Lavoro, scontro sul voto di fiducia

Pubblicato il 6 Ottobre 2014 in da redazione grey-panthers

Le aperture

La Repubblica: “Il piano del governo: Tfr in busta paga solo a chi lo chiede”, “Ecco la proposta che Renzi farà a sindacati e a Confindustria”, “Possibile ricevere ogni anno un doppio stipendio a febbraio”.
In apertura anche la foto dei primi soccorsi a Jules Bianchi: “Pilota in fin di vita, F1 sotto accusa”.
A centro pagina, il Sinodo straordinario sulla famiglia: “Il tweet del Papa apre il Sinodo: ‘Non caricate pesi sulle famiglie’”, “Francesco punta il dito contro i ‘cattivi pastori’”.
In taglio basso, l’assedio della città siriana Kobane, maggioritariamente curda: “Kamikaze curda si fa esplodere per non finire nelle mani dell’Is”.
E un intervento di Umberto Veronesi, che riprende il dibattito sugli Ogm: “Perché bocciare il riso Ogm che combatte la cecità?”.

Il Corriere della Sera: “Lavoro, scontro sul voto di fiducia. Il governo vuole accelerare sulla legge. La minoranza Pd: così’ si nega il confronto”. “Il provvedimento approda domani in Senato”. E poi: “Renzi: spero il Tfr in busta paga il prossimo anno”. In evidenza il pensiero della Presidente della Camera Boldrini che dice: “Il governo non ecceda in scelte blindate”.
A centro pagina, con foto, lo sport (la partita Juve Roma), mentre il “dramma in Formula 1” è nella parte alta della prima. E poi: “La sanità degli sprechi: ecco gli ospedali che spendono di più”.

La Stampa: “Tfr, Renzi insiste e tratta”, “’Lo vorrei in busta paga dal 2015′. Alle imprese offre sgravi fiscali”, “Domani l’incontro con i sindacati. Il governo potrebbe proporre agevolazioni per i salari legati alla produttività”.
Sotto la testata: “Le europee in Siria per sposare la jihad”, “L’allarme: oltre cento casi”.
In prima anche il Sinodo sulla famiglia: “Francesco alla prova della Chiesa”, di Franco Garelli.
E il richiamo ad un’intervista a Lech Walesa: “’Dateci i missili nucleari, Putin va fermato’”.

Il Sole 24 Ore: “Crisi e credit crunch spingono i reati fiscali”. Si tratta di una rilevazione del quotidiano sulla base dei dati delle Procure fino a giugno scorso. “Boom di compensazioni indebite e mancati pagamenti Iva”.
Di spalla: “Lavoro a progetto, contratti in calo del 30 per cento tra i giovani”. Sono i dati Inps sulle collaborazioni nel 2013. L’editoriale, di Alberto Orioli: “All’Europa manca un Job compact”.

Il Giornale: “Casa Renzi, primo divorzio. I guai di Palazzo Chigi. Il fedelissimo Matteo Richetti prende le distanze dal premier: ‘Non è così che si governa’. Nuovo annuncio sul Tfr. E spunta un piano segreto”.
A centro pagina, sulla situazione in Siria e in Iraq: “I raid sono un buco nell’acqua. E i jihadisti già cantano vittoria”.

Il Fatto ha a centro pagina una grande foto di un ragazzo che gioca a pallone: “Piccoli Maradona o bambini infelici?”.
La giornata di ieri viene raccontata attraverso “la profezia”: “La Chiesa di Francesco: ‘Renzi perderà perderà consenso’”, “Galantino, capo dei vescovi, ancora contro il governo: ‘Così non va da nessuna parte’”. E con un articolo sul “ribelle”: “Sms di Pizzarotti (il sindaco di Parma, ndr.): ‘Grillo ci farà sgretolare, mollatelo’”, “Un appello inviato ai parlamentari 5 Stelle. Il sindaco di Parma escluso dal palco del Circo Massimo”.

Tfr

La Repubblica sintetizza così le intenzioni del presidente del Consiglio: “Doppio stipendio a febbraio. Per i lavoratori che lo chiederanno potrà essere questo l’effetto dell”operazione anticipo del Tfr’. Nonostante l’opposizione delle imprese, il governo ha deciso di provarci. A Palazzo Chigi c’è già una bozza di proposta di 8 cartelle. ‘Mi piacerebbe che dal prossimo anno i soldi del Tfr andassero subito in busta paga’, ha detto Renzi”. Sarebbe la fine -scrive il quotidiano- di quello che il premier ha definito ‘lo Stato mamma’, che decide per i lavoratori, considerati incapaci di gestire le proprie risorse. Il Tfr, pari più o meno a uno stipendio all’anno, non c’è in nessun altro Paese, scrive ancora La Repubblica, sottolineando che “è figlio anche di una concezione paternalistica dell’imprenditore e dello Stato, quando è datore di lavoro. E’ un flusso annuo pari a 27 miliardi di euro che serve all’autofinanziamento delle piccole imprese oppure ad alimentare i fondi pensionistici integrativi dei lavoratori dipendenti”. Questa enorme quantità di risorse potrebbe dare un impulso ai consumi, secondo il quotidiano. Domani Renzi ne parlerà con sindacati e Confindustria: per le casse dello Stato si prospettano nuove entrate, da un minimo di 1,7 miliardi ad un massimo di 5,6 miliardi. Resterebbe la tassazione separata prevista per il Tfr e, per i lavoratori, con l’aumento del reddito, non ci sarebbe il passaggio all’aliquota Irpef superiore. Ma il perno della proposta è la volontarietà: ogni lavoratore deciderà se ricevere l’anticipo del Tfr maturato l’anno precedente. Potrà scegliere se trasferire in un’unica tranche -a febbraio- nella busta paga tutto l’ammontare maturato, oppure distribuirlo lungo l’arco dei dodici mesi. Per contrastare l’opposizione delle imprese, secondo il quotidiano, l’erogazione del Tfr verrebbe finanziata da un apposito “Fondo anticipo Tfr” costituito dalle banche e dalla Cassa Depositi e Prestiti.
La Stampa scrive che, “in compenso”, il governo potrebbe decidere di tagliare le tasse alle aziende: dopo lo scontro Irap del 10 per cento previsto a giugno, si potrebbe arrivare a tre o quattro miliardi di euro.

Sindacati

La Stampa si occupa dell’incontro che si terrà domani a Palazzo Chigi con i sindacati: sarà una nuova puntata della “sfida” che il presidente del Consiglio lancia sul sistema della contrattazione e complessivamente della riforma del lavoro. Ieri i quotidiano ipotizzavano una scelta di Renzi sul modello di relazioni industriali molto simile al “modello Fiat”, con prevalenza del contratto aziendale su quello nazionale ed esclusione dei sindacati contrari all’accordo sul versante della rappresentanza. Secondo La Stampa il premier potrebbe utilizzare tanto una “carota” (incentivi fiscali per detassare la quota di salario alla produttività, negoziata in contratti aziendali) che un “bastone” (l’inserimento nella Legge di Stabilità di un taglio dei contributi pagati dallo Stato ai Patronati sindacali che svolgono le pratiche pensionistiche, e ai Centri di Assistenza fiscale, i cosiddetti Caf, che elaborano i 730). E “per le tre confederazioni sarebbe una batosta durissima2, conclude il quotidiano.
Un quadro di quanto accade in altri Paesi -dalla Svizzera alla Germania, dal Regno Unito alla Francia- viene offerto dall’analisi del corrispondente a Bruxelles Marco Zatterin: “Salario minimo e contratti, l’Europa va in ordine sparso”. Dove si ricorda che l’Ue non ha voce su rappresentanza sindacale, contratti e salari: i governi hanno tenuto per sé queste competenze.
Sul Sole 24 Ore Alberto Orioli, in vista del vertice Ue sul lavoro previsto a Milano nei prossimio giorni, scrive che all’Europa “oltre al fiscal compact servirebbe un job compact: l’alternanza scuola-lavoro conosce il miglior esempio nella gestione tedesca dell’apprendistato; il miglior caso di collaborazione pubblico-privato nelle agenzie locali del lavoro (job center) è quello inglese; la più efficace rete di contatto delle persone da collocare sul mercato e da riqualificare è quella danese; il più rapido e produttivo sistema di impiego del personale in esubero in lavori socialmente utili viene dalla Francia; è positiva l’esperienza dei voucher che l’Italia sta sperimentando”. Insomma: una condivisione vera delle migliori pratiche europee, perché “non sono le regole che creano il lavoro ma possono impedire di farlo nascere”.
Su Il Giornale si legge che “l’Europa dà ordini al governo”, e che “la circostanza è stata implicitamente confermata dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti”, che ieri ha detto che serve una approvazione rapida e certa del Jobs Act. Per questo “l’incontro di domani alla Sala verde di palazzo Chigi con Cgil, Cisl e Uil con i sindacati potrebbe rivelarsi fondamentale”, perché sul tavolo c’è “il diktat europeo sul quale l’esecutivo dovrà sapientemente bluffare”.
Su Il Messaggero Francesco Grillo – ricordando il “non può esserci tassazione se chi è tassato non è rappresentato”, ribadisce che “la moneta unica non è più tecnicamente sostenibile se non è accompagnata da un’integrazione delle politiche fiscali”. Il problema insomma non è tecnico ma quello del “deficit di democrazia con il quale le istituzioni europee convivono sin dall’inizio della loro storia e che l’istituzione di un Parlamento sovranazionale sempre più influente non ha risolto”. Ed è questo “il messaggio principale che arriva dalla conferenza di Pontignano organizzata dal British Council, che, anche quest’anno, ha riunito nella certosa vicino Siena una parte della classe dirigente italiana e inglese e alla quale hanno partecipato i ministri Padoan e Giannini”. E per arrivare a questo serve anche prepararsi ad un “ridimensionamento” dell’Ue, perché oggi all’Europa serve maggiore “flessibilità”: “il maggiore difetto del fiscal compact è, in questo senso, quello di non immaginare un Piano B, di non porsi neppure il problema di come regolare l’uscita di un Paese o l’eventuale divisione dell’area EURO in più parti, senza che ciò produca tensioni in grado di travolgere la stessa Unione”.

Jobs act 

Sul Corriere una intervista alla Presidente della Camera Boldrini è dedicata all’iter parlamentare dei provvedimenti. E sul Jobs Act dice che “è sempre auspicabile non eccedere nella richiesta di voti di fiducia, che hanno valore in quanto strumenti eccezionali nelle mani del governo”. Boldrini dice anche che se l’obiettivo è creare posti di lavoro “non è cruciale l’articolo 18”: non serve “erodere le garanzie” per chi le ha ma creare i posti di lavoro che mancano.
La Repubblica sottolinea che il presidente del Consiglio “tenta la carta del Jobs Act per salvare il vertice europeo”, previsto per mercoledì a Milano, dedicato al lavoro, e fortemente voluto proprio dal nostro Paese.: “il premier vuole spendere al meglio la riforma del lavoro in Europa per ottenere il via libera alla Legge di stabilità che a fine mese sarà esaminata Bruxelles”. La cancelliera Merkel lascerà l’appuntamento prima che finisca, le conferenze stampa saranno separate e comunque, trattandosi di un vertice informale, non ci saranno conclusioni scritte.
Secondo La Repubblica Renzi è “pronto alla fiducia sulla riforma del lavoro” e la minoranza Pd è “disinnescata”. Che il governo sia orientato alla fiducia il quotidiano lo deduce anche dalle dichiarazioni del ministro del Lavoro Poletti: “abbiamo la necessità di un’approvazione rapida e certa” perché mercoledì, al vertice sul lavoro convocato proprio dall’Italia, “deve essere chiara la volontà del governo di fare le cose”.
Il quotidiano mette a confronto su questo tema le voci di Debora Serracchiani, vicesegretaria Pd e presidente della Regione Friuli Venezia Giulia e quella del segretario Fiom Maurizio Landini.
Serracchiani è convinta che la minoranza Pd si allineerà e sottolinea che l’80 per cento ottenuto sull’ordine del giorno dell’ultima Direzione Pd “va rispettato”: “La sinistra dem dirà sì sul lavoro, se Fi si aggiunge non c’è scandalo”, “metto in conto il voto contrario di Fassina, Damiano o Civati. Ma molti degli astenuti in Direzione daranno l’ok”, “il ministro Poletti sta lavorando a definire nei dettagli la tipologia dei licenziamenti disciplinari da tutelare nell’articolo 18. Ma alla fine bisogna votare in base alla volontà della stragrande maggioranza del Pd”. Landini rilancia il no all’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e dice che “il tema va semplicemente tolto dal tavolo”. E avverte: “se va avanti l’attacco ai diritti la Fiom occuperà le fabbriche”, “il premier ha scelto il conflitto e lo scontro, ma così si rischia di andare verso il modello Fiat”. Spiega Landini: “Non c’è nessuno scambio da fare. Da una parte Renzi realizza l’operazione 80 euro e dall’altra chiede al tanto vituperato sindacato di fare accordi per la riduzione del salario e dell’occupazione”, “riaprire in questo modo la partita sui contratti aziendali vuol dire andare verso la deregulation, vuol dire il modello Fiat”. Lei però è d’accordo con l’idea del Tfr in busta paga: “Sì. E’ una proposta che la Cgil ha avanzato prima con Trentin e poi con Cofferati. E a dicembre siamo stati noi della Fiom a riproporla”. E bisognerebbe, secondo Landini, defiscalizzare tutti gli aumenti salariali, anziché prevedere lo sconto per le ore di straordinario”.
La Stampa intervista Cesare Damiano, esponente della minoranza Pd e presidente della Commissione Lavoro della Camera: “Renzi ha fretta per via dell’incontro dei capi di Stato europei di mercoledì,, e lo capisco. Il punto è come arrivare all’accordo. Non vorrei che per chiudere purchessia scegliesse la fiducia”, “la minoranza ha presentato sette emendamenti, il governo ne deve tenere conto. Ad esempio: quante saranno le risorse aggiuntive per la riforma degli ammortizzatori sociali? Un miliardo e mezzo è poco”.

Pd

Oggi è La Stampa a riprendere il tema del calo degli iscritti al Pd, lanciato la scorsa settimana da La Repubblica: “Il Pd non va più a caccia dei suoi tesserati. Così crollano gli iscritti”, “Niente banchetti alle kermesse estive, circoli svuotati. Giallo sui numeri. Renzi: meglio avere meno falsi militanti” e, per quel che riguarda l’organizzazione, “tutti i meccanismi tradizionali sono stati cancellati”. L’articolo è firmato da Fabio Martini. Ma il tema viene richiamato in prima anche con un’analisi di Giovanni Orsina: “Perché il Partito democratico è in crisi di iscritti?”. La vera domanda, secondo Orsina, è “come ha fatto finora il Pd a tenersi mezzo milioni di iscritti”. Il modello novecentesco di partito è superato ovunque in Europa, il fenomeno è diffuso ed ha coinvolto tanto alla socialdemocrazia tedesca che i laburisti britannici. Ma “al di là delle Alpi -sottolinea Orsina- l’indebolimento dei partiti è controbilanciato da istituzioni forti, capaci di garantire un minimo di rappresentatività ed efficienza”.

M5S

Alla tre giorni di iniziative che sta preparando il Movimento 5 Stelle a Roma, al Circo Massimo, non ci sarà il “dissidente” Pizzarotti. Ne parla Il Giornale, che scrive che “ci saranno i big fedeli alla linea”. “O meglio: il sindaco di Parma ci sarà. Ma solo come spettatore, non sul palco, nemmeno per un minuto. Nel fittissimo programma, che in tre giorni prevede 27 interventi di un quarto d’ora ciascuno, Pizzarotti non c’è”.  Secondo il quotidiano “un recente tentativo del primo cittadino emiliano di ricucire lo strappo sarebbe finora stato vano. Anzi, ospite di Agorà su Raitre, Pizzarotti giovedì scorso ha spedito un siluro diretto al capo: ‘Non abbiamo un programma da proporre e purtroppo con Grillo non si parla mai di programmi’”.

Centrodestra

Sul Corriere l’editoriale, firmato da Giovanni Belardelli, è dedicato al centrodestra “di matrice berlusconiana” e alla “grave crisi” in cui si trova. La ragione “sta soprattutto l’esaurirsi della ragione principale e sistemica che per vent’anni aveva reso possibile a Berlusconi e al centrodestra di collocarsi al centro della politica italiana”, e “l’indeterminatezza e la contraddittorietà della fisionomia e dei contenuti politici di un centrodestra sempre oscillante tra appello ai moderati e riproposizione della ‘rivoluzione liberale’ delle origini non hanno per nulla ostacolato i ripetuti successi elettorali che tutti ricordano”. Ma quei successi si fondavano da una parte sulla “figura stessa di Berlusconi”, antipolitico e anticasta. E “per vent’anni” il “centrodestra ha pigramente goduto di una rendita di posizione e ha potuto limitarsi a sfruttare il carisma di Berlusconi”. Oggi, “con la comparsa di Renzi, leader del principale partito della sinistra che però attacca frontalmente la Cgil e dichiara che gli imprenditori debbono poter licenziare, la rendita di cui il centrodestra berlusconiano ha vissuto per tanti anni è scomparsa e con essa qualunque prospettiva politica che non sia di sostanziale subalternità al Pd, stando dentro oppure fuori dell’esecutivo”.

Isis, curdi

Due intere pagine de La Repubblica sono dedicate alla minaccia dell’Isis e in particolare alla Siria, per raccontare “il sacrificio di Arin, la donna kamikaze curda” che, ritrovatasi circondata dai jihadistii nel corso di un aspro scontro, si è fatta saltare in aria, uccidendo un numero imprecisato di miliziani dell’Is. Era comandante dell’Ypg (Unità di protezione popolare curda) ed era impegnata nella difesa della città di Kobane, ai confini con la Turchia. Terminate le munizioni, si è fatta saltare in aria per non finire catturata. Il suo segue di 24 ore il suicidio di un’altra soldatessa curda, Ceylan Ozap, di appena 19 anni.
Anche su La Stampa: “L’ultima difesa di Kobani è una kamikaze curda”. E sulla stessa pagina, un’analisi di Maurizio Molinari “Dallo sterminio degli sciiti alle mani sui segreti nucleari. Il piano anti-Iran del Califfo”.
“Il caso” raccontato da La Stampa riguarda poi le giovani donne (oltre cento) scappate dall’Europa per unirsi al Califfo: “Dall’Europa in Siria in cerca di un marito mujaheddin”, “lì viviamo secondo l’Islam”.
“La kamikaze curda che si è immolata contro i terroristi”, scrive il Corriere della Sera parlando di “Arin Merkan, la prima ‘martire’ del campo anti-Isis” che ieri pomeriggio si è staccata dalla sua unità alla periferia di Kobane e si è fatta saltare in aria nei pressi di un fortino nemico. Non aveva la cintura esplosiva dei kamikaze, ha usato le bombe a mano in dotazione nel toscapane di ogni soldato, dicono i suoi compagni. A Kobane ci sarebbero 3000 effettivi curdi, 1000 dei quali sono le donne della Ypg, le unità di protezione popolare femminili.
Sul Sole 24 Ore Alberto Negri  ricorda che “Kobane sta per cadere in mano al Califfato sotto lo sguardo dei militari turchi schierati con i carri armati M60 Patton sulla collina davanti alla città: la linea fronte non è lontana, Kobane è soltanto a mezzo chilometro in mezzo alla pianura. Ma sono cinquecento metri drammatici: attraversarli significa entrare in guerra, superando ostacoli politici insormontabili e diffidenze radicate. I governi turchi e il Pkk curdo, nella lista nera delle formazioni terroristiche, si sono scontrati per oltre trent’anni tra azioni di guerriglia e attentati mentre il processo di pace tra Erdogan e il Pkk, avviato tempo fa, è stato congelato. A dozzine i curdi, provenienti da ogni parte della Turchia, varcano il confine per andare in aiuto ai fratelli siriani ma non sembrano armati in maniera adeguata. Secondo un responsabile curdo i jihadisti sarebbero arrivati a un solo chilometro dalla città”. Negri ricorda che “la Turchia, in cambio del suo aiuto, chiede ai curdi di Rojava – così è chiamato il Nord della Siria – di rinunciare a pretese di autonomia o irridentiste, simili a quelle del Pkk, e intende spingerli a schierarsi sotto l’ombrello delle Free Syrian Army, un fronte dell’opposizione manovrato da Ankara e dalle monarchie Golfo, che finora si è dimostrato fallimentare nella sua strategia anti-Assad e ha subito pesanti sconfitte a opera del Califfato. Erdogan ha appena ricevuto le scuse del vicepresidente americano Joe Biden, secondo il quale il leader turco in una conversazione con i vertici Usa avrebbe ammesso l’errore di avere fatto passare migliaia di jihadisti dal suo confine. ‘Per noi erano solo turisti’, ha replicato Erdogan inferocito. Le accuse erano rivolte anche a Emirati e Arabia Saudita nel ruolo di finanziatori, e anche con questi due alleati di Washington Biden ha dovuto presentare le scuse. Biden ha commesso una gaffe (davvero involontaria?) ma ha descritto una situazione ben conosciuta”.