per un voto unitario. D’Alema: grave che Berlusconi non venga in Aula”. A centro pagina: “Sì alla prescrizione breve, salterà il processo Mills. Primo ok in Commissione. Il Pd: norme ad personam”.

La Stampa: “Libia, sì all’intervento della Nato”. “Accordo vicino tra Obama, Sarkozy e Cameron per passare il comando all’Allenza. Gheddafi riappare fuori dal bunker: Berlusconi tentato dall’idea di mediare con il raiss”.

Il Giornale: “Ha vinto l’Italia. Come chiesto dal nostro governo il comando delle operazioni in Libia passa alla Nato. Commissariata la Francia. America, Inghilterra e Turchia si ribellano a Sarkozy”.

Il Riformista, con foto di Berlusconi che abbraccia Gheddafi: “Nostalgia canaglia. Il Cavaliere ‘addolorato’ per Gheddafi vuole fermare il prima possibile i bombardamenti e provare a ridare all’italia un ruolo di mediatore col rais. Che intanto prosegue la controffensiva sul terreno. Usa, Francia e Gran Bretagna raggiungono un accordo sul comando Nato”. A centro pagina: “L’incubo black out in Italia. Un documento governativo esplora gli effetti di una crisi energetica sul nostro Paese”.

Libero: “Sarkò manovra la svolta libica. Sei mesi fa un uomo di Gheddafi si consegna ai servizi francesi e con loro organiza l’insurrezione di Bengasi. I documenti segreti che svelano la trama”.

Anche il Corriere della Sera parla di trame, ma di diverso segno. A centro pagina: “Allarme attentati nell’informativa dei servizi inglesi inviata anche all’Italia. L’intercettazione che agita gli 007. Libici al telefono: attaccare in Occidente per il Colonnello”.

Il Foglio: “Obama riduce i raid e spinge la guida della missione verso la Nato. Il capo della Casa Bianca porta Sarkozy e Cameron sulla posizione italiana. La Germania si ritira dal Mediterraneo”. Di spalla: “La palude di Tripoli: così l’asse Roma-Ankara-Washington cerca di uscire dallo stallo libico. Il Cav trova una sponda in Turchia per rilanciare la guida militare della Nato e il ruolo diplomatico dell’Onu”.

Il Sole 24 Ore: “La scelta nucleare slitta di un anno. Il governo decide una moratoria del piano per individuare i siti delle centrali. Al consiglio dei ministri di oggi lo stop al decreto. A Fukushima torna l’elettricità nei reattori, ma nell’area è emergenza radiazioni”. L’editoriale di Guido Gentili è titolato: “L’importante è prendere una decisione”.

Il Fatto quotidiano: “Furbata del governo: nucleare rinviato di un anno e poi si ricomincia. Motivo in più per sostenere il referendum”. Il titolo più grande è per la Libia: “Bossi bacia la mano a Gheddafi. Mentre i nostri piloti vanno in guerra, la Lega punta sul rais e detta le condizioni a Berlusconi: blocco navale contro i profughi e rispetto degli accordi su gas e petrolio previsti nel trattato”.

Libia e Nato

“Obama strappa l’accordo sul ruolo della Nato”, titola Il Corriere della Sera, raccontando di tre telefonate cruciali dall’Air force One con il premier turco Erdogan, con il presidente francese Sarkozy e con il premier britannico Cameron. Obama ha ribadito che la Nato deve avere un “ruolo chiave”. Obama dunque avrebbe convinto Sarkozy e “la triade Parigi-Londra-Washington” non dovrebbe più monopolizzare il comando, spiega il quotidiano. Parigi fino all’ultimo ha tirato nella direzione opposta. E il ministro degli esteri Juppe ha tentato di imporre non un comando unico della guerra ma una “cabina di regia” e di controllo politico composta dai vari ministri degli esteri, che dovrebbero incontrarsi periodicamente in tre capitali. Nelle stesse ore la Germania annunciava il suo ritiro dalle operazioni Nato in Mediterraneo.
Sullo stesso quotidiano, in un retroscena, si racconta come l’alleanza atlantica abbia sfiorato la rottura, e come il segretario generale della Nato Rasmussen sia stato protagonista di uno “sfogo”, chiedendosi “per quale motivo la Nato dovrebbe continuare ad esistere così com’è”, con una struttura “così estesa e articolata nel comando”, “se poi i Paesi membri non sono intenzionati ad usarla”. L’accusa era diretta alla Germania (“nazione che ospita gli Awacs Nato” e “fornisce il 40 per cento degli equipaggi”, ma non è disposta a lasciare che l’Alleanza utilizzi quei mezzi) e contro la Francia (“é inconcepibile che una nazione recentemente rientrata nelle strutture di comando integrate della Nato oggi non voglia utilizzarle per una operazione nella quale è già impegnata”).

Libia e Turchia

Secondo Il Foglio Berlusconi ha cercato una sponda in Turchia per rilanciare la guida militare della Nato e il ruolo diplomatico dell’Onu. Il quotidiano ricorda che l’unico governo dell’Alleanza atlantica che gode ancora di qualche credito a Tripoli è proprio la Turchia.
Anche su La Stampa si scrive che Ankara ha chiesto maggior coinvolgimento dei Paesi arabi e che lo stesso Obama ha spinto per attribuire il coordinamento di cielo e terra al comando Nato in Europa, ricordando però che “la coalizione è più grande della Nato”. L’obiettivo, nelle parole dello stesso Obama, è che “dopo la transizione per il comando” gli Usa resteranno nella coalizione ma non la guideranno: “Non saranno i nostri aerei e navi ad applicare la no-fly zone”.
Sullo stesso quotidiano si spiega che il premier turco Erdogan conferma che non userà alcun mezzo armato, sebbene abbia dato segni d’apertura all’intervento Nato in Libia, purché di durata breve e con il coinvolgimento di Stati arabi. Quattro le condizioni di Erdogan all’intervento Nato: breve durata, minor coinvolgimento possibile di civili, libertà al popolo libico di decidere autonomamente il proprio destino, assicurazione che da parte delle potenze straniere non ci si approprierà delle risorse naturali libiche. La Turchia potrebbe mettere a disposizione mezzi navali e di terra per interventi di monitoraggio delle coste al largo di Bengasi. Il passo successivo è quello di andare a mediare a Tripoli per la successione a Gheddafi.
Tanto su La Repubblica che su La Stampa si riferisce della intenzione di Berlusconi di farsi mediatore e di tentare di convincere Gheddafi ad andare in esilio. Per La Stampa Berlusconi punta al più presto ad una fine delle operazioni militari e ad una successiva “trattativa di pacificazione”, con un ruolo attivo dell’Unione Africana nei confronti di Gheddafi per convincerlo a lasciare o a trovare una intesa.
Il Sole 24 Ore spiega che la Francia ha invocato l’avversione del mondo arabo alla Nato per lanciare l’idea di una cabina di pilotaggio politico: ne dovrebbero far parte tutti i ministri degli esteri dei Paesi della coalizione e i 22 della Lega Araba.

Libia e Servizi

Il quotidiano Libero ricostruisce invece la vicenda di un uomo di Gheddafi, Nouri Mesmari, capo del protocollo della corte del Colonnello, ricostruita attraverso i documenti della DGSE, Direzione generale sicurezza estera francese, che attesterebbero un ruolo di primo piano della Francia nelle rivolte in Libia. Mesmari sarebbe arrivato a Parigi ad ottobre, hotel di lusso, fila di auto blu fuori dall’hotel, riunioni nella suite: il 18 novembre parte per Bengasi una fitta delegazione commerciale francese, aziende varie e funzionari del ministero dell’agricoltura. Ma nel gruppo ci sarebbero anche – travestiti da businessman – elementi della sicurezza francese. A Bengasi incontrano un colonnello dell’aeronautica libica indicato dallo stesso Mesmari. Il Colonnello intuisce qualcosa, e il 28 novembre firma un mandato di cattura internazionale nei confronti di Mesmari, che in seguito chiederà asilo politico in Francia. A dicembre arrivano altri libici a Parigi, che avranno poi un ruolo fondamentale nella rivolta a Bengasi: tre uomini autorizzati dai francesi ad incontrarsi con Mesmari in un elegante ristorante, malgrado questi fosse agli arresti domiciliari in albergo. Anche a questo incontro sono presenti i funzionari dell’Eliseo e dirigenti del servizio segreto francese.
Il Corriere della Sera riferisce invece dell’allerta anti-terrorismo trasmessa dai servizi segreti inglesi alle intelligence dei Paesi coinvolti nell’intervento militare in Libia, secondo cui libici fedelissimi del rais e a volte “insospettabili” inseriti nelle comunità occidentali sarebbero intenzionati a combattere con “azioni contro il neocolonialismo”.  Il quotidiano sottolinea che ci sono state lunghi pedinamenti, numerose telefonate intercettate, dalle quali si evincerebbe che non si tratta di frasi captate causalmente, ma di un vero e proprio dibattito sviluppatosi dopo la risoluzione Onu.

Parmalat

La Repubblica dedica due pagine dell’inserto economia alle “barricate” ipotizzate da Tremonti con un pacchetto anti-stranieri che dovrebbe prendere il via oggi. L’obiettivo è difendere quattro settori considerati strategici come l’agro-alimentare, la difesa, le tlc e l’energia. Nel mirino le offensive di Edf su Edison e di Lactalis su Parmalat. Secondo La Repubblica l’obiettivo è di costringere Lactalis a sedersi al tavolo delle trattative per Parmalat, e soprattutto obbligare Edf ad un accordo soddisfacente per tutti, A2A e Roma comprese nella partita per il futuro della Edison. Il “lodo Tremonti” è ancora coperto dal segreto, ma indiscrezioni parlano di una riedizione della vecchia legge anti-Edf licenziata dal governo Amato nel 2001 per bloccare la scalata in Montedison. Il governo allora fissò al 2 per cento i diritti di voto per le società monopoliste all’estero (come Edf era in Francia). Edf, che era salita al 20 per cento del capitale, presentò il ricorso all’Ue e l’Italia venne condannata. Il decreto fu modificato – ricorda Repubblica – ed Edf accettò di dividere il controllo con le municipalizzate.

Mario Deaglio, su La Stampa, si sofferma sulla vicenda Parmalat, visto che ieri i francesi di Lactalis hanno acquistato oltre il 15 per cento di azioni di Parmalat, arrivando dunque a sfiorare il 30 per cento. “Rischio retrocessione per l’Italia” è il titolo. Deaglio spiega che gli imprenditori italiani sono “pieni di inventiva e di coraggio” quando si tratta d iinventare nuove prodotti, ma “non lo sono altrettanto” quando si tratta di “impegnare fino in fondo nelle aziende i propri capitali”. Per non fare il passo più lungo della gamba hanno spesso cercato la sponda in banche o investimenti pubblici, che ora però non possono più intervenire. E la Borsa sembra aver perso slancio. Inevitabile il confronto con la Francia, dove invece qualche anno fa, dopo un tentativo di scalata americana su Danone, si decise di creare una lista di imprese “irrinunciabili”, e di creare “una protezione molto discutibile ma applicata, in una forma o nell’altra, nei principali paesi ‘di mercato’, Usa compresi”.

Su Europa Giovanni Cocconi scrive che Parmalat “è un caso unico nel capitalismo italiano”, e “per fortuna” non è come Alitalia, nei confronti della quale si invocò la cordata di banche e imprenditori incaricati di “salvarla” dallo straniero, con il risultato che furono scaricati sullo stato i costi di una “azienda tecnicamente fallita”. In questo caso, se si ritiene “strategico” mantenere il marchio Parmalat in Italia, il nostro tessuto imprenditoriale deve “mettere mano al portafoglio e lanciare un’opa”. Se non è in grado di farlo, “inutile che faccia finta di esserlo”. Si chiede Cocconi se si sia sicuri che una norma che protegga le nostre aziende non finisca per mettere in fuga i pochi investitori
che ancora credono nelle nostre aziende.

Giustizia

Uno dei protagonisti della giornata parlamentare di ieri è stato Maurizio Paniz, deputato del Pdl e relatore in commissione giustizia alla Camera della proposta di legge sulla ragionevole durata dei processi, che prevede un emendamento ribattezzato “prescrizione breve” che è stato votato ieri: l’emendamento riduce i tempi di prescrizione per gli incensurati non ancora condannati con sentenza di primo grado. Per l’opposizione è una norma ad personam per difendere Berlusconi dai processi. A queste accuse Paniz replica sottolineando che la prescrizione breve non può riguardare i procedimenti del premier, in particolare il processo Mills: “Non ci può essere una sola persona – dice – che pensi che da qui al febbraio 2012 il processo Mills arrivi a una sentenza di primo, secondo o terzo grado. Mills si prescrive nella vigenza della normativa attuale.
Paniz è intervistato da La Repubblica: “Non è una legge per Berlusconi, e quella è la nipote di Mubarak”.

(Fonte: La Rassegna italiana di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)