Le aperture
Il Corriere della Sera: “Letta: basta o il governo rischia. Tensione sulla manifestazione di Brescia. Poi la scelta: niente ministri ai comizi e in tv”. In evidenza anche una intervista al capogruppo del Pdl al Senato Renato Schifani: “Schifani: l’esecutivo non cadrà sulla giustizia”.
A centro pagina: “Ipotesi di Saccomanni: sospendere l’Imu anche per le imprese”.
La Repubblica: “Stop a ministri in piazza e in tv. Letta: inaccettabile il comizio di Brescia. Il Colle al Pdl: rispettate i giudici. La prima decisione del governo in conclave: ‘Silenzio’ fino alle amministrative. Una commissione dell’esecutivo preparerà le riforme”. A centro pagina: “lavori ai giovni, pressing sulla Ue. Il piano del governo: investimenti per l’occupazione fuori dal deficit. Oggi Saccomanni all’Eurogruppo”.
La Stampa: “Letta: basta ministri in piazza. Duro confronto con Alfano: inaccettabili i fatti di Brescia, tenuta del governo a rischio. Il Quirinale: rispetto per le toghe. Oggi la requisitoria della Boccassini sul caso Ruby”.
Il Giornale: “Le sette bugie su Ruby. Dagli interrogatori mancati alle vittime che non ci sono: tutte le incongruenze di un processo che non sta in piedi”. “La Boldrini solidale con le donne del Pdl aggredite. Ma solo per finta”. A centro pagina, sul ritiro in abbazia: “Letta-Alfano, lite in ritiro”, “stop ai ministri in piazza e in tv”.
L’Unità: “Ultimatum di Letta al Pdl”, “duro scontro con Alfano sui ministri in piazza: ‘un’altra Brescia e tutti a casa’”. A centro pagina: “La sfida di Epifani: ascoltiamo la rabbia”. E poi: “E intanto al Cavaliere pensa solo ai processi”.
Il Fatto quotidiano: “I padroni della politica”, “vent’anni di finanziamenti privati: miliardi di lire prima, centinaia di migliaia di euro poi. Sempre gli stessi nomi pronti a intervenire trasversalmente con la destra e la sinistra: Della Valle, Benetton, Caltagirone, Romeo e tanti altri ancora”. Sotto la testata: “Governo Letta in convento, ma l’inciucio è senza pace”. E un richiamo all’intervento di Aldo Busi: “Volevo manifestare contro B. e gli squadristi”.
Politica
I quotidiani danno conto del tempestoso viaggio in pullman che ha portato i ministri del governo Letta all’abbazia di Sarteano, in cui il governo ha tenuto il suo “ritiro”. Come scrive La Stampa, nel viaggio tra Roma e l’abbazia di Spineto, sul pullman in cui viaggiavano presidente del Consiglio, il vice Alfano , i ministri Maurizio Lupi e Dario Franceschini, si è consumato un duro confronto, durato ben due ore, tra Letta e Alfano, per via della manifestazione tenuta dal Pdl a Brescia. Alla manifestazione Pdl in solidarietà a Berlusconi aveva infatti preso parte lo stesso Alfano insieme a Maurizio Lupi e a Gaetano Quagliariello. Si sono fronteggiate quindi le due parti: per il capo del governo, ministri ed esponenti avrebbero dovuto evitare di andare in piazza o in tv, a meno che l’evento non appartenga alla loro sfera di lavoro istituzionale. Ma, come racconta il Corriere, durante l tragitto “Alfano e Lupi non ci stanno: la linea del Pdl resta quella che è sempre stata: ci sono due piani politici, uno di governo e l’altro, quello di un partito che difenderà sempre e comunque Berlusconi dal presunto attacco dei magistrati come da qualunque altra cosa. Lo scontro è così acceso, a un certo punto, che Letta è costretto ad alzare il registro, sino ad avvertire che non si farà logorare, ed è sempre pronto alle dimissioni”. E secondo il quotidiano, il premier e il suo vice “sono privi di accordo ancora pochi chilometri prima di arrivare”. Alla fine arriva il compromesso sulla presenza di minisri in piazza e in tv, Alfano “concede qualcosa, ma solo fino alla fine del periodo elettorale, cioè sino alla data delle prossime amministrative”.
La Repubblica intervista il segretario Pd Guglielmo Epifani e riassume così nel titolo le sue parole: “’Il Pd ha arrestato la caduta, ma il correntismo va fermato, abolirò i caminetti dei big’”, “Epifani: traghettatore sì, ma senza limiti’”. Dice Epifani: “Il mio orizzonte è il congresso per ora. Ma nessuno mi ha posto limiti. La parola ‘traghettatore’ non mi offende, lo è chi aiuta a superare un ostacolo, una difficoltà. E il problema del Pd è superare la logica dello sconfittismo, uscire da questa sindrome: ci vuole coraggio per riprendersi un ruolo, ma i Democratici hanno tante risorse”.
Delle contestazioni della base per l’alleanza di governo con il Pdl (che Epifani definisce ‘governo di servizio’), il segretario dice: “C’è un disorientamento. E’ vero che si poteva puntare a un governo di profilo più istituzionale, che avrebbe messo noi democratici più al riparo. Ma per una forza politica al ‘dunque’, in una crisi così profonda della rappresentanza, passare dal governo tecnico di Monti a un governo istituzionale, avrebbe significato stare in seconda fila, avendone però le responsabilità dirette. E’ il momento in cui la politica, anche rischiando, deve metterci la faccia”. Sul prossimo congresso: “deve essere un congresso di discussione impietosa, coraggiosa, esplicita. Sulla divisione tra leadership e premiership ogni soluzione ha pro e contro”. Dove ha sbagliato Bersani? “Il punto di partenza delle nostre difficoltà è riconducibile alla campagna elettorale: abbiamo dato l’immagine di una forza rassicurante, perché un Paese in crisi va rassicurato. Però il Paese chiede anche una radicalità di cambiamento, e lì pur avendo le proposte, non le abbiamo fatte vivere con la forza necessaria”. Sui 101 franchi tiratori che hanno affossato la candidatura di Prodi alla Presidenza della Repubblica: “Il punto vero è che mancano le sedi del confronto. Più che i ‘caminetti’ ci vuole una direzione più snella e ristretta che sia un luogo politico di scelte”.
Su Il Giornale: “Pd già commissariato. Da Napolitano”. Si ricorda che oggi Epifani incontrerà il capo dello Stato, “suo grande elettore e sponsor dentro il partito”: “dovrà garantire lealtà al governo”, secondo il quotidiano. Per Il Giornale “non sarebbe bastato un nome qualunque a rassicurare Napolitano, ormai involontario commissario prefettizio del partito più sbandato della compagnia di Palazzo Chigi. Fondamentale una figura di pacificazione, ma soprattutto in grado di prendere in mano saldamente la guida del Pd”. Ma il suo compito “è talmente gravoso” che non potrà esaurirsi nei tre mesi che porteranno il Pd al congresso: del resto, lo stesso Epifani -si ricorda- aveva detto “per tre mesi non c’è bisogno che si rivolgano a me”. Dunque, secondo il quotidiano, Epifani sarà “il candidato da battere” al congresso di ottobre. Il quotidiano dà conto delle preoccupazioni al Colle per la situazione economica: perché se precipitasse, travolgerebbe il governo Letta. E in questo caso, non ci sono dubbi che gran parte del Pd, anche quanti all’assemblea sono rimasti freddi, guarderebbero a Renzi.
Diversa la lettura de La Stampa, che riprende le parole di Epifani: “La mia forza, che userò, è che mi sono dato un mandato a scadenza precisa di cinque mesi, portare il partito al Congresso”. Facendo così capire, secondo La Stampa, di non esser intenzionato a ricandidarsi perché – dice – “se pure darò il massimo, la mia forza sarà che non sto cercando altro. Non volevo questa nomina e l’ho accettata per questo periodo transitorio”. Ancora Epifani: “Noi dobbiamo sostenere il governo e intestarci la politica economica e sociale. Questa deve diventare la nostra forza. E quindi intestarci tutto ciò che riguarda il lavoro, dagli investimenti per l’occupazione ai fondi per le aziende, dal rifinanziamento della Cig agli integrati, fino alla detassazione delle nuove assunzioni”. Secondo La Stampa in pubblico Epifani attacca il nemico numero 1, accusandolo di indebolire l’azione dell’esecutivo, ma in privato parla dell’atteggiamento del suo partito che “invece di vivere questo governo in modo imbarazzato e passivo – parole di Epifani – deve impegnarsi a fondo a lavorare affinché l’agenda economica e sociale si veda e porti dei risultati tangibili”. Poi il quotidiano raccoglie l’opinione di “un renziano”: “E’ chiaro che se il governo marcia bene, lo sfidante naturale di Matteo alle primarie per la premiership sarà Letta”.
Sulla stessa pagina, il “retroscena” spiega che da Renzi a Veltroni, la rete di Sergio Chiamparino è pronta alle primarie, cui l’ex sindaco di Torino starebbe seriamente pensando in una ottica da protagonista. Questo intendeva quando spiegava di non essere interessato a traghettamenti: del resto, secondo il quotidiano, era insensato che Chiamparino potesse essere il reggente-liquidatore della gestione Bersani. Tra i due era sceso il gelo un anno fa: l’ex sindaco era stato appena designato dal suo successore Fassino alla guida della Compagnia di San Paolo. Prima di accettare aveva chiesto un appuntamento a Bersani, per spiegargli che avrebbe preferito continuare a fare politica, magari collaborando con Enrico Letta nella cabina di regia. Secondo La Stampa Bersani non corrispose a quell’incontro, lo fece chiamare da Migliavacca, latore di un messaggio inequivocabile: ‘Possiamo fare qualcosa per aiutarti a diventare presidente della Compagnia?’. Ora lo scenario è cambiato, e soprattutto Chiamparino non è più isolato ai piani alti del partito. Si ricorda che i contatti con Renzi non sono mai venuti meno, che i renziani hanno votato proprio per Chiamparino nei giorni della elezione del Presidente della Repubblica. E per il quotidiano le consonanze non sono mai sfiorite anche con Veltroni. Un altro sponsor di Chiamparino come leader sarebbe Goffredo Bettini, braccio destro di Veltroni ai primordi del Pd.
Infine, segnaliamo ancora da La Stampa l’intervista con Stefano Rodotà. Ad Epifani, neosegretario, consiglia: “Deve essere capace di rispondere alla profonda esigenza di cambiamento che c’è nel Pd, sia tra molti parlamentari che tra migliaia di militanti, e penso ad OccupyPd, altrimenti, se dovesse accompagnare l’ennesimo regolamento di conti tra i leader storici che vogliono controllare il partito con correnti e correntine, sarebbe destinato al fallimento”, si arriverebbe alla catastrofe della dissoluzione del Pd e “a quel punto si aprirebbe una voragine politica, e si arriverebbe alla polarizzazione tra Berlusconi e Grillo”.
Sul governo Letta: “E’ ovvio che ci sono emergenze drammatiche, ma la mia impressione è che questo governo abbia cominciato male, andando nella direzione sbagliata, ovvero il blocco dell’Imu quando invece la priorità è l’occupazione. Chi può pensare che questa maggioranza possa fare cose decenti sul conflitto di interessi, la corruzione e i diritti, a cominciare da quelli dei figli degli immigrati? E’ evidente che si tratta di un governo che rafforzerà enormemente Berlusconi, erodendo il consenso per il Pd, e l’unico modo per togliere al Cavaliere il potere di vita e di morte sul governo è cambiare immediatamente la legge elettorale”.
Il Corriere della Sera intervista Renato Schifani, capogruppo dei senatori Pdl. E’ il giorno in cui il Procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini inizierà la sua requisitoria nel processo Ruby, in cui il Cavaliere è imputato di prostituzione minorile e concussione. L’intervista a Schifani inizia con una domanda sulla opportunità che un partito a governo tenesse una manifestazione di piazza contro i magistrati: “Noi non abbiamo tenuto riunioni sediziose – dice Schifani – ma una manifestazione pacifica, elettorale, per toccare i temi più attuali del dibattito: l’emergenza economica, politica e sociale. Tra questi c’è anche la giustizia, che va riformata”. Si contesta la presenza dei ministri in piazza a contestare i magistrati, e Schifani ricorda che la libertà di manifestare è un diritto costituzionale, e che nel governo Prodi c’era un partito, quello della Rifondazione comunista, i cui ministri marciavano contro le decisioni del loro stesso esecutivo. Davvero, chiede il cronista, un eventuale condanna di Berlusconi al processo Ruby non avrebbe contraccolpi sul governo. Schifani :”Il governo non cadrà per responsabilità del Pdl. Non daremo pretesti a nessuno per dire che l’esecutivo cade per colpa dei processi Berlusconi. Scinderemo i temi della giustizia dal sostegno all’esecutivo. Come ha detto con chiarezza il presidente Berlusconi, dimostrando di essere un uomo di stato e smentendo la menzogna che sia entrato in politica per difendere i suoi interessi”.
Su Il Giornale, grande evidenza ai “sette punti che non tornano nel processo Ruby”: “Dagli interrogatori mai messi a verbale alle competenze della inchiesta: ecco le incongruenze di un caso in cui neanche le presunte vittime si sono costituite parte civile”.
“Perché la legge sulla cittadinanza serve all’Italia” è il titolo di un intervento del ministro agli Affari Regionali Graziano Delrio, già presidente della campagna ‘L’Italia sono anch’io’, che i lettori de L’Unità troveranno in prima pagina. Il quotidiano ha infatti lanciato sul proprio sito la campagna sulla cittadinanza.
La Repubblica intervista il Presidente della Regione Lombardia e segretario della Lega Maroni che, sul killer col piccone a Milano, il trentunenne ghanese che ha aggredito sei uomini sabato scorso, dice: “Io non faccio alcun collegamento tra le proposte della ministra Kyenge e l’incredibile episodio di Milano: quell’immigrato è un pazzo”. Tuttavia, dice che “parlare di ius soli non porta alcun vantaggio, neppure per gli immigrati. La ministra ha solo dato voce ai propri pensieri, non tenendo conto che noi siamo un Paese di confine, e quindi il messaggio della ministra è “devastante”.
Internazionale
Su Il Giornale si racconta la protesta in Israele del ceto medio, in piazza a Tel Aviv contro l’austerity e contro il piano di bilancio presentato la scorsa settimana dal governo Netanyahu. Il ministro delle finanze Lapid ha proposto tagli alla spesa pubblica da 538 milioni di euro e aumenti delle tasse.
Sul Corriere della Sera il corrispondente da Gerusalemme si occupa della vittoria delle donne di Gerusalemme, che hanno ottenuto di poter pregare davanti al Muro del Pianto come gli uomini: vuole dire indossare lo scialle della preghiera e recitare la Torah ad alta voce, sidando gli ultraortodossi haredim, che considerano tutto ciò un tradimento dell’ortodossia. Venerdì scorso le “Donne del Muro” sono arrivate in almeno cinquecento per la cerimonia, e questa volta la polizia le ha scortate e protette, anziché arrestarle.
Su La Repubblica attenzione per il Pakistan, dopo la vitttoria del partito della Lega Musulmana di Nawaz Sharif. L’inviato scrive che la prima sfida del vincente per far ripartire il Pakistan sarà quella con il nemico storico, ovvero l’India: “Verrò in India anche se non sarò invitato”, ha detto ai giornalisti, aggiungendo che la soluzione del problema del Kashmir è una delle sue priorità. Il quotidiano scrive che le sue simpatie per le formazioni religiose e la sua vena spirituale lo rendono il candidato ideale per guidare una trattativa mai sperimentata finora con i taliban, buoni e cattivi. Si sottolinea anche che il Paese è sull’orlo di una catastrofe finanziaria.
Su L’Unità: “Ankara accusa la Siria”, dopo l’attentato nelal città di Reyanli, a otto chilometri dal confine siriano, uno dei luoghi più importanti di confluenza per i rifugiati in fuga dal regime di Assad. Ankara non ha dubbi: il duplice attentato che ha provocato almeno 46 morti e 155 feriti è opera di uomini legati al regime di Assad e si riserva il diritto di prendere “ogni tipo di misura”, come detto dal ministro degli esteri Davutoglu. Il capo della diplomazia di Ankara ha peraltro precisato di non ritenere necessario un incontro di emergenza con la Nato. Le prime pagine dei giornali turchi, scrive L’Unità, al pari dei telegiornali, danno conto di un Paese che si prepara alla guerra. Le autorità militari turche hanno inviato un gran numero di rinforzi sul confine con la Siria.
Anche su La Repubblica: “Erdogan accusa Assad per la strage delle autobombe”. E si riferiscono le parole del Premier turco: “Damasco cerca di trascinarci verso uno scenario catastrofico”. Le autorità hanno arrestato nove cittadini turchi, accusati di aver organizzato gli attentati in collegamento con i servizi di sicurezza siriani. Secondo il ministro degli esteri gli arrestati farebbero parte di una vecchia organizzazione terroristica di ispirazione marxista legata al regime di Assad.
Ancora su La Repubblica, segnaliamo un reportage da Ryad, per raccontare “la sfida dei principi per il regno del petrolio”. L’Arabia Saudita, si legge, è una delle poche nazioni del mondo arabo dove la primavera non è arrivata. Ma è una tranquillità solo apparente, perché dietro le quinte è in scena uno scontro per succedere all’anziano re Abdallah, che ha novanta anni ed è malato, come il suo erede. Ma sulla successione non ci sono regole chiare, e la gente ha paura.