Le aperture
Il Corriere della Sera. “Legge elettorale, primi ostacoli. Letta e l’assedio del governo: così rilancio impossibile”. Il testo alla Camera con le firme di Pd-Fi-Ncd: mancano i centristi. Il caso del salva Lega”. L’editoriale, firmato da Angelo Panebianco, è titolato “lo strumento dimenticato”, ed è dedicato all’ “abbandono dei collegi uninominali”. A centro pagina un richiamo per la situazione in Ucraina: “Cinque morti in Ucraina nelle manifestazioni per la Ue. Il sogno occidentale dei caduti di Kiev”. E di spalla: “I Grandi del mondo a caccia della ripresa. L’Europa è indietro” sul World economic forum di Davos che si apre oggi.
La Repubblica, che continua ad uscire senza le firme dei giornalisti: “Riforme, anche Alfano con Renzi”, “alla Camera la legge elettorale, Lega in rivolta. Il Pd contro Zanonato”. “Il testo firmato da democratici, Forza Italia e Ncd. Ma si annuncia battaglia in commissione. D’Alema sfida il segretario: la bozza può essere modificata”. A centro pagina: “Ucraina, la neve color sangue: morti nel nome dell’Europa”.
La Stampa: “Nelle liste 50 per cento di donne. Ecco la nuova legge elettorale, firma Alfano ma non c’è il salva Lega. Governo nel mirino, Serracchiani chiede le dimissioni di Zanonato”. Sotto la testata la conferenza di pace sulla Siria: “Tra Siria e Stati Uniti tensione a Ginevra sul futuro di Assad. Per Kerry l’attuale dittatore non può guidare la transizione. La delegazione di Damasco: resterà al potere. L’opposizione: abbiamo sofferto abbastanza”. Un articolo di Francesca Paci è dedicato ai profughi siriani nel campo giordano di Zatari: “Ma i profughi non ci credono più”. Un altro articolo sulla prima de La Stampa è dedicato al forum economico di Davos: “Abe all’attacco della Cina: basta espansionismo”.
Il Giornale: “I voltagabbana. La strana e interessata giravolta di Alfano & C. sulle preferenze (e non solo). Caos Pd: i renziani stanano gli incapaci al governo”. E ancora: “Legge elettorale al via”.
A centro pagina, con foto: “L’inciucio alla faccia dei marò”, con una immagine di quello che viene definito un “affettuoso incontro tra l’ambasciatore italiano in India, Mancini, e il leader nazionalista Modi, che vuole la testa dei nostri marò”.
L’Unità: “Legge elettorale, si parte. L’Italicum arriva in commissione con le firme di Pd, Fi e Ncd. Nelle liste 50 per cento di candidate. Governo: Letta accelera su ‘Impegno 2014” ma Renzi prende tempo. E Serracchiani: fuori Zanonato”.
Il Sole 24 Ore: “Per i debiti della Pa restituiti 22 miliardi. L’Economia: erogato l’equivalente del 1,6 per cento del Pil, ma il monitoraggio resta insufficiente”. “Ance: mancano 10 miliardi. Tajani: Italia in ritardo”. Di spalla la “maggioranza in tensione”, “si allungano i tempi su programma e rimpasto”.
Legge elettorale
C’è un testo base dell’Italicum, scrive La Repubblica spiegando che la bozza di riforma elettorale presentata ieri in Commissione Affari costituzionali alla Camera “ricalca alla lettera l’accordo sottoscritto da Renzi, Berlusconi e Alfano”. Ma -sottolinea il quotidiano- la battaglia “è appena iniziata e si consumerà nello scontro tra i favorevoli alle liste bloccate e i sostenitori del voto di preferenza”. Perché “i non renziani” in commissione possono costituire una maggioranza capace di frenare la bozza sul nodo preferenze, punto chiave dell’accordo. Gianni Cuperlo, che ha abbandonato la presidenza dell’Assemblea Pd in polemica con il segretario, ha annunciato emendamenti “di singoli parlamentari” ed ha sottolineato che “non saranno iniziative di corrente, ma libere scelte dei deputati”. Ieri ha parlato anche Massimo D’Alema: “che si sia arrivati ad un’intesa è un fatto positivo. Certo, ora il Parlamento ha la libertà di approfondire, correggere, secondo le regole democratiche normali”.
Sul Corriere: “in commissione democratici spaccati”, “tra i deputati Pd, renziani in minoranza”.
Il testo depositato ieri in Commissione è stato sottoscritto da Pd, Forza Italia e Nuovo Centro Destra ma, fa sapere il Corriere, non da Scelta civica. Andrea Romano, che di Scelta civica è capogruppo, ha reso noto -come riferisce L’Unità- che il partito presenterà emendamenti “per eliminare i profili di dubbia costituzionalità e di illogicità relativi soprattutto al premio di maggioranza e alla clausola di sbarramento”. Ha tardato ad arrivare il testo in Commissione: soprattutto perché, racconta Il Fatto, si lavorava ad una norma salva-Lega, in modo che un partito che non superasse lo sbarramento del 5 per cento potesse ottenere comunque dei seggi nel caso superasse una soglia più alta di quella ordinaria in almeno tre Regioni. “non c’è il salva-Lega”, scrive La Stampa spiegando che la postilla non è stata inserita in quanto altri partiti a rischio di sbarramento, in particolare il Nuovo Centro Destra, “hanno piantato una grana al grido di ‘come mai loro sì e noi no?’. Però il salva-Lega verrà riproposto in Aula al momento opportuno e sotto forma di emendamento”. Orgogliosamente, il segretario leghista Salvini ha proclamato che la Lega non ha bisogno di ricevere “aiutini”. Il Corriere della Sera intervista “il papà del Porcellum”, Roberto Calderoli: “Sbarramento assurdo. Non si può fare un’altra porcata”. Calderoli dice che la Lega aveva raggiunto un accordo con Forza Italia e il Pd. E poi cos’è successo? “Che alcuni partitini, un tempo li chiamavano cespugli, hanno ricattato il governo. Gente che di fronte alla crisi del Paese pensa solo alla propria poltrona. Omuncoli della politica. Anzi: escrementi”. Ma “piaccia o non piaccia -aggiunge Calderoli- la Lega governa le tre regioni del Pil. E una tutela del genere esiste anche all’estero”. Ad esempio in Germania, dove “lo sbarramento nel proporzionale è al 5 per cento, ma se vinci almeno tre collegi uninominali, rientri nella ripartizione anche del proporzionale”. La Repubblica intervista il politologo Roberto D’Alimonte, esperto di sistemi elettorali che è stato accanto a Renzi nella trattativa con Berlusconi: “So che non si poteva ottenere di più. E considero un risultato insperato, merito dell’abilità di Renzi, aver ottenuto il secondo turno di ballottaggio nel caso in cui nessuno superi il 35 per cento dei voti”. Il suo mastro, Giovanni Sartori, dice che la vostra proposta è peggio della legge truffa del 1953 e che è un ‘pastrocchium’. “Bontà sua -risponde D’Alimonte- Il fatto è che Sartori è un idealista, anzi un irrealista, mentre io sono un realista. Anch’io, come lui, avrei preferito un sistema basato sui collegi uninominali e sul doppio turno. Ma ci siamo trovati davanti alla netta ostilità di Berlusconi”. Ostilità sul doppio turno o sui collegi uninominali? “A tutti e due. Lui è convinto che al secondo turno molti dei suoi elettori non vadano a votare, per pigrizia. Io ho detto a Verdini che questo è forse vero nei Comuni, ma se si tratterà di andare a votare per Marina Berlusconi gli elettori del centrodestra ci andranno al ballottaggio, eccome. Non so se questa è stata poi la ragione per cui alla fine Berlusconi ha accettato la richiesta di Renzi del doppio turno eventuale…”. E perché non voleva i collegi uninominale? “Perché con la legge Mattarella lui prendeva nei collegi un milione e mezzo di voti in meno rispetto a quelli che otteneva con le liste di partito”. Per chi ottiene il 35 per cento dei voti è previsto un premio del 18 per cento dei seggi e alcuni obiettano che è troppo alto. D’Alimonte: “l’unico modo per governare l’Italia è un sistema maggioritario. Anzi, dis-proprozionale”, “Tony Blair al suo terzo mandato ottenne il 55 per cento dei seggi con il 35 per cento dei voti”.
Si sono espressi nettamente a favore del sistema proporzionale, invece, gli attivisti del Movimento 5 Stelle, come racconta L’Unità: la decisione l’hanno presa ieri poco più di 30mila attivisti, che hanno votato sul blog di Grillo al primo referendum sulla legge elettorale. Più esattamente, hanno scelto il proporzionale 20.450 attivisti. A favore del maggioritario: 12.397. Seguiranno altre consultazioni-referendum sul sistema elettorale via web, finché verso metà febbraio, il M5S porterà la propria proposta. “Sempre che i giochi siano ancora aperti e che Montecitorio non abbia già chiuso la pratica”, sottolinea L’Unità. Ma intanto, come si comporteranno in Commissione Affari costituzionali? Luigi Di Maio, parlamentare M5S: “Cercheremo di salvare il salvabile, quindi preferenze assolutamente, poi possiamo discutere di quante”. E’ possibile dunque, secondo il quotidiano, che i grillini, per far saltare il patto Pd-Forza Italia, spostino i loro 100 voti a favore di qualche emendamento del Pd, di Ncd o di Scelta civica sulle preferenze.
Anche sul Corriere: “I 5 Stelle votano per il proporzionale. Sondaggio via web, trionfa il modello Prima Repubblica. Grillo oggi a Roma”.
Da L’Unità segnaliamo anche due interventi sul tema: per Francesco Clementi il modello proposto “garantisce l’alternanza di governo”, per Andrea De Giorgis su preferenze, premio e sbarramenti “c’è qualcosa da rivedere”.
Su La Repubblica segnaliamo il colloquio con un giudice della Corte Costituzionale che resta anonimo e che solleva dubbi sulla costituzionalità dell’Italicum: “Alla Consulta già affiorano i dubbi, ‘mai dato l’ok alle liste bloccate’”, e anche il rischio che la nuova legge possa finire di nuovo davanti alla Corte. Perplessità anche sulla soglia per il premio.
Sulla prima del Corriere Angelo Panebianco stigmatizza l’abbandono del collegio uninominale, che considera “lo strumento migliore, il più pulito, per garantire il massimo possibile di rappresentatività dell’eletto rispetto all’elettore”. Serve “fare fuoco di sbarramento contro la sciagurata eventualità del ritorno alle preferenze”, secondo Panebianco, che invita a “dare un’occhiata alla legge Severino”: “la rappresentanza degli interessi, anche quella normale e lecita, è oggi a serio rischio di criminalizzazione”. Per qualunque parlamentare eletto grazie a tante preferenze, sarà difficile dimostrare che esse non siano frutto di voto di scambio. Se ci saranno di nuovo le preferenze, “i temerari che si candideranno faranno bene a presentarsi agli incontri con gli elettori accompagnati dai loro avvocati”.
La Stampa spiega anche che la bozza prevede il divieto per i candidati di presentarsi in più colegi e almeno il 50 per cento di donne nelle liste (ma senza alternanza nell’ordine di presentazione).
Il Giornale descrive la situazione di “Bindi, Vendola e gli irriducibili che mettono veti per restare vivi”, “contro bipolarismo e soglie di sbarramento”. E intervista l’ex spin doctor di D’Alema, Fabrizio Rondolino, che dice: “I democratici? Sono divisi tra berlusconiani e alfaniani”. A Rondolino, Renzi ricorda “il primo berlusconismo, che fu anti-ideologico”. E i dinosauri del partito? “Per loro è finito tutto con le primarie. Devono fare come Clinton. Che è stato presidente degli Usa, quindi del mondo, e dopo non ha rotto più i coglioni”. D’Alema, Bindi, Finocchiaro, Marini, addio? “Due interviste l’anno per dire cose di buon senso. E stop”.
Internazionale
La Stampa si occupa con due pagine di Siria e della conferenza di pace iniziata ieri a Montreux e nota come “Ginevra2”. “Fra insulti e minacce parte la trattativa”, titola il quotidiano. Parla il ministro degli Esteri siriano Muallim: “La rivoluzione siriana -dice- è opera di terroristi macellai finanziati dagli sceicchi, ci batteremo perché la Siria non può essere guidata da traditori al servizio del nemico”. Il ministro sfora il limite di cinque minuti per gli interventi e Ban Ki-Moon lo riprende. Lui ribatte: “Io vivo in Siria, lei a New York, faccia parlare me”.
La replica di Ahmed Jabra, il leader della Coalizione dei ribelli: “Il nostro esercito ha liberato molte regioni, dopo 200 mila morti e 9 milioni di profughi serve una soluzione politica per salvare il nostro Paese, ma non abbiamo un interlocutore, il tempo è essenziale perché in Siria il tempo è sangue”. Gli dà manforte il segretario di Stato Usa Kerry: “Assad non può far parte della transizione”. Il convitato di pietra, scrive La Stampa, è l’Iran, che non è venuto al fine di ribadire il sostegno di Assad: per Emma Bonino, ministro degli esteri, “è una autoesclusione da superare”, perché “la soluzione della crisi è responsabilità di tutti, Iran incluso”. Ma il ministro saudita Al Faisal è perentorio: Teheran deve ritirare soldati ed Hezbollah dalla Siria.
La Repubblica, nel suo resoconto da Montreux evidenzia le parole pronunciate dal Segretario di Stato Kerry: “Assad è una calamita per i terroristi dell’intera regione.” Il quotidiano ricostruisce anche quella che definisce la ‘gaffe’ del segretario generale Onu Ban Ki Moon che aveva invitato l’Iran alla conferenza Ginevra 2.Kerry lo ha fermato e ci sarebbe stato un giro vorticoso di almeno 20 telefonate con Ban Ki Moon, persona che il quotidiano definisce “molto avversa al rischio”. Ban avrebbe dovuto annunciare l’invito all’Iran e l’Iran avrebbe dovuto rispondere accettando. Kerry sarebbe stato scettico e lo avrebbe detto al Segretario generale Onu con largo anticipo. Perché nei colloqui con Ban Ki Moon avrebbe sottolineato costantemente la necessità che l’Iran dichiarasse pubblicamente la propria adesione ai principi di base della conferenza, ovvero il cosiddetto “comunicato di Ginevra” 1 (prevede un consenso delle due parti in Siria per arrivare ad un processo di transizione e quindi l’abbandono del potere da parte del presidente Assad). Il Corriere della Sera: “Siria, l’altolà degli Americani, ‘per Assad non c’è posto’”. “E Kerry non toglie dal tavolo la minaccia militare”. Scrive il quotidiano che l’accordo politico di Ginevra 1 appare impossibile, anche se è stato il ministro Bonino a dire che “chi siede qui oggi si è già impegnato in quella sede”.
La Repubblica scrive anche di un “giallo” di una missione che funzionari israeliani avrebbero compiuto a Roma, perché preoccupati del nuovo corso politico ed economico di Italia e Russia nei confronti dell’Iran. A Roma sarebbe stato in “missione segreta” il ministro degli affari strategici Steinitz: “Israele attacca l’Italia, ‘troppo vicini a Teheran’”.
Restiamo a La Repubblica per parlare di Ucraina: “Kiev è un campo di battaglia, la polizia spara sui manifestanti. Cinque morti e oltre 200 feriti”. La rabbia dei manifestanti cresce sempre di più, scrive il quotidiano, mentre le truppe anti-sommossa sembrano decise a sgomberare piazza Maidan, tuttora presidiata da migliaia di persone, tendopoli, cucine da campo, palchi per concerti e comizi. Gli Usa hanno dato il via libera a veti all’ingresso nel Paese di una serie di dirigenti coinvolti nella repressione del regime.
Il quotidiano intervista Yuri Lutsenko, ministro degli interni del governo Tymoshenko, che commenta le esplosioni di violenza, anche tra i manifestanti: “Sono esasperati, finora la polizia aveva solo picchiato. Adesso spara, uccide. Come si fa a mantenere la calma?”. Ma la polizia smentisce di avere sparato: “Forse chi ha ucciso non era in divisa e faceva parte di quei provocatori assoldati apposta per scatenare il caos”. E ancora dice: “guerra civile? No, qui non ci sono due fazioni di popolo contrapposte, ci siamo noi contro un potere che è un misto di dittatura militare e organizzazioni malavitose”. Uno dei leader dell’opposizione, l’ex pugile Vitaly Klitschko, come scrive il Corriere, ha ieri minacciato, in riferimento al presidente Yanukovich: “Se non ascolterà le nostre richieste, allora passeremo all’offensiva”.
La Stampa: “A Kiev un giorno di guerra”, “Spari e vittime. L’opposizione: subito le elezioni o attacchiamo”. La protesta, scrive il quotidiano, “degenera”, anche perché la piazza è “ostaggio di ultrà nazionalisti” e sono spuntate “le gang filo-governative”.