Le aperture
Il Corriere della Sera: “Monti: liberalizzare subito. ‘Per la Rai datemi tempo e vedrete’. Creare occupazione, sull’articolo 18 nessun tabù. ‘Primo pacchetto entro il 23, disarmo delle corporazioni”.
La Repubblica: “Monti: la vera sfida è creare lavoro. Il premier a ‘Che tempo che fa’ esclude altre manovra e annuncia liberalizzazioni subito. Il Pdl replica: serve rispetto per il Parlamento”. E ancora le parole di Monti: “Ma l’articolo 18 non deve essere un tabù. Presto novità sulla Rai”. A centro pagina: “Cameron non si piega: niente Tobin Tax. Dal primo ministro britannico un nuovo schifatto all’Unione”.
Il Sole 24 Ore dedica il titolo di apertura e le prime pagine al tema del lavoro: “Da oggi le consultazioni con sindacati e imprese per discutere la riforma: al centro del confronto contratti, politiche attive e tutele. I giovani che non hanno né cercano impiego ‘costano’ l’1,7 del Pul”. “Idee e coraggio, non solo regole” è il titolo dell’editoriale.
La Stampa: “Monti: lavoro e articolo 18, discussione senza tabù. Il premier: ‘stop alle corporazioni’. ‘La ricchezza è un valore, se nopn è frutto di evasione’. Bersani: ‘Ma ora deve consultare i segretari di partito”.
Il Giornale: “Malinconico si dimetta”. Si parla di “vacanze pagate” al sottosegretario del governo Monti. “le vacanze pagate a sua insaputa. Il sosttosegretario del premier, chiamato a giustificarsi, è incappato in una serie di contraddizioni. E i ministri della ‘urgenza’ non hanno fretta di
pubblicare i loro redditi”. In evidenza, a centro pagina, con foto, un articolo di Vittorio Feltri: “Ma quanto piace a Monti andare in tv”.
Monti in tv
L’intervento televisivo di Mario Monti viene commentato da Curzio Maltese su La Repubblica (“Il cambio di passo che archivia Berlusconi”): “Intanto si capisce di che parla”, “si capisce che parla per informare e non per convincere, o sedurre, o blandire”, e “conosce le materie di cui parla”.
Vittorio Feltri, su Il Giornale (“Ma quanto piace al nostro presidente apparire in tv”) si chiede come mai l’apparizione di Monti da Fazio non abbia suscitato le proposte che aveva suscitato quando si annunciò la sua partecipazione a Porta a Porta. E poi scrive che al premier “piace apparire in tivù. Se c’è in giro una telecamera ne è attratto. L’ultima sua conferenza stampa, dopo l’approvazione della manovra, trasmessa da Rai1 in diretta, è durata quanto la Quaresima ha sforato i tempi prestabiliti, essendosi protratta per più di due ore, costringendo alla resa l’incombente Tg1.
Una analisi su La Stampa si sofferma sulla esibizione del premier: “E il professore alla fine bacchetta anche Fazio. L’esibizione tv consolida l’ironia accanto alla sobrietà. Un carisma che però può far breccia solo in un’élite”.
Partiti
Pier Luigi Bersani viene intervistato da La Stampa. Sulla situazione in Europa dice che occorre “accelerare sul fondo salvastati, redendolo credibile e dotandolo di risorse. Finché non saremo lì bisogna consentire maggiore possibilità di intervento alla bce”. Secondo punto: rilanciare sullo strumento degli eurobond; infine: “E’ ora che la finanza paghi qualcosa in più di quel che ha provocato. Insomma, una tassa sulle transazioni finanziarie va allestita”. Sull’Italia, “l forze che sostegnono Monti – che dovrebbero andare in Europa a dire che c’è un Parlamento anche qui e non solo in Germania – possono affermare: abbiamo il 5 per cento di avanzo primario e faremo il pareggio di bilancio nel 2013, cosa che non fa nessuno. Insomma: noi abbiamo dato”. Sul rapporto con Monti, “bisogna stabilire un metodo”, perché il premier “può trovare un rapporto diretto con i segretari dei partiti che gli consenta di rappresentare posizioni unitarie e nazionali su punti strategici”. “Penso sia ora che i leader dei partiti dicano esplicitamente e pubblicamente se sono disposti a convenire su una agenda da affidare, poi, ai gruppi parlamentari”.
Dei partiti italiani si occupa Ernesto Galli della Loggia, sulla prima pagina del Corriere della Sera. Scrive che essi “si trovano di fatto presi in una tenaglia: non possono decentemente augurarsi che il governo Monti fallisca, ma d’altro canto il suo successo segna l’inevitabile tramonto della loro forma attuale. E’ dunque incominciata per essi una corsa contro il tempo. Sono chiamati a cambiare il proprio modo d’essere, i criteri di scelta dei propri esponenti e dei propri rappresentanti nelle assemblee politiche. Ma soprattutto sono chiamati a cambiare il modo di governo del Paese, cioé la legge elettorale e il rapporto tra governo e parlamento. Secondo Galli della Loggia questo dovrebbe essere “il vero compito dei partiti” di qui alla primavera dell’anno prossimo.
Economia, lavoro
Le prime tre pagine de La Repubblica sono dedicate ad un dossier-analisi firmato da Alessandro Penati sulla lotta all’evasione, “una riforma a costo zero”. Secondo Penati la parola d’ordine nella azione di contrasto all’evasione dovrebbe essere “efficienza”: per questo, ricorda, una proposta utile sarebbe quella di calcolare ufficialmente e rendere pubblico il tax gap, ovvero la misura delle imposte dovute e non pagate ogni anno, come fanno, tra gli altri, Usa, Gran Bretagna, Svezia, Olanda. In Italia, secondo Penati, abbondano invece studi occasionali, invece che una misurazione scientifica dell’evasione. La lotta all’evasione non dovrebbe essere uno strumento per aumentare il gettito, ma per redistribuire il reddito a favore di chi le tasse le ha sempre pagate, e per questo Penati torna a proporre che il governo stabilisca ogni anno un livello obiettivo di pressione fiscale per poi restituire le imposte raccolte oltre quel livello nell’anno successivo. Necessaria è una maggiore efficacia del sistema fiscale, usando i tanti strumenti induttivi a disposizione: dal redditometro agli studi di settore, dalla tracciabilità del contante ai dati su attività mobiliari e immobiliari, a scopo statistico, per individuare i potenziali soggetti evasori. Integrando le banche dati ed evitando duplicazioni. Lo Stato dovrebbe rivelare ai cittadini i parametri utilizzati per analizzare i dati, in modo che ognuno possa sapere come il fisco valuterà la sua dichiarazione.
Sul Corriere della Sera un articolo di Lucrezia Reichlin si sofferma sulla condizione dell’economia tedesca a partire dall’enfasi data dalla stampa ai dati positivi sull’occupazione. Dice l’economista che questo dato non è sempre un buon indicatore, e che invece è il caso di vedere i numeri di quelle dimensioni che tradizionalmente anticipano l’andamento del Pil. Questi dati dicono che probabilmente anche in Germania la crescita nel quarto trimestre 2011 sarà negativa, e lo stesso nel primo timestre 2012. “La Germania insomma condivide il destino economico dei suoi vicini e proprio per questo dovrebbe avere interesse a una soluzione comune della crisi, anche se questo implicasse per Berlino un costo nel breve periodo”. Quanto ai numeri sull’occupazione, si fa notare come da qualche anno, iniziata la recessione, le imprese tedesche, invece che licenziare, hanno ridotto le ore lavorate per occupato. Questi dati “rivelano che il patto tedesco tra imprese e sindacati è profondamente diverso dal nostro”, che è invece paradossalmente più simile alla situazione degli Usa, dice la Reichlin.
Sullo stesso quotidiano il giuslavorista e senatore Pd Pietro Ichino risponde ad un articolo di Massimo Mucchetti di ieri sulla riforma del mercato del lavoro, in cui il giornalista chiedeva “chi paga” per i nuovi ammortizzatori sociali proposti dal senatore. Ichino risponde che le risorse “ci sono eccome”, solo che vengono oggi sprecate per misure come gli interventi di cassa integrazione a zero ore, che consisotno nel “differire” i problemi, perché per due o tre anni si fa finta che i lavoratori possano riprendere a lavorare nella stessa azienda oggi in crisi anche quando è certo che questo non avverrà mai. Se invece si offrisse un reddito anche più robusto di quello oggi offerto con la cassa integrazione e si riconoscesse che il rapporto di lavoro non c’è più, condizionando al reddito la ricerca effettiva di una nuova occupazione, si risparmierebbero risorse e ci potrebbe costruire un modello “nord-europeo”. Altro punto segnalato da Ichino riguarda la “ingente perdita che viene imposta alle imprese dal sistema attuale” che rende difficile e laborioso “sciogliere i rapporti di lavoro improduttivi”. Se si offrisse alla azienda una maggiore velocità in cambio di un trattamento complementare di disoccupazione, che l’azienda contribuirebbe a versare al lavoratore che ha perso il posto, si creerebbe un livello di sostegno alla disoccupazione paragonabile a quello dei Paesi scandinavi, dice Ichino.
Il Sole 24 Ore oggi offre una mappa degli strumenti oggi vigenti, molto diversi, per il sostegno al reddito e come assegni in caso di licenziamento. “Un puzzle di misure nate per essere transitorie, diverse a livello regionale e con accordi quadro”. Alla stessa pagina, il quotidiano di Confindustria propone uno schema sui meccanismi di sussidi in caso di licenziamento vigenti in Francia, Germania, Regno Unito, Danimarca e Olanda.
Internazionale
Il Capo del Pentagono Leon Panetta, in una intervista alla Cbs, ha parlato di Iran, rivolgendosi alle autorità di Teheran con queste parole: “abbiamo due linee rosse, non varcatele”. Poi, come spiega La Stampa, ha ricordato che la prima linea rossa è la produzione di un’arma atomica, e la seconda è il blocco della navigazione ad Hormuz. Lo ha fatto alla vigilia della partenza del presidente iraniano Ahmadinejad in America Latina: un viaggio per consolidare i rapporit militari, di intelligence ed economici, in Venezuela, Nicaragua, Cuba ed Ecuador.
Secondo la presidente della Commissione esteri della Camera Usa, Ileana Ros-Lechtinen, è il “tour dei tiranni” che minaccia gli interessi di Washington per via della presenza di cellule della forza Al Qods legata ai pasdaran in più Paesi del sudamerica. Il Corriere della Sera racconta peraltro che il Dipartimento di Stato Usa ha ordinato l’espulsione del console venezuelano a Miami, Livia Acosta Noguera, accusata di tramare con l’Iran. Nel 2006 era in Messico ed è qui che avrebbe iniziato una attività di reclutamento, nella quale sarebbero entrati anche personaggi iraniani vicini ai servizi segreti.
La Stampa ricorda che la diplomatica venezuelana fu accusata nel 2008 di aver collaborato ad attacchi informatici al sistema americano con diplomatici iraniani e cubani.
Sull’International Herald Tribune ci si occupa della prigione di Bagram in Afghanistan, dopo che il Presidente Karzai ha denunciato la scorsa settimana abusi in quello che è ormai il principale carcere statunitense. Karzai ha chiesto che gli americani cedano il controllo alle autorità afghane, per fermare eventuali abusi che siano stati commessi dalle autorità afghane stesse. E’ solo l’ultima delle occasioni di tensione con il presidente afghano, che, secondo il quotidiano, teme una sua emarginazione, come si è visto anche qualche giorno fa, in occasione della apertura di un ufficio dei Taleban in Qatar, dove si sarebbero dovuti tenere negoziati più o meno ufficiali. Karzai aveva manifestato la sua contrarietà, poi in seguito mitigata.
Sullo stesso quotidiano, una lunga lettera di Lakhtar Boumediene, il capofila di coloro che hanno citato l’Amministrazione Bush in giudizio per la detenzione a Guantanamo. Ha passato più di sette anni in quel carcere senza alcuna spiegazione, “sebbene il mio arresto fosse chiaramente infondato”, spiega l’ex prigioniero, che fu in custodia dal 2002 al 2009. Racconta anche che almeno 90 prigionieri sono stati liberati da Guantanamo, ma non hanno un posto dove andare: alcuni vengono dalla Siria o dalla Cina, dove rischierebbero la vita se tornassero.
E poi
Alle pagine della cultura del Corriere della Sera si recensice un libro di Maurizio Serra sulla Francia di Vichy, ed in particolare il “collaborazionismo” degli intellettuali nella Parigi occupata dai tedeschi. Il maresciallo Petain apparve ai francesi come colui che, garantendo l’indipendenza di una parte almeno del Paese, aveva salvato la Francia: il consenso estesissimo di cui godeva lo indusse a formulare un ambizioso progetto di “rivoluzione nazionale” che riformasse la società francese alla luce del trinomio “lavoro, famiglia, patria”. Il progetto riprendeva le tradizionali critiche dell’estrema destra al regime democratico e alla rivoluzione francese. Ma la Parigi controllata dai nazisti fu una città ricca di fermenti culturali e artistici: vi si pubblicarono libri importanti, come Lo straniero di Camus, e vi si rappresentarono opere teatrali di rilievo, proprio nelle ore in cui venivano distrutti migliaia di quadri di pittori considerati degenerati dai nazisti. Ma in quella situazione alcuni intellettuali francesi sposarono la causa del nazismo, visto come l’occasione per una estrema sfida alla società borghese. Drieu La Rochelle spiega di esser stato vicino al collaborazionismo non per collaborare ma per non essere nel gregge che “sudava paura e odio”. Più che una corrente vera e propria, gli intellettuali collaborazionisti impersonarono un insieme di aspirazioni, affiancavano alla simpatia per Hitler quella per Stalin, in una atmosfera di esaltato nichilismo.
di Ada Pagliarulo e Paolo Martini