Le aperture
Il titolo più grande: “Assalti alle chiese, il Papa accusa”. “Strage di cristiani in Pakistan. Francesco: persecuzione che il mondo nasconde”.
“Terrorismo. Almeno 15 vittime. Rivendicazione dei talebani”. “‘Spari sui fedeli, gli agenti davanti alla tv'”. Un commento di Andrea Riccardi: “Il feroce tentativo di ferire a morte l’anima dei fedeli”.
A fondo pagina: “Elton John, lite con Dolce e Gabbana”. “Il cantante difende la fecondazione in vitro per le coppie gay”. “Gli stilisti: fascista”.
Da segnalare ancora in prima: “Effetto Mose, Casson vince le primarie Pd a Venezia”.
La Repubblica: “Madia: lo Stato licenzierà i dirigenti inadeguati. La Cgil gela Landini”, “Intervista al ministro: niente Jobs Act per gli statali”, “Venezia, Casson vince le primarie Pd Buona l’affluenza”.
A centro pagina: “Pakistan, strage di cristiani in chiesa. Il Papa: è una persecuzione, fermatela”.
In prima un foto di Nancie Atwell: “La prof più brava del mondo, ‘La scuola deve dare felicità’”, “Il Nobel dell’insegnamento a un’americana”.
Nella colonna a destra il reportage di Bernardo Valli sulle elezioni israeliane: “Il dilemma dei due Stati nelle urne in Israele”, “Domani il Paese al voto. Per Amoz Oz la decisione non è più rinviabile”.
A fondo pagina: “Elton John guida la rivolta contro Dolce e Gabbana per i figli dei gay”.
La Stampa : “Strage di cristiani, il Papa: fermateli”, “Decine di morti e feriti. Francesco: il mondo cerca di nascondere la persecuzione dei fedeli. Il Vaticano: siamo di fronte a un genocidio, se necessario usare anche la forza contro l’Isis”. E la foto in grande evidenza ritrae la disperazione di una donna cristiana dopo gli attentati a Lahore.
A questo è dedicato un commento di Enzo Bianchi: “Il grido che bisogna ascoltare”.
A centro pagina, sulla politica italiana : “La Cgil gela Landini: ‘Non lo appoggiamo’”, “Salvini: spero nell’accordo con Forza Italia”.
In prima un richiamo anche alle elezioni israeliane: “Israele domani alle urne. Herzog verso la vittoria”, “Il premier Netanyahu superato nei sondaggi”.
Nella colonna a destra il rischiamo all’intervista del quotidiano a Donald Tusk, presidente Ue, già primo ministro in Polonia fino al novembre 2014: “Non mi fido di Putin”, “L’accordo sull’Ucraina non è chiaro quando parla di autonomia e confini. Intervenire è semplice, ma bisogna gestire il dopo”.
In prima anche un’editoriale di Mario Deaglio: “Euro debole perché l’Europa è debole”.
Il Fatto: Disonore al merito”, “Storie di uomini e donne che hanno fatto il loro dovere, hanno denunciato scandali e invece di un premio hanno ricevuto una punizione. Testimoni di giustizia, poliziotti e finanzieri, dipendenti pubblici e bancari. Gente non comune”.
Su Raffaele Cantone, ora Procuratore Nazionale Antimafia: “Cantone: operazione ‘salvare De Luca’”, “L’ex pm: ‘Legge Severino da rivedere per l’abuso d’ufficio’”.
Sul processo Ruby: “Il plotoncino di Canale 5 contro la Boccassini”, “Anche Fi scatenata, Bruti difende l’inchiesta”.
Sulla polemica che coinvolge Elton Jonhn: “Niente figli ai gay, il rogo di Dolce e Gabbana”, “Elton John e gli altri, tutti contro: ‘Bruciare i loro vestiti’”.
A fondo pagina, un editoriale di Ferruccio Sansa: “Povero Renzi, assediato da troppo amore”, “Politici, giornalisti, imprenditori, una stretta soffocante”.
Il Giornale: “Il pugno del Papa”. “Quindici fedeli trucidati e ottanta feriti in due chiese del Pakistan. Francesco smaschera l’ipocrisia e sferra un colpo all’islamicamente corretto: ‘Il mondo nasconde la strage di cristiani'”.
A centro pagina, nel “controcorrente”: “Le mani degli arabi sull’Italia. Gli emiri stanno comprando interi quartieri, compagnie aeree e molto altro”.
E ancora attenzione sulle elezioni regionali in Veneto, con un ritratto di Alessandra Moretti. “La signora Nessuno vuole essere qualcuno”.
L’editoriale, firmato da Alessandro Sallusti: “La responsabilità incivile di Bruti Liberati”.
Il Sole 24 Ore: “Casa l’altalena dei prezzi lancia la caccia degli affari”. “Segnali positivi con l’aumento di liquidità e compravendite”. “Quotazioni a livelli interessanti per venditori e aquirenti”.
Di spalla: “Pil, lavoro, investimenti: l’Italia è ancora lontana dai livelli pre-crisi”. “Confronto tra le economie di dieci Paesi europei”.
Su Repubblica, a pagina 3, il “retroscena” di Francesco Bei: “Democrazia nei partiti e burocrazie sindacali, Renzi prepara l’affondo”, “Allo studio ddl sull’articolo 49 della Costituzione”. Su quest’ultimo punto, il riferimento è all’articolo che recita che i partiti devono “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”, quindi si ripropone la questione degli statuti di cui i partiti dovrebbero dotarsi. Per quel che riguarda i sindacati, il tema è legato alla rappresentanza sindacale (in nome di chi firmano contratti validi erga omnes?). In giorni di acceso scontro con il leader Fiom Maurizio Landini, qualcuno ci vede una “ritorsione” (“Landini entra in politica perché il sindacato lo ha abbandonato”, aveva detto Renzi qualche tempo fa), ma è pur vero che il tema della rappresentanza sindacale potrebbe essere l’unico punto di congiunzione tra i due che, in un incontro a Palazzo Chigi, concordarono sulla opportunità di una legge che smontasse “le burocrazie sindacali” ridando “potere di scelta ai lavoratori”. Insomma, secondo Bei, è ipotizzabile che aprire la strada a Landini per farsi largo al vertice della Cgil sia anche un modo per tenerlo lontano dalla politica (e aiutarlo a far fuori un’avversaria comune, ovvero la segretaria Cgil Susanna Camusso). E la novità è che il vicesegretario Pd Lorenzo Guerini sta ultimando una bozza sul tema rappresentanza da presentare alla direzione del partito già nelle prossime settimane.
Alla pagina seguente: “’Cambiamo o siamo finiti’. Landini sferza il sindacato. Gelo Cgil: si muove da solo”, “Il capo Fiom sfida Renzi: falso il suo consenso, cambieremo più noi il Paese. Apertura sulla legge della rappresentanza. ‘Ma vediamo cosa vogliono fare’”. Le parole di Landini: “Chi dice che voglio fare un partito lo fa per denigrarci. E per evitare di confrontarsi sul merito delle cose”, “Abolire i contratti nazionali significa far prevalere il modello di un sindacato aziendale frantumato”.
E in basso una intervista ad Alfredo D’Attorre, esponente della minoranza bersaniana che, su Landini dice: “Su Europa e lavoro può aiutarci a correggere la linea Pd”, “Con Landini non credo vada fatto un nuovo partito, ma battaglie insieme per cambiare la nostra agenda”.
La Stampa: “Landini avvisa: io e i lavoratori cambieremo l’Italia più di Renzi”, “’ Non faccio un partito, ma il sindacato deve essere un soggetto politico’. La Cgil lo gela: non eravamo informati dell’iniziativa, da noi nessun appoggio”.
Alla pagina seguente: “E il premier valuta se offrigli la legge sulla rappresentanza”, “Renzi fa balenare l’ipotesi: potrebbe favorire un ricambio nella Cgil”, scrive nel suo “retroscena” Fabio Martini
Di Landini si occupa oggi su La Repubblica Ilvo Diamanti: “Una nuova sinistra extra-parlamentare”. Che ricorda come il segretario Fiom abbia convocato una manifestazione per il 28 marzo contro le politiche economiche e sul lavoro del governo Renzi, a partire dal Jobs Act: “non un partito, dunque. Non una lista in prospettiva elettorale. Perché Maurizio Landini non è uno sprovveduto. E sa che a sinistra, in Italia, non c’è spazio. Oggi. Anche perché, fino a ieri, gran parte di questo spazio è stato occupato dal Partito Comunista e i suoi eredi”. “Per imporsi come riferimento dell’opposizione, la soluzione obbligata per Landini è, dunque, restare fuori dalla competizione partitica. Fuori dal Parlamento”, lavorando per mobilitare opinione pubblica, società, lavoratori (ma il suo consenso non è tanto fra gli operai, secondo Diamanti, quanto, secondo sondaggi, “fra gli impiegati e i tecnici privati”). Poi, sulla comunicazione: Landini in tv è “una presenza fissa”. E la “coalizione sociale” da lui evocata mira a diventare coalizione politica che attrae liste a sinistra del Pd e l’area del disagio interna al Pd stesso: il più interessato alla costruzione del soggetto politico di Landini, in prospettiva, potrebbe essere proprio Renzi, che “neutralizzerebbe” l’opposizione di sinistra in uno spazio circoscritto (intorno al 5%), allargando ulteriormente lo spazio di influenza del suo Pdr (il Partito di Renzi) verso il centro e assorbendo quindi quel che resta dell’elettorato berlusconiano.
Su La Stampa, a pagina 6, un’intervista a Massimo Cacciari che, di Landini dice: “è un simpatico tribuno ma non mette d’accordo la sinistra”, “quando Landini parla della classe operaia mi scatta una nostalgia. Ma non ha capito che il mondo è cambiato”, “Cuperlo, Barca e Civati dovrebbero far fuori D’Alema e Bersani”.
Felice Casson ha vinto le primarie Pd a Venezia. Il Corriere della Sera parla di “effetto Mose”. “Il senatore civatiano vince con il 55 per cento, batte il favorito Pellicani, sostenuto da Cacciari, e renziano Molina. L’ex magistrato sarà il candidato sindaco. La situazione a Roma? Qui è un voto amministrativo, uniti si vince”. “La battuta: ‘il primo a telefonarmi è stato il segretario del Ncd veneziano. La maggioranza tiene”. Ancora non si sa chi sarà lo sfidante di centrodestra.
Il Corriere intervista anche Davide Zoggia, “bersaniano”, che dice: “E’ un risultato che premia chi ha lavorato meglio ed è più conosciuto”. Zoggia dice che ovviamente lo scandalo Mose che ha travolto il sindaco Orsoni ha pesato, ma sottolinea che hanno votato 13 mila persone, lo stesso numero di cittadini che aveva votato nel 2010, una percentuale che “su cui non avremmo scommesso”. Zoggia, come Cacciari, era per Pellicani.
Intanto – scrive Il Giornale – Berlusconi ieri ha salutato con soddisfazione le ultime dichiarazioni di Salvini: “Spariti i toni bellicosi, anzi: il leader del Carroccio tende la mano al Cavaliere fino ad augurarsi che l’accordo si perfezioni il più presto possibile. L’ex premier annuisce e valuta positivamente il nuovo mood di Salvini tutto teso a sotterrare l’ascia di guerra”. Dietro le dichiarazioni ci sarebbe il “grande lavorio” delle diplomazie di Lega e Forza Italia.
Un altro articolo del quotidiano di Sallusti: “Salvini a Forza Italia: ‘In Veneto insieme’. Ma resta il nodo Alfano”. “Il segretario della Lega apre all’allenza per Zaia e stronca il leader Ncd: ‘E’ il nulla’”. “In caso di accordo i centristi minacciano veti in Campania: ‘In forse il sì a Caldoro'”.
Il Corriere intervista Giovanni Toti: “Basta con i diktat della Lega. E Alfano si allei ovunque con noi”. Alla domanda se oggi ci sarà un faccia a faccia tra Berlusconi e Salvini risponde “se non sarà oggi spero sia presto”, e dice che “la Lega ha fatto troppe fughe in avanti”, “dobbiamo ridiscutere tutta la situazione di Liguria e Toscana” e “soprattutto bisogna consentire a Zaia di costruire una coalizione vincente in Veneto”. Alla domanda se FI, in caso di rottura con la Lega, potesse sostenere Tosi risponde che “sono scenari che non voglio nemmeno prendere in considerazione” ma “se salta tutto per colpa dei capricci della Lega” Forza Italia “si sentirebbe libera di agire come meglio crede”
Sul Sole 24 Ore Fabrizio Galimberti si sofferma sui dati dell’economia e sui “germogli della ripresa”: “Siamo ancora lontani dal recuperare i livelli di prima della crisi (come segnalano le elaborazioni che presentiamo alle pagine 8 e 9) ma per la prima volta possiamo dire che i rischi sono verso l’alto e non più verso il basso”. Galimberti parte dalla svalutazione dell’euro, che non è “preoccupante” come in passato erano le svalutazioni, che alla lunga portava allo svantaggio del rincaro dei beni importati. Oggi, data la forte riduzione del prezzo del petrolio, l’impor t italiano non rincara di tanto e il costo dell’energia comunque scende. Inoltre, per il nostro Paese, con il Qee la diminuzione dei tassi nominali e reali, “il servizio del debito si fa più leggero”,e in questi casi “il vantaggio è maggiore per chi ha più debito”. Infine: “Il governo sembra stabile e le riforme, se arrancano, non si fermano. Incrociamo le dita”, conclude Galimberti.
Sul Corriere si racconta della “frenata” di ieri del governo. Sabato Palazzo Chigi aveva detto di voler acceleare i tempi per una legge sulla rappresentanza sindacale, ieri ha fatto sapere che “non è pronto nessun disegno di legge né sui sindacati né sui partiti”. Il titolo: “E sulle nuove norme il governo vuole mediare: ‘convocheremo i sindacati'”.
Dario Di Vico ancora sul Corriere (“L’urgenza è ripartire, non fare altre nome”) cataloga come “una forma di ansia da prestazione” l’annuncio del governo – mentre Landini “passa intere giornate negli studi televisivi – di una legge sulla rappresentanza sindacale. Secondo Di Vico sicuramente il sistema industriale italiano avrebbe bisogno di regole più certe sulle relazioni industriali, ma “il dubbio grosso come una casa è che questo sia il timing giusto per istruire un iter parlamentare ad hoc”, sia perchè è stato appena varato il jobs Act che per la necessità di evitare altri conflitti sul lavoro e di concentrarsi ora sulla ripresa. Inoltre un anno fa sindacati e Confindustria hanno siglato un accordo sull’argomento della rappresentanza, e “si tratta solo di andare avanti su questa strada a tassere la tela senza inseguire i tg della sera”.
Sullo stesso Corriere da segnalare anche un articolo di Tamburello e Marro sulle condizioni migliori per l’Italia per pagare il suo debito, e sulla “strategia del Tesoro per sfruttare i mini-tassi”.
Su La Repubblica, a pagina 2, una lunga intervista al ministro della Funzione pubblica Marianna Madia: “Saranno licenziati i dirigenti pubblici inadeguati. Niente Jobs Act per gli statali e ora soldi per i contratti”, “I manager saranno autonomi e indipendenti dalla politica”, “Da aprile la mobilità dei 20 mila dipendenti delle Province”. Dice ancora la Madia che “una commissione super partes deciderà i dirigenti adatti per un determinato incarico”. E, sulla questione del reintegro: “nel pubblico impiego resterà il reintegro in caso di licenziamento ingiustificato. Non è un favoritismo ma il lavoro pubblico è diverso: chi licenzia non è un imprenditore che decide con le proprie risorse”, “renderemo più semplici i procedimenti disciplinari, quelli per scarso rendimento. Ci saranno procedure specifiche per contrastare i casi di assenze di massa, come quelle dei vigili di Roma lo scorso Capodanno o di assenze sospette (tutti i lunedì o i venerdì)”.
Alla intervista di Bruti Liberati ieri a Sky tg 24 si riferisce oggi Alessandro Sallusti, nel suo editoriale sul Giornale: “A mio avviso ‘vergognoso’ è che un procuratore si presenti in tv per attaccare la libertà di informazione e di critica e a fare la star su processi che hanno riguardato il suo ufficio”. “‘Vergognoso’ è il tentativo di intimidirci”. E poi si chiede: “Come si fa a definire ‘ fondata’ una inchiesta in cui l’accusa (cioè la Boccassini) chiede una condanna a sette anni di carcere per un reato che due sentenze stabiliscono in via definitiva che ‘non sussiste’. Non che le prove erano deboli e che ci sia qualche dubbio, proprio non c’è stato il reato”.
Ieri il presidente dell’Autorità Anticoruzione Cantone, in una videintervista trasmessa durante l’iniziativa di Sel “Human factor”, ha detto che “c’è spazio per fare un tagliando alla legge Severino e per una valutazione su alcuni reati che forse con la sentenza di primo grado non è opportuno intervenire con la sospensione”. E ha aggiunto che “sull’abuso di ufficio si può fare una riflessione con una sentenza di condanna di primo grado”. La legge Severino è “ormai in vigore da quasi due anni” ed ha “evidenziato su alcuni aspetti carenze che possono essere modificate”. Dunque sarebbe opportuno intervenire, ma “”deve essere chiaro che quella modifica deve essere inserita in una modifica complessiva della normativa che è assolutamente necessaria”, e va ribadito che “soggetti condannati anche in primo grado per gravi reati non possono rivestire cariche pubbliche di un certo tipo”.
Nello stesso intervento – come spiega Il Sole 24 Ore – Cantone ha anche detto che la riforma dei tempi della prescrizione “è una priorità, perché si deve partire da un punto: non si tratta di allungare i tempi della prescrizione, qui si tratta di ritornare a quello che era il regime ante 2005, quando c’è stata una riforma sbagliatissima che ha sostanzialmente dimezzato i termini della prescrizione dei reati di corruzione”. Per Cantone “sarebbe meglio un ripensamento dell’intera normativa della prescrizione, ma è una priorità a cominciare dai reati corruttivi”.
Su La Stampa, pagina 2: “Strage di cristiani in Pakistan. Il Papa: adesso basta stermini”, “Duplice attentato kamikaze a Lahore contro due chiese: almeno 15 morti e 78 feriti. La rivendicazione dei taleban. Francesco: ‘Il mondo nasconde la persecuzione’”. Sulla stessa pagina, il “retroscena” dell’inviato a New York Paolo Mastrolilli: “Il Vaticano rilancia la guerra giusta. ‘L’Isis fa un genocidio, va fermato’”, “Tomasi, rappresentante della Santa Sede all’Onu di Ginevra: ‘Prima tocca alla politica, ma se necessario si usi la forza’”. Alla pagina seguente: “Africa, Medio Oriente, Nord Corea. Quel massacro silenzioso di fedeli”, “In due anni il numero dei cristiani ammazzati è quadruplicato”, scrive Francesca Paci. Poi a fondo pagina anche una corrispondenza di Sandro Cappelletto dal Burkina Faso: “’In Burkina Faso viviamo nel terrore. Boko Haram ci sta con il fiato sul collo’”. Parla il vescovo cattolico della diocesi di Dori, che racconta: “i turisti sono fuggiti, ci sentiamo bersagli”.
Su La Repubblica: “Taliban in due chiese, è strage di cristiani. Il Papa: ‘Noi perseguitati’”, “Almeno 15 morti e 70 feriti negli attentati a Lahore. Il dolore di Francesco: ‘Colpiti per la loro fede’”. E il quotidiano intervista Shahid Mobeen, docente di Islam alla Pontificia Università Lateranense: “Da Francesco parole chiare, il mondo nasconde questi orrori, anche l’Onu sta a guardare”, “I politici devono agire senza paura dei fondamentalisti islamici, che vogliono proprio l’immobilismo”.
Il Giornale: “Attentati in Pakistan. 15 morti e ottanta feriti”. “Kamikaze in due chiese di Lahore. Nei due assalti usati dai terroristi 20 chili di tritolo”. L’articolo spiega che gli attentatori “dicono di ispirarsi” a Boko Haram. In una rivendicazione inviata via mail al quotidiano in lingua urdu Daily Khabrain gli attentatori dicono che colpiranno di nuovo i cristiani, e che non si fermeranno fino a che non sarà imposta la sharia in tutto il Paese.
Il Corriere intervista Padre Joseph Louis, nato a Lahore e presidente della Caritas locale. Al momento dell’attacco terroristico si trovava nel suo ufficio, a circa 500 metri dalle due basiliche investite dagli attentati. “Ho visto i soliti due poliziotti inviati dal governo che, come sempre, non facevano assolutamente nulla di utile per la nostra sicurezza. Al momento dell’attacco stavano guardando una partita di cricket alla televisione. Tanta disattenzione è costata loro la vita”. Racconta che i terroristi sparavano sulla folla, che due di loro sono stati presi dai “nostri fedeli” che li hanno “picchiati a morte” per poi portare i corpi e consegnarli alle ambulanze. I due kamikaze si sono fatti esplodere sulla porta delle chiese perché sono stati bloccati dal “nostro servizio d’ordine”. Secondo padre Louis “l’Isis lavora ormai a pieno ritmo con i talebani, sono ben armati, dispongono di risorse finanziarie, ottima logistica, hanno agenti che arrivano dall’estero”. LOuis spiega che fino agli anni ottanta la convivenza tra religioni non era problematica nel Paese. E’ cambiato tutto, dice, con Mohammad Zia Ul Haq, che volle “l’islamizzazione a tappe forzate” del PAese. A Laohore risiede la più importante comunità cristiana del Pakistan e probabilmente dell’Asia, dice il sacerdote.
Sul Messaggero Franca Giansoldati parla del “grido del Papa” sui cristiani perseguitati. Il pontefice “accusa: ‘Succede anche in altri Paesi, e il mondo lo nasconde’”. “In passato Bergoglio aveva denunciato: ‘Più martiri che alle origini della Chiesa’”. Il quotidiano cita un rapporto di Human Rights Watch che punta l’indice contro il Pakistan, e gli altri Paesi in cui è diffusa la “cristianofobia”: Siria, Iraq, Egitto, Arabia Saudita, Mali, Libia, Iran, Qatar, Cina, Indonesia, Afghanistan, Algeria, Yemen.
Due intere pagine de La Repubblica sono poi dedicate all’inchiesta che ha il copyright di The Atalantic Media co., di Graeme Wood: “Dall’Islam all’Apocalisse, anatomia del Califfato. Ecco cos’è, cosa vuole e come si può sconfiggere”, “L’Is ha bisogno di una giurisdizione e di un governo. Ed è davvero islamico. Fingere che non lo sia e confonderlo con Al qaeda ha portato gli Stati Uniti a decisioni insensate”.
Delle elezioni domani in Israele si occupa un lungo reportage di Bernardo Valli su La Repubblica: “La terra contesa tra due popoli, una sfida infinita all’ombra del voto”. Domani -scrive Valli- il Paese va al voto per scegliere tra la continuità rappresentata da Netanyahu e il centrosinistra del laburista Herzog e Tzipi Livni. E sullo sfondo resta irrisolto l’eterno dilemma dei due Stati. “Una questione di vita o di morte”, dice lo scrittore Amoz Oz.
Su La Stampa la corrispondenza di Maurizio Molinari: “In Israele è sfida all’ultimo voto. Netanyhau costretto a inseguire”, “il premier superato dal centrosinistra va all’attacco: niente concessioni ai palestinesi”.
Sul Messaggero si sottolinea che tuttavia l’attuale premier “resta favorito” per la possibilità di formare una maggioranza di governo. Gli israeliani sono sei milioni, si presentano 25 liste, e i due principali partiti – secondo i sondaggi – sono tra i 20 e i 26 seggi. Il prossimo governo sarà insomma frutto di una “coalizione più o meno vasta”, e gli “scambi di favori” tra partiti conteranno molto. Se Herzog battesse Netanyahu, dovrebbe formare una coalizione. “I partiti religiosi si daranno al miglior offerente, ma c’è chi nella galassia di centro-sinistra non accetterebbe di sedere con loro”. Il partito arabo unito potrebbe conquistare oltre 12 seggi, ma “rifiuta di far parte di un governo”.
E su La Stampa, il ritratto del personaggio Isaac Herzog: “Il sogno di Herzog è realizzare la ‘speranza’ di Ben Gurioni”, “Il laburista ora favorito per la vittoria: includerò gli arabi”. “Erede di una famiglia protagonista della formazione di Israele, educato nella scuola ebraica più esigente di New York, ufficiale dell’unità più segreta di Tzahal e leader politico quasi per caso, sottovalutato da avversari che riesce a sorprendere: Isaac Herzog può riportare i laburisti a guidare il governo dopo 15 anni perché incarna un’idea di sionismo basato sulla democrazia auspicata da David Ben Gurion, capace di includere tutti, arabi compreso. Se gli Herzog vengono considerati i ‘Kennedy di Israele’ è per un albero genealogico che assomiglia a quello dello Stato: il nonno Isaac Halevi fu rabbino capo ashkenazita nella Palestina mandataria e quindi d’Israele, il padre Chaim fu capo dello Stato per dieci anni, governatore di Gerusalemme dopo la riunificazione, ambasciatore all’Onu e capo dell’intelligence militare, per zio ha avuto un ministro degli Esteri, Abba Eban, fra i fratelli ha l’ex generale Michael, consigliere sul negoziato con i palestinesi di quattro premier e la madre Aura, francofona d’origine egiziana, ha fondato il concorso biblico nazionale e il consiglio di ‘Beautiful Israel’ per promuovere il legame delle nuove generazioni tanto con il Vecchio Testamento che con la natura”.