Il Pd Genovese già in carcere

Pubblicato il 16 Maggio 2014 in da redazione grey-panthers

Le aperture

Il Corriere della Sera dedica il titolo più grande al voto su Genovese: “Il Pd Genovese già in carcere”. Sul voto: “Sì della Camera: niente applausi, silenzio dopo il voto. No di Forza Italia, Ncd e 6 Democratici”. E poi: “Boccassini contro Robledo sulle doppie indagini”. Il titolo di apertura è per il Pil: “Il Pil dell’Italia di nuovo in frenata. Lo spread torna a toccare quota 195”.

La Repubblica: “Pil, gelata sulla ripresa. Borsa ko, su lo spread, manovra-bis più vicina”, “Padoan: teniamo alta la guardia. Il premier: resto fiducioso.”, “E’ legge il decreto lavoro”.

A centro pagina: “La Camera vota, il Pd Genovese”. Con la foto del deputato del M5S Manlio Di Stefano che incrocia le mani in modo da minare le manette ai polsi.

La foto a centro pagina è per le donne del Sud Sudan in preghiera, mentre “il mondo si mobilita”per salvare una donna cristiana condannata a morte per apostasia: “Meriam, la nuova martire, ‘A morte perché cristiana’”. Di Enzo Bianchi.

In taglio basso: “Rostagno, ergastolo ai mafiosi”.

Di spalla si torna sul video-shock lanciato dal quotidiano sugli immigrati morti in fondo al mare di Lampedusa: “Il video-shock a Lampedusa. Renzi: ora agisca la Ue”. In un’intervista al quotidiano il presidente del Consiglio dice: “Quel video mi dà i brividi, l’Ue non può girare la testa”. E poi un commento di Tahar Ben Jelloun: “Quel cimitero blu ignorato da tutti”.

La Stampa: “Pil negativo, frena la ripresa”, “Record di fallimenti, ma segni in controtendenza nei consumi”.

Sotto la testata: “Genovese: sì all’arresto. Il deputato già in carcere”.

In evidenza in prima anche un “retroscena” che preannuncia: “Anche Previti va con Alfano”.

A centro pagina, la foto è per il presidente Usa che, insieme al sindaco di New York Michael Bloomberg, guardano le foto delle vittime dell’11 settembre nel museo appena inaugurato: “Obama nelle catacombe di Ground Zero”.

Il Sole 24 Ore: “Il Pil torna negativo, scossa sui mercati”. “Nel primo trimestre il Prodotto si ferma a sorpresa a -0,1 per cento”. “Crescita lenta anche in Europa, solo la Germania va un po’ meglio (0,8)”. “Lo spread risale di 26 punti e chiude a 180, Milano perde il 3,61. Renzi: con le riforme ripartiamo”. “Ritorno alla realtà” è il titolo dell’editoriale del direttore Napoletano.

Il Fatto: “Renzi arresta Genovese. Ma nel Pd resta l’incubo Greganti”, “Il premier impone il voto palese della Camera e da ieri sera il deputato del suo partito è in cella. Gli ex Ds si adeguano ma a fatica. Intanto dall’inchiesta Expo 2015 emergono il ruolo politico del ‘compagno G’ e i suoi contatti in Parlamento: ‘Ho finito ora la riunione al Senato’”.

In taglio basso: “Cala il Pil, sale lo spread, dopo le Europee arriva il conto”

In evidenza anche un titolo che riguarda la Rai: “Vespa, i depositi Vhs, il Vaticano e Floris: gli affitti d’oro Rai”, “Un salasso da 11 milioni l’anno: è il totale di quanto la tv pubblica paga per sedi, studios abbandonati e vecchi casermoni”.

L’Unità: “Genovese, il Pd spiazza Grillo. I democratici impongono il voto palese: dalla Camera sì all’arresto del deputato che si costituisce”. “’Per noi la legge è uguale per tutti’. Contrari Fi, Ncd e 6 Pd. Show M5S in Aula, il leader insulta”. A centro pagina: “L’economia frena, il governo accelera”.

Il Giornale: “La prova del complotto. Macché dimissioni volontarie. Il governo Berlusconi inviò a Berlusconi un dossier anti-spread. Napolitano lo ignorò: aveva già deciso di far cadere il Cavaliere”.

Il titolo di apertura è: “Si sgonfia il bluff di Renzi. Pil di nuovo in calo e Piazza Affari sprofonda”.

Pil

Su La Repubblica un’analisi di Federico Fubini: “Siamo la pecora nera dell’Europa, ora a rischio gli effetti del bonus Irpef”. Alle pagina seguenti: “E a Palazzo Chigi scatta l’allarme rosso: ‘Ma niente manovra’”

Su Il Fatto: “Irrealistici i numeri di Renzi. In autunno c’è la manovra”.

La Stampa: “La caduta del Pil gela Borsa e governo”. E di fianco: “Renzi incassa il colpo, ‘Ma la nostra sfida è contro i disfattisti’”, “Il dato pesa sulle urne, il premier però non cambia strategia”. E sulla stessa pagina: “La ripresina viaggia nel carrello. Al supermarket si rivedono i consumi”, “In quattro mesi la spesa sale dello 0,8%, più gente al bar e in autostrada”.

Sul Sole 24 Ore Roberto Napoletano scrive che “non esiste la ripresa naturale, non è stata ancora inventata. È vero che sui mercati l’euforia era eccessiva, ma lo shock è arrivato del tutto imprevisto e (tutto) intero dal terreno più delicato che è quello dell’economia reale”. L’Italia va peggio di altri Paesi europei, “l’obiettivo di una crescita dello 0,8% accreditato come una stima prudente, è in parte compromesso”, e tutta l’Europa “deve bruscamente voltare pagina (da ieri) e si spera che la Francia capisca che lo scudo tedesco alla lunga non serve a niente se l’economia europea sprofonda. La Francia si allei con l’Italia e la Spagna e incoraggi i segnali di ravvedimento sempre più forti che emergono nel ceto politico, economico e finanziario all’interno della stessa Germania”.

Sull’Italia quello di ieri è un “test di fragilità che “buca” i semplicismi e gli ottimismi di maniera. La forza politica e le energie che il premier Renzi sprigiona e che segnano positivamente la sua stagione politica, si devono tradurre in un piano organico” che coniughi tagli alla spesa improduttiva e scelte per il settore produttivo: “lo shock di ieri, elezioni permettendo, può essere addirittura salutare se favorisce un ritorno alla realtà”.

Sullo stesso quotidiano un articolo da Parigi è titolato: “Berlino corre, Parigi resta al palo. Si allarga nel primo trimestre il divario tra le due grandi economie di Eurolandia”. In Francia la crescita nel primo trimestre 2014 è stata pari a zero.

Il Sole dà conto anche del “tweet” di Padoan: “Pil speculazione spread… Teniamo alta la guardia: testa alla crescita, occhi sui conti, cuore all’occupazione”, con hashtag #riformareovivacchiare.

Genovese

Il Fatto: “Capolinea Genovese, tutto il Pd vota l’arresto”, “Dopo una giornata di tensioni, la mossa di Renzi: ‘Chiediamo subito lo scrutinio palese’. Contrari Forza Italia, Ncd e solo sei democratici”. Il quotidiano intervista l’ex responsabile giustizia del Pd Danilo Leva, che dice di aver votato a favore dell’arresto, ma conferma le perplessità: “E’ una vicenda complessa, ci sono 16 faldoni, e si presta a una duplice interpretazione”. Insomma si adegua ma dice che non si devono seguire “le mode del momento”: “Prima di leggere tutte le carte in Giunta (delle Autorizzazioni, ndr.) i Cinque Stelle avevano già deciso per il carcere”.

Su La Repubblica Giovanna Casadio in un “retroscena” racconta : “La giornata nera dei Dem, ‘Bisognava rinviare il voto’”. Il quotidiano descrive i democratici “sotto shock” e parla delle lacrime della giovane deputata messinese Maria Tindara Grillo, che dice: “Abbiamo subito il ricatto grillino”.

Il Giornale scrive che “il via libera arriva da Pd, M5S, Sel e Scelta Civica mentre Forza Italia e Ncd si schierano contro le manette, mentre Per l’Italia che lascia libertà di coscienza e i Socialisti fuori dall’aula. Il cortocircuito si scatena, naturalmente, dentro il Pd, messo alle strette da Beppe Grillo. I dubbi si rincorrono, si oscilla tra voto segreto e palese, si cerca di far scattare il rinvio a dopo le Europee, ci si interroga sulle conseguenze elettorali e sugli effetti del possibile assist a M5S che, non a caso, maramaldeggia per tutta la giornata, pubblicando più di un video in cui incalza e dileggia il partito di Renzi. Alla fine è lo stesso premier a mettere da parte i dubbi garantisti che tanti nutrono in merito a misure cautelari di cui si fatica a ravvisare l’utilità. ‘Basta, si vota oggi con scrutinio palese’ è il messaggio del premier. Che twitta: ‘Il Pd crede che la legge sia uguale per tutti. E la applica, sempre. Anche quando si tratta dei propri deputati’”. I sei deputati Pd che hanno votato contro la richiesta d’arresto sono Maria Amato, Giuseppe Fioroni, Tommaso Ginoble, Gero Grassi, Maria Gaetana Greco e Maria Tindara Gullo, vicina di banco di Genovese. L’intervento più toccante è, però, quello di Angelo Attaguile, del gruppo Lega e Autonomie, che ricorda la propria odissea vissuta nella stessa terra di Genovese. ‘La mia sofferenza è durata 20 anni. Sono stato assolto in quarto grado, con la revisione del processo. Ho subito la morte civile mentre il magistrato continua a giudicare. Oggi purtroppo stiamo assistendo a un film western’”.

La Stampa: “Tutti a favore dell’arresto. Ma il M5S non rinuncia al teatrale attacco al Pd”. Il “retroscena” del quotidiano: “Renzi: ‘Non prendiamo lezioni di legalità da Grillo’”, “La linea del premier: nessun rinvio per evitare contraccolpi elettorali”.

Il quotidiano intervista Gero Grassi, uno dei sei deputati Pd che ha votato no: “C’è persecuzione, per questo mi sono opposto”, “Il giudice chiede la custodia cautelare in carcere per il pericolo di reiterazione del reato: ma non può esserci visto che per esserci ci vorrebbe la controparte della Regione, che in questo momento non credo farebbe un contratto con Genovese”. Di fianco, intervista al deputato M5S Alessio Villarosa: “Avevano paura di perdere consensi alle Europee”. Dice: “Guardi i resoconti stenografici: in mattinata Rosato (deputato Pd, ndr), aveva chiesto di mettere all’ordine del giorno prima un altro provvedimento, e il capogruppo Speranza diceva che non volevano affrontare il caso Genovese per evitare strumentalizzazioni del M5S”.

Sul Corriere si scrive che “tra i 247 deputati del Pd favorevoli all’arresto del compagno di partito Francantonio Genovese, sono davvero pochi quelli convinti di aver fatto la cosa giusta. Ma quasi tutti sanno di aver scelto il male minore per il Pd davanti al pressing dei 5 Stelle”. E si cita la definizione di Beppe Fioroni, secondo il quale “il ‘clima forcaiolo’ imposto dai grillini, lo scrutinio palese invocato da Renzi e avallato da Forza Italia hanno trasformato la seduta in una sorta di ‘ordalia del sangue’”.

Guerra in Procura

Su Il Fatto, “tra i veleni”, in riferimento alla Procura di Milano: “Botte in Procura. Anche per Ilda Robledo intralciò”, “Boccassini sul doppio pedinamento dell’inchiesta. Expo dà ragione al Procuratore capo. La replica: il ‘nostro’ servizio di osservazione fu disposto prima”. E il quotidiano descrive i due personaggi protagonisti dello scontro. Alfredo Robledo: “Il sostituto che trovò i conti esteri del Celeste” (ovvero dell’ex governatore della Lombardia Roberto Formigoni, ndr), di Gianni Brbacetto. E Edmondo Bruti Liberati: “Bruti Liberati, ‘politico’ delle regole anche dentro Md”.

La Repubblica: “Bruti e Boccassini contro Robledo, ‘I doppi pedinamenti ci sono stati’”, “Anche il pm Greco accusa: tre anni di indagini su Formigoni senza iscriverlo’”. Si riferiscono le parole di Francesco Greco, a capo del pool reati finanziari, in audizione al Csm, in riferimento Robledo: “Lui ha avuto un attimo di resipiscenza e autocritica perché in Oil for food, avendo un faccendiere, il capo di casa di Formigoni, la a barca e le utilità, le tangenti, non ha mai iscritto Formigoni, pur avendoci indagato per tre anni”. La Repubblica sposa decisamente la tesi della non collaborazione di Robledo con gli altri colleghi della Procura di Milano (firma l’articolo Liana Milella).

Su La Stampa, Paolo Colonnello sulla “guerra in Procura”: “La Boccassini: ‘Robledo dice falsità’. Csm verso la decisione” su eventuali incompatibilità ambientali. Se Robledo dice che non c’è stato un doppio pedinamento da lui disposto, Boccassini risponde al Csm: “Purtroppo questo doppio pedinamento è avvenuto”. Per il quotidiano si tratta di una “guerra ormai fuori controllo”.

Greganti

Sul Corriere da segnalare una intervista a Sergio Chiamparino, candidato alla presidenza della Regione Piemonte: “Chiamparino: ‘coinvolte persone che non c’entrano’”, in cui innanzitutto risponde all’editoriale di Gian Antonio Stella di ieri, che elencava le manifestazioni e gli eventi italiani, spesso occasione di corruzioni e spese folli, e dice che non è stato così per le Olimpiadi invernali piemontesi del 2006, “l’unica manifestazione in cui non c’è stato un euro speso illegalmente”. “Certo che conosco Primo Greganti, era il mio capogruppo a Moncalieri nel 1975, l’anno dopo l’ho sostituito io. Non sono un ipocrita, non mi ha mai chiesto niente, se lo incontro lo saluto. A Torino lo conoscono tutti”. Chiamparino, sul suo partito, aggiunge: “Non voglio fare difese d’ufficio, ma se davvero si vogliono individuare certe criticità nel Pd, che ci sono, il modo non è questa catena di Sant’Antonio che coinvolge nomi e persone che nulla c’entrano con Expo 2015. Anzi, mi sono riavvicinato al Pd perché mi pare abbia fatto propria la questione morale”. Un nome: Giancarlo Quagliotti, “vicesegretario regionale del Pd in pectore” come scrive il Corriere, già condannato con Greganti in passato, presidente di Musinet, società del gruppo Sitaf, la società autostradale piemontese. “Quagliotti non è politicamente vicino a me”, dice Chiamparino, e anzi ha anche avuto un ruolo nella sconfitta di un candidato Pd alla segreteria regionale “che a me non dispiaceva”. “Non c’era bisogno di Expo 2015 per sapere che ha lavorato con Gavio e in passato ha avuto disavventure giudiziarie”. Dopo aver scontato la condanna “è tornato alla politica, ne aveva il diritto”, mentre altro discorso è quello dei doppi incarichi, inopportuni, “una anomalia della nostra politica”, “eviterei di farli”. Ma “che da qui si arrivi subito a una presunzione di disonestà, personale e generale del Pd, beh, questo rientra nella cultura del sospetto cara alle purghe staliniane”.

Il Fatto: “Expo, Primo Greganti beccato, ‘Appena uscito dal Senato’”: “La Guardia di Finanza di Milano ha la prova, un’intercettazione dell’ex comunista. Piero Grasso chiede a Bruti Liberati le date degli ingressi”. Secondo il quotidiano “se Palazzo Madama smentisce, la Finanza di Milano conferma e risolve il giallo della presenza di Primo Greganti in Senato. I militari, titolari dell’indagine sulla cupola degli appalti Expo 2015, sostengono che il compagno G, già condannato per Tangentopoli, si recasse in Parlamento ogni mercoledì”. 19 febbraio scorso, mancano due minuti alle undici del mattino: il telefono di Greganti è sotto controllo, parla con Sergio Cattozzo, ex segretario Udc ligure e, come scrivono i militari della Guardia di Finanza di Milano, “Greganti dice di avere appena finito una riunione al Senato”. Commenta il quotidiano: “non certo una millanteria. Tanto che, spiegano gli investigatori, ‘la cella di localizzazione a cui si appoggia il cellulare in uso allo stesso, a titolo di esempio, alle ore 10.58, è ubicata in via dei Cestari, nei pressi di Corso Rinascimento/Palazzo Madama”. Ieri il presidente del Senato Grasso ha chiesto al procuratore Bruti Liberati date e orari degli ingressi di Greganti.

Quasi identico l’articolo de Il Giornale, con date, celle e la domanda se quella di Greganti vosse “verità o millanteria”, “perché l’interrogativo delle tante intercettazioni da cui spuntano i nomi di politici di primo piano (da Bersani a Berlusconi) è questo: gli indagati avevano reali contatti con i big o semplicemente si ‘vendevano’ quelle conoscenze per accreditarsi presso gli imprenditori cui chiedevano mazzette? Comunque, è assai probabile che Greganti sia davvero entrato a Palazzo Madama”.

Frigerio

La Stampa “Ghedini dai pm con le ‘note’ di Frigerio”: dove si spiega che il legale di Berlusconi ha consegnato i messaggi ricevuti dall’ex premier sottolineando che si trattava solo di analisi politiche. Ieri lo stesso Berlusconi in un’intervista ha dichiarato: “Io non ho mai incontrato nessuno. Il signor Frigerio è un vecchio democristiano, mi fa la cortesia di mandarmi i suoi pensieri sulla situazione economica mondiale e italiana, tant’è vero che li abbiamo ritrovati e il mio legale li va a consegnare oggi in Procura”.

Internazionale

Su La Repubblica segnaliamo un reportage di Bernardo Valli dalla Germania: “I fantasmi della Germania condannata all’egemonia”, “Nel Paese guidato da Angela Merkel tra crisi dell’euro, paure del passato e crescita senza precedenti. Il mito della ‘democrazia sobria’ e l’orgoglio di essere un gigante globale, ‘Ma non ci piace la parola leadership’”.

Su La Stampa: “Svizzera, il salario minimo corre verso il massimo”, “Domenica al voto: se c’è l’ok alla proposta, la paga sarà tra le più alte del mondo” (i tratta dell’introduzione di un salario minimo di 4mila franchi al mese, ovvero 3.300 euro), “I sindacati: solo la metà dei lavoratori è tutelata col contratto collettivo”. L’inviato a Lugano è Michele Brambilla e intervista Stefano Modenini, direttore di Aiti, associazione delle industrie ticinesi: “Se questa norma passa, le aziende potrebbero delocalizzare in Italia”.

Su La Repubblica il reportage di Marco Ansaldo dalla Turchia: “Erdogan nella bufera per due video-shock: ‘Calci ai manifestanti’”, “Il premier sotto accusa: ‘Ha dato un pugno alla figlia di una delle vittime della strage di Soma’”. Ansaldo è andato sul posto: la miniera di Soma. E ha parlato con i lavoratori: “’In ginocchio un chilometro sotto terra, la mia vita in miniera’”.

Il Corriere parla delle dimissioni dell’inviato Onu in Siria Lakhdar Brahimi, e scrive che la notizia “torna a testimoniare la gravità della crisi siriana”, perché Brahimi da due cercava di “giungere alla deposizione graduale e pacifica di Assad”, e tre giorni fa ha annunciato le sue dimissioni. Decisione non sorprendente, vista l’impasse nelle trattative evidente già a febbraio, ai tempi del vertice “Ginevra 2”. L’ultimo colpo alle speranze di evoluzioni è stato l’annuncio dato da Assad di elezioni generali il 3 giugno: “E’ ovvio per tutti che quel voto non avrà nessun valore. I brogli saranno la regola, la propaganda la sua bandiera”.

Su Avvenire si dà conto del vertice londinese con la Coalizione nazionale siriana, guidata da Ahmed Jarba, il cui ufficio di Londra ieri ha ottenuto lo status di rappresentanza diplomatica. Alla riunione di ieri era presente anche il segretario di Stato Usa Kerry, che ha definito le elezioni siriane del 3 giugno “una farsa, un insulto e una frode”.

E poi

Da segnalare sul Sole 24 Ore una intervista a Franco Frattini, che da ex ministro degli esteri ed ex vicepresidente della Commissione Ue parla di immigrazione: “Se non si dividono gli arrivi tra gli Stati, Frontex non serve”. Frattini ricorda che anche in passato l’Europa dovette fronteggiare ondate di immigrati, in particolare tra il 2005 e il 2007 arrivarono profughi iracheni, e in quel caso la Svezia, l’Olanda, la Finlandia e la Danimarca “fecero la loro parte”, ma insiste che il punto è cambiare la regola della convenzione di Dublino, per cui l’immigrato chiede asilo nel Paese di ingresso. Questa regola “non la si vuole cambiare”, dice.