Kiev brucia, è guerra civile

Pubblicato il 21 Febbraio 2014 in da redazione grey-panthers

Le aperture

La Repubblica: “Kiev brucia, è guerra civile”, “Massacro in Ucraina, cento morti. Obama e Merkel: fermatevi”.

In apertura a sinistra: “Renzi, stasera i ministri. Padoan verso l’Economia. Lite con Alfano, poi l’intesa”.

Il Corriere della Sera: “Le barricate e il massacro. Così si muore per l’Europa in una piazza di Kiev”. A centro pagina la politica: “Forti tensioni, intesa in salita”. Da segnalare l’editoriale, firmato dagli economisti Alesina e Giavazzi, sul programma economico del governo: “Purché si dica tutta la verità”, il titolo.

La Stampa: “E’ guerra civile in Ucraina, decine di morti nelle strade”, “Telefonata fra Obama, Merkel e Putin: una soluzione politica”.

In apertura a sinistra: “Renzi-Alfano, braccio di ferro. Ma si tratta”.

Il Fatto: “La mattanza di Kiev”.

A centro pagina: “Il governo non c’è ancora. Ma già si dividono la torta”.

Il Giornale: “Sminati Alfano & C”. “Respinto l’ultimo assalto dei partitini. Tiene l’asse tra Renzi e Berlusconi”. Secondo il quotidiano per il ministero dell’Economia “spunta un uomo di D’Alema”. Si tratterebbe di Padoan, per il quotidiano “ex consigliere di Baffino”.

L’Unità: “Governo Renzi, l’ultima sfida. Stallo nel vertice sul programma. Alfano alza la posta sul programma e l’Italicum. Nuovo faccia a faccia”. Per l’Economia il quotidiano fa i nomi di Delrio, Tabellini o Padoan. A centro pagina, con grande foto sull’Ucraina: “Europa svegliati”.

Il Sole 24 Ore: “Mobilità per gli statali nella spending review”. Di spalla la politica: “Renzi prova ad accelerare, ma con Alfano è tensione”. A centro pagina l’Ucraina: “Massacro a Kiev, la Ue vara sanzioni”.

Ucraina

Questa mattina le agenzie di stampa internazionali scrivono che sarebbe stata raggiunta una intesa al termine di una notte di colloqui tra la presidenza dell’Ucraina e i rappresentanti della Ue a Kiev, dopo una giornata di scontri che ha fatto registrare oltre 100 vittime. Ad annunciare l’intesa il presidente Yanukovich. Si attende una firma per le 11 ora italiana.

La Repubblica offre ai lettori un reportage di Nicola Lombardozzi. Racconta i cadaveri per le strade, le dimissioni del sindaco di Kiev dal Partito delle Regioni del presidente Yanukovich, il nervosismo dei “macellai” e le defezioni degli agenti nelle province occidentali del Paese, le provocazioni dei neonazisti, i militanti di “Pravyj Sector”, ovvero “il gruppo di destra più organizzato militarmente”. E il presidente, che “continua a prendere tempo”, malgrado sappia di essere bruciato politicamente. Lombardozzi spiega anche come il suo principale finanziatore, l’oligarca Akhmetov (patron dello Shaktar calcio di Donetsk, est dell’Ucraina), pare si sia prudentemente ritirato a Londra. Sullo stesso quotidiano, Bernardo Valli sottolinea come l’Europa non sia in grado di offrire all’Ucraina quel che spera l’opposizione: l’Accordo di Associazione interrotto dalle autorità di Kiev “non era in alcun modo il preludio ad un’adesione. Quest’ultima sarebbe troppo costosa nel futuro scrutabile, vista la situazione economica dell’Ucraina e dell’Ue. Né quest’ultima può o desidera fare concorrenza a Vladimir Putin, che ha offerto quindici miliardi di dollari all’Ucraina, dei quali una parte sono già stati versati, e un’altra dovrebbe esserlo tra una settimana”. Quanto alle sanzioni, possono avere un certo effetto, più sul piano formale e politico che in concreto: “le sole efficaci sarebbero quelle riguardanti i depositi bancari in Occidente degli oligarchi ucraini, o per lo meno dei responsabili della repressione”.

Il reportage de La Stampa è firmato da Mark Franchetti: “Massacro a Kiev, 100 morti. ‘E’ come piazza Tiananmen’. cecchini sparano dai tetti: decine di vittime fra i dimostranti, uccisi anche agenti. ‘Cacceremo Yanukovich o moriremo tutti’. Il presidente Cede: ‘Voto entro l’anno'”.

Anche qui si spiega come il gruppo di destra Pravyj Sector abbia un ruolo di primo piano ormai nella protesta, insieme ad ultrà degli stadi: “anche se la folla in piazza è in gran parte ancora costituita a gente comune -ci sono i giovani liberali, così come i conservatori più anziani, che vogliono più libertà e una vita migliore- è ormai chiaro che la rivolta è guidata dalle frange più radicali”. Il quotidiano intervista Monsignor Borys Gudziak, vescovo preside dell’Università cattolica, che in questi mesi è stato tra i manifestanti, inginocchiandosi fra loro: “Ci sono decine di morti e non è finita. per tre mesi il presidente non ha ascoltato la pacifica richiesta di dignità della piazza e ora siamo al conflitto”, dice. Si aspetta i tank di Putin? “Spero di no, farebbe dilagare la violenza fuori dall’Ucraina. Però ci sono dei precedenti, c’è la Georgia del 2008..Per questo chiedo all’Europa di parlare con Putin per evitare la catastrofe”. Lo scontro è cominciato in nome dell’Europa, è ancora così? “C’entra la voglia d’Europa, certo. Ma è stata anche il catalizzatore di un malcontento diffuso per un sistema corrotto fuori misura”, “negli ultimi quattro anni il sistema ha raggiunto il massimo della corruzione, del degrado, dell’ingiustizia. La gente è scesa in piazza per l’europa ma chiedendo soprattutto dignità e, dignitosamente, è rimasta a lungo pacifica, non contro qualcuno ma per qualcosa, organizzando concerti nelle gelide notti di Kiev. Ora sta esplodendo la frustrazione di non essere stati ascoltati”. A Maidan, però, ci sono anche gruppi violenti. Gudziak risponde: “Ci sono degli estremisti, ma sono pochissimi rispetto al popolo ucraino che, a milioni, è sceso in piazza contro il governo. L’Europa deve aggirare la disinformazione di Mosca che fa passare il messaggio di un golpe neonazista contro i legittimi rappresentanti del Paese. A voi dicono che Maidan è nazista, ma qui fanno circolare la voce che sia mossa da un complotto ebraico. Balle. cristiani, ebrei e musulmani hanno scelto di stare con la gente e contro la violenza”.

Il corrispondente da Bruxelles de La Stampa si occupa della “battaglia diplomatica” sull’Ucraina: ieri a Kiev i ministri degli Esteri polacco, francese e tedesco hanno incontrato il presidente Yanukovich e i tre leader principali dell’opposizione per tentare di imbastire una “roadmap”: “La Ue tratta fra le pallottole, ‘Ultima offerta a Yanukovich’. Varate le prime sanzioni”. Le sanzioni, secondo quanto stabilito dal vertice straordinario dei ministri degli Esteri Ue, colpiranno “tutti i responsabili delle violazioni dei diritti umani, la violenza e l’uso eccessivo della forza”. Il pacchetto “comprende il congelamento dei beni all’estero e il blocco dei visti”. Accordo anche sulla sospensione di licenze di esportazione per materiale che può essere utilizzato per la repressione. Il nostro ministro degli Esteri Bonino ha puntualizzato che invece “la parte umanitaria è rafforzata” con l’introduzione di facilitazioni per i visti di dissidenti e rifugiati. Svedesi, polacchi e baltici volevano di più. Olandesi e danesi, come l’Italia, hanno spinto per colpire anche l’opposizione: “anche chi non voleva ha capito che nella piazza si sono infiltrati i peggiori gruppi estremisti”, ha detto Bonino.

Il Corriere della Sera offre una cronaca della giornata (“Le barricate e il massacro, così si muore per l’Europa in una piazza di Kiev”) e scrive che ormai a Kiev e guerra civile, che i “cecchini di Yanukovich hanno ricevuto l’ordine di sparare per uccidere”, che il Paese adesso “rischia la secessione”. Il quotidiano riferisce anche le dichiarazioni di uno dei portavoce del Movimento con “troppe bocche e poche menti”, secondo il quale Yanukovich farà la fine di Gheddafi. “Se Maidan è senza capi e senza più pazienza, i militari sono nervosi e prendono ordini da capi che non stanno nemmeno a Kiev”, scrive il Corriere.

Anche sul Corriere, con un commento di Franco Venturini, si fa riferimento ad una “Tienanmen nel bel mezzo dell’Europa”.

Il Giornale, nella cronaca della giornata di ieri scrive che Yanukovich “ostenta l’intenzione di tener duro”, ma che qualcosa si muove e “inizia a scricchiolare il suo potere: il sindaco di Kiev, l’ormai ex fedelissimo Volodymyr Makeyenko, ha lasciato il suo ‘partito delle regioni’ per protestare contro il ‘bagno di sangue in corso in città’ ed ha annunciato di ‘assumersi personalmente la responsabilità di assicurare mezzi di sostentamento ai suoi abitanti’”. Inoltre, dieci deputati dello stesso partito al potere hanno sottoscritto un documento in cui criticano la durezza della polizia e ed esortano le forze di sicurezza e i Berkut, le forze antisommossa, a “’non rispettare la direttiva criminale’” che consente loro di sparare sulla folla.

Sul Sole 24 si parla dell’atteggiamo di Washington: “L’America è impaziente ma resta defilata”. Gli Usa, che anni fa avrebbero “usato una retorica minacciosa” contro un regime che “soffoca il diritto della popolazione ucraina di legarsi all’Occidente”, oggi tace “anche perché di fatto non può fare molto di più”. Nonostante il “’colore’ della frase carpita” qualche settimana fa a Victoria Nuland (‘Si fottano gli europei’, a proposito della scelta di chi consideare interlocutore dell’opposizione per un nuovo governo ucraino), gli Usa sanno che se per Putin il controllo sull’Ucraina è questione “vitale sul piano strategico”, per Obama e gli Usa è un problema distante, che riguarda soprattutto gli alleati europei. “A Washington si dice che la Rivoluzione arancione, come molte altre rivoluzioni, non ha prodotto i frutti voluti, c’è disappunto per la mancanza di riforme, ma c’è anche la consapevolezza di poter fare molto poco in questo momento”.

Su Il Giornale al contrario Fausto Biloslavo scrive che “le ingerenze americane, come quelle russe, non mancano ma hanno superato il livello di guardia con l’aggravante di continuare a raccontarci solo dei manifestanti europeisti ammazzati dalla polizia e non degli agenti uccisi sull’altro fronte. In realtà è in atto una battaglia cruenta della nuova guerra fredda tra Washington e Mosca”.

Governo

“Il sindaco avvisa: non sarà un Letta bis, questa è la nostra ultima occasione”: un articolo del Corriere della Sera riferisce le parole di Renzi (“Ragazzi, ci stiamo giocando tutto. La faccia, innanzitutto, e poi il resto”), e spiega che il premier incaricato vorrebbe portare già stasera la lista dei ministri al Quirinale. Renzi – scrive il quotidiano – nega che il ministro dell’Economia sia Guido Tabellini. Non smentisce invece il nome di Padoan.

Sullo stesso quotidiano, qualche pagina più avanti: “Io in via XX settembre? Sono qui al G20 per l’Ocse”, dice Padoan da Sydney. Al vertice tra l’altro non c’è il ministro dell’Economia in carica, Saccomanni, che ha deciso di evitare di partecipare al vertice in un momento proprio per evitare il momento dell’avvicendamento con il suo successore.

Sul Sole 24 Ore: “Economia, in ascesa Padoan. Sarebbe bilanciato da un vice politico. Ma Renzi non rinuncia all’opzione Delrio”. Il quotidiano scrive che Lucrezia Reichlin si è tirata fuori, che l’ipotesi Tabellini ha perso peso, e che il politico che potrebbe “bilanciare” sarebbe Enrico Morando, mentre Delrio sarebbe il vicepresidente del Consiglio.

Sul Corriere della Sera l’editoriale, firmato dagli economisti Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, invita il governo futuro a “dire la verità”, condizione preliminare per “rinegoziare i vincoli europei”, cosa considerata “inevitabile” dai due economisti. Innanzitutto dunque fornire stime di crescita realistiche, perché quelle del governo uscente sono più ottimistiche di quelle degli organismi internazionali. E poi ridurre la stretta creditizia e ridurre il cuneo fiscale, tagliando i sussidi alle imprese e usando i risparmi della spending review. E poi – perché ridurre le imposte sul lavoro non basta – intervenire sui contratti a tempo indeterminato, per rompere quel “muro invalicabile” che separa chi ha un lavoro a tempo indeterminato e chi a tempo determinato.

Il Giornale riferisce dell’incontro di ieri di Renzi con Luca di Montezemolo (“Il presidente della Ferrari valuta se entrare in squadra”). Sui rapporti con l’Ncd Il Giornale scrive che la linea di Renzi è “tutto fuorchè Alfano al Viminale”, mentre sul nodo dell’Economia scrive che Napolitano ha lavorato fino all’ultimo per convincere Enrico Letta, che domenica scorsa era a pranzo a Castel Porziano, a fare il ministro dell’Economia. Ma Letta – dice un renziano citato dal quotidiano – non ha alcuna intenzione di levare le castagne dal fuoco per Renzi. “’Renzi ha voluto la bicicletta, ora pedali’”.

Sul Messaggero si segnala che – con Montezemolo – ieri Renzi ha incontro lo sceicco Al Mubarak, patron del Manchester, capo del fondo Mubadala, interessato all’affare Alitalia Etihad. Montezemolo è stato indicato come possibile presidente di Alitalia dopo l’accordo con il vettore degli Emirati.

L’Unità sintetizza l’esito del vertice di maggioranza che si è tenuto ieri, con il commento di Graziano Delrio: “Il vertice di maggioranza ‘per me è andato benissimo’, ha detto poi Delrio conversando con i cronisti. ‘Abbiamo offerto la sintesi dei documenti dei vari pariti’, ha aggiunto. A chi gli chiedeva delle divergenze emerse durante l’incontro ha risposto: ‘È ovvio che, ad esempio tra Scelta civica e Socialisti, sui temi etici ci siano punti di vista diversi’.
“Ma il Nuovo centrodestra minaccia:  Angelino Alfano non può restare fuori dal governo. ‘Se questi sono i desiderata di Matteo Renzi non se ne fa nulla. Le posizioni entranti devono essere quelle uscenti. Il Pd non può pensare di far pagare al leader di Ncd, le diatribe interne al Partito democratico’. Così fonti di Ncd, replicano alla notizia secondo cui Matteo Renzi sarebbe intenzionato a lasciare fuori dall’esecutivo il leader del Nuovo centrodestra”, conclude L’Unità.

Su La Stampa: “Civati raduna i dissidenti: ‘Difficile restare nel Pd’. Il deputato ha convocato i suoi a Bologna per discutere di un nuovo progetto politico. Contatti con gli ‘eretici’ M5S”. Sulla stessa pagina, intervista al senatore Pd Felice Casson, che alle primarie ha sostenuto Civati: dice che “c’è un problema politico di fondo. e cioè che la maggioranza che si va profilando non è affatto quella indicata dal documento della direzione del Pd. Non era previsto l’ingresso nel perimetro della maggioranza del Gal, gli uomini di Cosentino e di Micciché”.

Anche L’Unità spiega che Civati ieri, con un post sul suo blog, ha convocato a Bologna i dissidenti per domenica: “Siccome non vi consulta nessuno noi, nel nostro piccolo, lo facciamo. Non solo on line. Ci vediamo alla Scuderia, a Bologna», il locale di piazza Verdi nella zona universitaria della città di Romano Prodi. Un incontro “aperto a tutti quelli che tengono alla sinistra e all’Ulivo, almeno un pò. Che di questi tempi…”

Su La Repubblica: “Minoranza Pd in subbuglio: ‘Cuperlo non ci consulta’”, “Lettera dell’ex presidente del partito a 150 parlamentari: ‘Nell’incontro con renzi non ho avanzato richieste’. Ma poi ammette: sui nomi tratto io”. Il deputato pd Lauricella, per esmpio, spiega: “prima di individuare chi debba andare al governo andrebbe valutato se andare al governo”. La sensazione, scrive La Repubblica, è “che ogni microfrazione -Cuperlo, i bersaniani di Fare Pd, Giovani Turchi- stia trattando per sé gli assetti nel futuro esecutivo”.

Sul Sole 24 Ore Stefano Folli, nel descrivere la luna di miele che ora Renzi vive rispetto all’Italia e ai mercati internazionali, ricorda la “grave ambiguità” che “pesa all’interno della maggioranza” e che si riflette in parlamento nell’ “obliquo rapporto tra il presidente del Consiglio e colui che ufficialmente guida l’opposizione, cioè Silvio Berlusconi”, sul nodo della riforma elettorale.

E poi

Su La Repubblica la “decisione shock” della Corte suprema di Londra: “‘Trattamenti inumani, non rimandateli in Italia’”. In Italia quattro profughi (tre eritrei e un iraniano) temono di essere esposti a trattamenti degradanti e stupri. Sono quattro profughi arrivati clandestinamente in Europa: prima tappa è stata l’Italia, poi sono arrivati in Gran Bretagna. Rinchiusi in un centro per immigrati, in attesa di esse trasferiti verso il Paese d’origine, che in questo caso è il nostro Paese, cui sarebbe spettato il compito di decidere del loro destino finale, hanno fatto appello tramite un avvocato e un giudice della Corte suprema ha dato loro ragione.

Sul Corriere si torna sulla questione del contenzioso sul Canale di Panama, un’opera da 5 miliardi di dollari affidata ad un Consorzio di cui fa parte anche la italiana Impregilo. “Cadono i veti, il cantiere riapre”.

Su L’Unità la notizia che il governo libico ha varato un decreto, che dovrà essere approvato dal Congresso, che riconosce lo stupro come un crimine di guerra, ed equipara le donne stuprate ai combattenti colpiti in guerra. Avranno diritto a un risarcimento finanziario, all’assistenza sanitaria, ad un alloggio e un sussidio scolastico.