Il Corriere della sera: “Marine Le Pen perde la sua sfida. Sette regioni ai repubblicani e sei ai socialisti. La leader: ‘Intimidazioni contro di noi’. Funziona la ‘diga’ anti Front National. Anche Marion sconfitta. Valls: l’estrema destra resta pericolosa”.
“La breve alleanza contro la paura” è il titolo dell’editoriale di Aldo Cazzullo. “Ma il lieto fine è solo apparente” scrive Massimo Nava.
A centro pagina: “Renzi attacca sul caso banche: schifo per chi sfrutta la morte”.
Sopra: “Risparmio, Bankitalia: vietare la vendita di obbligazioni subordinate allo sportello”.
Sotto: “Parla Giuseppe Vegas (Consob): ‘Il governo non ci ha chiamato’”.
A fondo pagina una intervista al cardinal Camillo Ruini: “Non nascondiamo i nostri simboli”.
La Repubblica: “La Francia ferma l’onda Le Pen”, “Ai ballottaggi netta vittoria della mobilitazione anti destra. Quasi al 60% l’affluenza alle urne”, “Travolto il Front National, sconfitte Marine e Marion, ‘Contro noi intimidazioni’”, “Le Regioni si dividono, 7 a Sarkozy e 5 ai Socialisti. Nessuna ai populisti”.
“Lo spettacolo del sussulto democratico” è il titolo dell’analisi di Bernardo Valli da Parigi.
E il quotidiano intervista l’ex ministro socialista Jack Lang (“Ora però la politica dia prova di credibilità”) e lo scrittore Marek Halter (“Contro gli estremisti ci salvino i musulmani”).
Poi un reportage di Pietro Dal Re: “A Nizza nel feudo ‘nero’, ‘Continueremo la lotta’”.
L’altro tema che campeggia in prima è quello delle banche. “Renzi attacca sulle banche, ‘Sì all’inchiesta, no a favori’. Padoan: ‘Sistema solido’”.
Con un’analisi di Alessandro Penati: “La sovrapposizione Bankitalia-Consob”.
Della chiusura della Leopolda scrive Stefano Folli: “L’ennesima occasione mancata”.
A fondo pagina, intervista a Sergio Marchionne: “Così l’industria rispetterà il patto sul clima’”.
La Stampa: “La Francia dice no alla Le Pen”, “Tiene ‘l’argine repubblicano’, nessuna regione al Front. Marine: vittima di intimidazioni”, “Affluenza record, il secondo turno lascia a secco i populisti. Al partito di Sarkozy 7 presidenti, 5 ai socialisti”.
A questo tema sono dedicati il commento di Cesare Martinetti (“I partiti storici alla ricerca di una visione”) e le interviste al ricercatore e analista Alexandre Dézé (che sottolinea come alla Le Pen siano andati “solo voti di protesta”) e al leader della Lega Nord Matteo Salvini (“E’ stata una lezione di orgoglio”, “Battuta da un’ammucchiata di orgoglio”).
A centro pagina: “Banche, sono oltre mille i piccoli risparmiatori beffati”, “Renzi: chi strumentalizza i morti mi fa schifo. Bankitalia: stop ai bond subordinati”.
“Il credito e la riforma non rinviabile” è il titolo del commento di Emanuele Felice.
Sulla colonna a destra, il caso Garlasco: “Stasi in cella, ‘Non so se sopravviverò qui’”, di Lodovico Poletto.
In prima anche la polemica nata dopo il “concorso” lanciato alla Leopolda sul peggior titolo di giornale, che ha messo nel mirino in particolare “Il Fatto”: “Il concorso sbagliato del premier” è il titolo di un commento di Stefano Feltri.
Il Fatto: “Renzi in guerra. Contro il Fatto”, “L’edittino. Ieri ha chiuso la Leopolda con nuovi attacchi alla stampa libera” (si segnala una foto di Renzi ritratto durante l’intervento alla kermesse con il braccio teso). “Sul palco dell’ex stazione fiorentina -spiega il quotidiano- il presidente del Consiglio rinnova le critiche al nostro quotidiano: ‘Non sarà un titolo di giornale a cambiarci la giornata’ e ‘chi strumentalizza la morte delle persone mi fa schifo’. Infine: ‘Mio padre passerà il secondo Natale da indagato e mi ha detto di andare all’attacco contro veleni e polemiche’. Fuori intanto la protesta dei parenti delle vittime di Viareggio e dei risparmiatori, ma la ministra Boschi non c’era”.
“Tutte le balle del premier” è il titolo dell’editoriale di Stefano Feltri e Marco Travaglio.
Sulla crisi delle banche: “Padoan rassicura. Ma la realtà è molto diversa”, “Il ministro dell’Economia afferma che il sistema bancario è solido, eppure in pochi anni sono 23 gli istituti commissariati, e molte le inchieste in mano alle procure. E noi pubblichiamo l’elenco completo”.
A centro pagina: “Il duo Hollande-Sarkozy fa fuori le due Le Pen”, “Il ballottaggio stoppa il Front National”.
La “storia di copertina”: “Tra mitragliatori e blocchi: vivere in Italia con la paura”.
Il Giornale: “Banche, amici e De Benedetti. Il giallo dell’affare milionario”. “Finanza e Procura indagano sulla plusvalenza dell’Ingegnere sulle Popolari”. E poi: “Business si famiglia, Renzi si infuria ma non spiega”.
A centro pagina: “Francia, nessuna regione alla Le Pen. Il secondo turno penalizza il Front National. Decisiva l’alleanza socialisti-Sarkozy”.
Francia
La Repubblica, pagina 2: “Nessuna regione al Front National. Le Pen: ‘Il regime è in agonia’. Sarkozy vince, ma il partito si divide”, “Al centrodestra maggioranza in sette Consigli anche grazie al passo indietro strategico fatto dai socialisti. Il Ps piazza cinque candidati: un successo per Hollande oltre le aspettative”.
E’ stato decisivo, scrive Bernardo Valli su La Repubblica, quel nove per cento in più di francesi che si è recato a votare al secondo turno delle elezioni regionali: è stato “un sussulto democratico spettacolare, esclamavano all’annuncio i militanti di sinistra che si sentivano i protagonisti nelle due grandi regioni del Nord e del Sud. Ed era un entusiasmo giustificato: a fermare l’avanzata dei maggiori rappresentanti dell’estrema destra è stata la barriera (il front républicain) eretta dai socialisti. Ritirandosi e riversando i suffragi sui candidati di centro destra, nonostante il rifiuto di Nicolas Sarkozy di partecipare all’operazione, essi hanno contribuito da soli, di propria iniziativa”, alle sconfitte delle due Le Pen. Nella zona che un tempo era la terra dei minatori, eroi di Emile Zola in “Germinal”, ovvero il Nord Pas-de-Calais e Piaccardia, Marine Le Pen aveva ottenuto più del 40 per cento al primo turno: aveva la vittoria a portata di mano e, con una manciata di voti, avrebbe conquistato la presidenza di una regione significativa, dove una volta la sinistra trionfava. Xavier Bertrad, il candidato del centrodestra, affrontava il ballottaggio con meno del 25 per cento: ma “la mossa socialista di ritirare il proprio uomo e invitare a votare per Bertrand ha spiazzato Marine Le Pen, l’ha lasciata al 42 per cento, due punti in più rispetto al primo turno. L’avversario ha avuto il cinquantasette e 6 per cento”. Tuttavia Valli ricorda che il Front National “ha raccolto i sei milioni di una settimana fa, più alcune centinaia di migliaia, che confermano il suo primato nella società politica nazionale”. Per quel che riguarda Marion Maréchal Le Pen, la giovane nipote capolista in Provenza-Alpi-Costa Azzurra, la sua sconfitta è stata “più dolorosa”: Christian Estrosi, sindaco di Nizza e fedele di Sarkozy, l’ha battuta 54,5 contro 45,5. La sconfitta del Fn di ieri, tuttavia, “non toglie che la continua crescita dei voti in favore del Front National, passato dai tre milioni del 2004 ai sei milioni del 2015, rappresenti un’importante novità nel sistema politico francese. Segna l’agonia del bipartitismo e l’avvento del tripartitismo”. Il Front “è ormai una forza con radici profonde nel Paese, con un personale qualificato e un’adesione estesa sul terreno nazionale, soprattutto tra i giovani, che non riescono a distinguere sinistra e destra”.
Anais Ginori, alle pagine seguenti, da Parigi: “I socialisti: ‘Un successo senza gioia’”, “La sinistra ‘resiste’ vincendo in 5 regioni su 13, grazie a coalizioni con i Verdi. Perde però Normandia e Ile de France. Valls: ‘Nessun trionfalismo’. Dibattito su un eventuale rimpasto di governo e sulla linea per le presidenziali del 2017”. Le regioni in cui hanno vinto i socialisti sono l’Aquitaine-Limousin-Poitou-Charente, la Bretagna, il Languedoc-Roussillon-Midi-Pyrénées, poi Bourgognr-Franche-Comté e Centre. Il premier Valls, che aveva paventato la guerra civile in caso di vittoria dell’estrema destra, “è stato il più convinto portavoce dell’idea di ritirare i candidati di sinistra nelle regioni di Nord e Sud dove il Fn rischiava di vincere”, ma anche lui sa che “agitare lo spauracchio dell’estrema destra non può bastare per mobilitare l’elettorato della gauche. Le regionali hanno dato un chiaro segnale. Al primo turno il Partito socialista ha ottenuto solo il 22 per cento dei consensi, in terza posizione dopo Fn e Républicains”.
La Stampa, pagina 2: “Stop all’estrema destra. Nessuna regione al Front”, “I Républicains di Sarkozy ne conquistano sette, cinque i socialisti”. Scrive Paolo Levi da Parigi che “a un mese esatto dagli attentati di Parigi il ‘cordone sanitario’ lanciato dal governo Hollande e dalla maggioranza socialista per sbarrare la strada all’avanzata” al Front National, “nonché l’affluenza record -si è recato alle urne il 60% degli elettori- hanno soffocato il ciclone frontista”.
Cesare Martinetti, nella sua analisi del voto in prima pagina (“I partiti storici alla ricerca di una visione”), sottolinea quanto sia stato importante che molti astensionisti siano andati a votare al secondo turno e come “lo spirito ‘repubblicano’” che ha spinto i socialisti a ritirarsi per favorire i candidati sarkozysti abbia fatto “barrage” all’estrema destra. Poi ricorda la logica delle elezioni a due turni: “nel primo si vota con il cuore, nel secondo (anche) con il cervello”. Quindi nel primo “il Front National ha mostrato la sua forza, nel secondo il suo isolamento. Marine Le Pen è in grado di spaventare il sistema, non di abbatterlo. Ma la vera domanda è: per quanto ancora?”. A ogni elezione il suo partito cresce al punto che ormai si può parlare di un bipartitismo imperfetto alla francese. Tutti sanno che forse “è l’ultimo avvertimento al sistema”. Sarkozy “ne esce piuttosto malconcio”: ieri Alain Juppé ha fatto il suo primo discorso da candidato presidente, sfidando insieme Sarkò-Hollande-Le Pen: i francesi -ha detto- hanno bisogno di una visione, non antieuropea, non quella di un paese ripiegato su se stesso. E questo è “il vero nodo”, secondo Martinetti: Le Pen e i suoi alleati in Europa, che chiamiamo “populisti” hanno “visione” e risposte, per quanto semplificate e realistiche, a problemi complessi, mentre “i partiti storici tradizionali” non sanno più offrire “visioni”, tanto sul fronte Europa che su quello delle politiche economiche.
La Repubblica intervista l’ex ministro socialista Jack Lang. Come spiega la sconfitta della Le Pen? “Per fortuna Madame le Pen non rappresenta la Francia”. Come riconquistare i francesi? “La politica deve dare prova di immaginazione”, “sogno una nuova via per la sinistra francese”.
Di fianco, parla Marek Halter che, in un intervento, dice: “Ma dal Front National ci potranno salvare solo i musulmani”. Poco importa -scrive- che le due Le Pen non siano state elette: il dato sconvolgente è che in alcune regioni più del 40 per cento abbia votato per il front National. Negli Usa c’è Trump, in Ungheria quelli come Le Pen sono al governo da anni: l’estrema destra cresce. Negli anni Trenta il nemico era l’ebreo, oggi sono i musulmani, “accusati di non essersi assimilati agli europei”. Oggi ci si chiede cosa bisogna fare perché Marine Le Pen non diventi presidente nel 2017: la soluzione -secondo Halter- è nelle mani dei musulmani”, “basterebbe che 100mila di loro scendessero nelle strade per manifestare contro l’Is”.
Il Fatto: “Il patto repubblicano annulla il Front National”. Dopo queste elezioni, scrive Luana De Micco, “nulla sarà come prima. Il Fn continua a tessere la rete sul territorio. In molti consigli regionali, dove i socialisti si sono ritirati, sarà la sola opposizione”.
Ancora su La Stampa, pagina 5: “Ha funzionato il muro di Valls. Sarkozy vince ma è più debole”.
Su La Stampa, l’opinione di Alexandre Dézé, ricercatore del “Cepel” (Centro studi politici dell’Europa latina che, sul Front, dice: “Stessi consensi del primo turno. Alla Le Pen solo voti di protesta”, “La normalizzazione? Di facciata”.
E il quotidiano intervista il leader della Lega Nord Matteo Salvini: “Da Marine lezione d’orgoglio. Aveva tutti contro, come me”, “Battuta da un’ammucchiata che non durerà”.
Anche La Repubblica dà conto del commento di Matteo Salvini: “Battuti da un’amucchiata”.
Sul Corriere Stefano Montefiori intervista il filosofo Pascal Bruckner. Ricorda che “in passato la destra e ancora di più la sinistra avevano abbandonato valori popolari come il patriottismo, la bandiera, le frontiere” “oggi la sinistra non parla affatto alle classi popolari e preferisce rivolgersi agli immigrati” per “privilegiare l’allenza tra i bobo urbani (i facoltosi progressisti bureois-bohème descritti da David Brooks) e gli immigrati delle periferie, a scapito delle classi popolari. Il Front National ha occupato idealmente lo spazio vuoto lasciato libero dalla sinistra francese”. L’identità nazionale, “in passato occultata e persino ridicolizzata dalla sinistra”, è tornata ad essere centrale. Ma alle presidenziali Hollande, “fisicamente insignificante”, è favorito, intanto perché è già all’Eliseo, poi perché è stato “abbastanza bravo nei momenti difficili”, infine perché Sarkozy “è molto agitato, pieno di tic, tutto il suo linguaggio del corpo parla contro di lui” mentre la Le Pen “quando sorride fa paura, sembra ti stia per mordere”.
Secondo Livio Caputo, su Il Giornale, “vince la paura, non perde la Le Pen”. Si sottolinea che “l’8,5 per cento in più dei francesi è corso alle urne per impedire che anche una sola regione finisse nelle mani del Fronte Nazionale” ma il partito della Le Pen “rimane ben radicato in vasti ceti della popolazione”. Se vorrà avere una possibilità di “arrivare mai al governo” la leader del FN dovrà “rafforzare i proprio quadri, reclutando qualche personaggio di peso, perché il suo partito assomiglia ancora troppo a una azienda familiare”
Sul Corriere Aldo Cazzullo sottolinea il dato dei quattro milioni di francesi in più che sono andati a votare rispetto al primo turno. “L’avanzata dell’estrema destra resta clamorosa; ma il ‘sussulto repubblicano’ c’è stato. Marine Le Pen guida il primo partito di Francia, ma oggi non avrebbe chances di diventare capo dello Stato. E questo crea una tensione – lei dice ‘un’ingiustizia’ – che da qui alle Presidenziali del maggio 2017 scaverà una distanza ancora più ampia tra le élites parigine e una parte del popolo”. La Le Pen ha spiegato che “la partita alle Presidenziali non sarà tra destra e sinistra, ma ‘tra mondialisti e patrioti’, tra coloro che intendono sciogliere la Francia ‘nel grande magma globale’ e coloro che vogliono difendere la nazione come ‘spazio protettivo per i francesi’. Da una parte ‘la Francia eterna e fraterna’, dall’altra un’alleanza mostruosa tra vecchio establishment, politici ladri, banchieri usurai, imprenditori che delocalizzano, migranti di ogni fede ma soprattutto musulmani”.
Sullo stesso quotidiano Massimo Nava scrive che il Front resta a mani vuote, i socialisti “a rischio disfatta, si mantengono al governo in alcune regioni” aqnche se perdono “lo storico bastione operaio del Nord-Pas de Calais e la regione di Parigi” e la destra gollista “coglie un successo insperato”. Sicuramente “il Fronte non si è ‘sgonfiato’, nonostante minacce a mezzo stampa, rischi di ‘guerra civile’ evocati dal premier Valls, tam tam sulla possibile fuga d’investimenti dalla Francia xenofoba e euroscettica. Difficilmente rientrerà nel ‘ghetto’ un partito consapevole dei suoi milioni di voti e di essere escluso dal potere a causa di un meccanismo elettorale a doppio turno e senza proporzionale”. Nava scrive anche che “alleanze contro natura non curano la Repubblica”.
Leopolda
Il Corriere riproduce ampi passaggi dell’intervento di Renzi in chiusura della manifestazione della Leopolda. Tra gli altri: “Abbiamo rovesciato il sistema politico più gerontocratico d’Europa partendo da qui, da Firenze e abbiamo dato stabilità al Paese che aveva la minore stabilità del nostro continente. Abbiamo orgogliosamente portato il Pd a essere il partito politico più votato in Europa e non ci avrebbe scommesso nessuno. Neanche io”. E ancora: “Orgogliosi di aver rottamato il complottismo, quell’idea che, quando qualcosa non funziona, sia sempre colpa degli altri. La verità e il tempo sono dalla nostra parte. Cambieremo il Paese senza che la politica cambi noi”.
E poi: “Non siamo il partito della nazione ma il partito della ragione. Io sono certo che noi non abbiamo bisogno di misure elettorali o di mancette perché se si votasse oggi noi vinceremmo con percentuali superiori a quelle delle europee. Il Sud ha tutto per risollevarsi. È il momento di dire basta con le chiacchiere. Chi ha il coraggio e la forza di intervenire lo faccia anche perché governiamo tutte le regioni. Se a questo giro non ce la facciamo con che faccia ci ripresentiamo alle prossime regionali?”.
Sul Giornale: “E ora Matteo teme un referendum su di sé. Alle amministrative il Pd rischia il flop: è un test per la solidità del governo”. Dove si segnala che “se anche L’Unità renziana si interroga se sia ‘finita la spinta propulsiva’ della Leopolda qualcosa che non va c’è”. Il fatto che Renzi abbia parlato dal palco del referendum sulla riforma costituzionale da preparare con altre mille Leopolda nelle piazze è il segno che è questo l’unica cosa su cui vuole investire nel 2016 perché sulle elezioni amministrative “sa già di poter scommettere poco e quindi già prepara la rivincita”.
Renzi, Boschi, Banche
Sul Giornale si parla dell’incontro di ieri tra il ministro Padoan e una delegazione degli investitori di Banca Etruria “imbufaliti per aver perso i loro soldi messi in obbligazioni”. Un incontro organizzato da Renzi “per smorzare la sarabanda di polemiche e dare un segno di disponibilità” ma poi lasciato al ministro dell’Economia.
La Stampa, citando le parole del presidente del Consiglio in chiusura della manifestazione della Leopolda: “’Chi strumentalizza la morte fa schifo’”, “Renzi all’attacco sulle banche: ‘Non abbiamo scheletri nell’armadio, non abbiamo fatto nessun favoritismo. Il sistema bancario è più forte di quello tedesco’”.
La Repubblica: “Renzi: ‘Sul salva-banche nessun favoritismo. Se si vota, Pd oltre il 40%’”, “’Sì all’inchiesta, ma chi strumentalizza i morti fa schifo’. Dalle opposizioni una mozione di sfiducia alla Boschi”.
E il “retroscena” di Goffredo De Marchis: “La paura del premier: qualcuno vuole l’assalto giudiziario”.
Da segnalare anche una intervista a Matteo Salvini su Libero: “’Spero che la magistratura si svegli’. ‘Mi aspetto una inchiesta sull’affare banche. Se è vero quello che leggo le famiglie Renzi e Boschi devono risarcire i danni. Faccio appello a M5S e a Silvio per costringere la ministra alle dimissioni’”.
Il Fatto: “Renzi chiama alle armi tra nervosismo e rabbia”, “Il premier chiude la sua convention (senza Boschi sul palco) lanciando accuse e arringando i fedelissimi. Mio padre mi ha detto : ‘Attacchiamo’”, “Stampa nemica. ‘Chi strumentalizza la morte mi fa schifo. Un titolo di giornale non rovina la giornata’”.
Il Fatto, pagina 2: “Ecco la propaganda Leopolda e i fatti molto meno renziani”, “Solo annunci. Le notizie ignorate da Matteo”, “Dalla crescita più bassa del previsto al buco nei conti di Expo ai mancati miracoli sui posti di lavoro del Jobs Act”, “Evasione? Il limite per il cash è salito a 3.000 euro, come la soglia del falso in bilancio”.
Il quotidiano a pagina 2 ha un comunicato della direzione e della redazione: “Contro l’editto fiorentino”. Dove si legge, tra l’altro: “Il presidente del consiglio ha additato Il Fatto come il primo quotidiano da mettere all’indice. E così replicato un vecchio malvezzo, quello di attaccare la libera stampa che osa criticare il governo”.
Di questa polemica si occupa Mattia Feltri in prima su La Stampa (“Il concorso sbagliato del premier”): “Ne abbiamo viste tante, ma un concorso indetto dal presidente del consiglio per votare il titolo più bugiardo dell’anno ci mancava. Eravamo rimasti ai sondaggi indetti sul blog da Beppe Grillo, il peggiore giornalista italiano era risultato Bruno Vespa”, ma Beppe Grillo “non è a Palazzo Chigi”. Insomma, secondo Mattia feltri i “giornali alla gogna” sono “segno di debolezza”.
Su La Repubblica, intervista al deputato Pd Michele Anzaldi: “Sempre sbagliato prendersela coi giornali”.
Il Messaggero: “Renzi e il caso banche: ‘Chi specula sui morti mi fa schifo, nessuno scheletro nell’armadio”. Si legge della rivendicazione della giustezza del decreto “perché abbiamo salvato i risparmiatori e seimila posti di lavoro”, della critica al governo Monti per non aver “costruito un fondo di salvataggio come in Germania”, ora non permesso dall’Ue, ribadisce che “non ci sono intoccabili, chi ha sbagliato pagherà”.
Su La Repubblica: “Padoan: sistema solido. Bankitalia: stop vendita subordinati a sportello”, “I 4 istituti salvati: ‘I risparmiatori più esposti sono 1010 e hanno meno di centomila euro depositati’”.
E “il dossier” di Andrea Greco: “Una montagna da mille miliardi, tutti i titoli in pancia alle banche a rischio con i nuovi salvataggi”, “Le azioni sono il capitale di rischio per eccellenza: le maggiori banche hanno 125 miliardi di capitale”, “I bond subordinati sono 71 miliardi e sono pericolosi perché rimborsati per ultimi in caso di crack”.
A pagina 11 una lunga analisi di Alessandro Penati: “Scarsa concorrenza e sovrapposizione Bankitalia-Consob. La finanza resta opaca”, “Bruxelles ha ragione, i risparmiatori vanno risarciti senza ricorrere ai soldi dei contribuenti. Ma ora serve una riforma del sistema bancario e dei ruoli svolti dalle istituzioni della vigilanza. Efficienza e stabilità sono priorità del Paese”, “L’Italia è piena di banche che hanno sfruttato la fiducia dei propri clienti per finanziarsi, collocando azioni e obbligazioni rischiose”, “Gran parte della distribuzione è controllata da un ristretto gruppo di banche e assicurazioni. Anche gli operatori esteri si sono adeguati”.
Su La Stampa: “L’autocritica di Bankitalia: ‘Timidi nella tutela dei clienti’”, “’Vietare la vendita al pubblico di certi prodotti. Sì alla commissione d’inchiesta’”.
Del tema si occupa Emanuele Felice: “Il credito e la riforma non rinviabile”. “La crisi bancaria -scrive- tocca due nervi scoperti nell’assetto economico-istituzionale. Quello dei controlli, di Bankitalia e Consob” e quello della fiducia dei cittadini nei confronti del sistema. Occorre, tra l’altro, migliorare sul fronte trasparenza, rendendo più accessibili informazioni come quelle sugli incroci nei consigli di amministrazione tra banche, imprese, fondazioni, utili a individuare per tempo eventuali conflitti di interesse.
Il Fatto: Prestiti facili, bond col trucco, riciclaggio. Solo per Padoan le banche sono sane”. Per quel che il quotidiano definisce “cattivo credito”, il caso del pensionato che si è ucciso è solo l’ultimo caso (e si ripercorrono le vicende di Unicredit, Banca Intesa, Iw Bank. Tercas, Popolare Vicenza, Veneto Banca, Popolare Spoleto, Carige, più le quattro salvate dal decreto), “La Procura di Roma apre un fascicolo sul ruolo della Banca d’Italia: ‘Nel mirino la vigilanza sulle 4 commissariate’”.
Sul Corriere una intervista a Giuseppe Vegas, presidente della Consob. Dice che sono 12.459 i titolari di bond subordinati delle quattro banche in crisi (per 431 milioni complessivi). I clienti degli istituti sono 10.559, pari all’1% del totale e a 329 milioni. Di questi, 1.010 (per 27 milioni) sono i casi più gravi: hanno investito più del 50% in bond”. Sulla attività della Consob: “Dire che non abbiamo vigilato è non solo una falsità ma anche un’offesa all’istituto e a quanti in questi anni hanno lavorato per rendere il mercato italiano più trasparente”. Dice che “normalmente in casi del genere ci si aspetta che le autorità di vigilanza e gli organismi tecnici vengano chiamati ad affrontare queste situazioni in maniera coordinata… “ ma per ora il governo non ha chiamato. “Ma voi avete provato a contattare il governo?”. Risposta: “Certo. Finora, però, la valutazione coordinata non c’è stata. In occasione del recepimento da parte del governo della nuove procedure europee di salvataggio delle banche, la Brrd (Bank Recovery and Resolution Directive ndr), nel provvedimento è stato eliminato il potere di Consob di fare domande sui vari salvataggi, privando il mercato delle informazioni necessarie”. “E allora che cosa ci state a fare?”. Risposta. “Appunto: senza fare domande e soprattutto senza ottenere risposte pubbliche come si fa a rendere un mercato trasparente? Senza trasparenza non c’è stabilità. Anche il Parlamento ha chiesto di rimediare. Del resto la direttiva è stata recepita solo al novantesimo minuto, dando poco tempo al sistema di adattarsi”. Vegas dice che la Consob ha “addirittura anticipato le regole europee. A fine 2014 – unici e primi in Europa – abbiamo diramato una comunicazione sul fatto che ci dovesse essere piena trasparenza quando si vendevano prodotti complessi ai risparmiatori (e tra questi anche le obbligazioni subordinate) . A luglio del 2015 abbiamo raccomandato di non vendere al retail, ai risparmiatori singoli, prodotti complessi”. Sulla proposta di Bankitalia di non vendere ai risparmiatori obbligazioni subordinate: “Condivido la prudenza. Per primi abbiamo lanciato l’allarme. Si può ragionare in sede tecnica su un divieto. Ma il problema è dire chiaro che cosa e a chi si sta vendendo. Del resto, ci sono anche altri prodotti ancora più rischiosi”.
Sul Giornale: “Berlusconi sfiducia il premier: ‘Non si assume le responsabilità’”.
Altro articolo del quotidiano di Sallusti: “La Boschi finisce all’angolo. L’opposizione: si dimetta”. “E’ pronta una mozione di sfiducia contro il ministro per il conflitto di interessi sul salva-banche. Fronte con FI, Lega, Fdi e M5S”.
Il Giornale dedica la sua apertura a quella che chiama “una bomba finanziaria” di cui si parlerebbe in una informativa della Finanza commissionata dalla Consob e ora nelle mani della Procura di Roma in cui si descrivono “i movimenti borsistici sui titoli di quattro banche popolari, realizzati dalla Romed, la cassaforte finanziaria di Carlo De Benedetti. L’inchiesta è solo alle fasi iniziali, nonostante siano passati undici mesi dalle operazioni di Borsa, ma si preannuncia esplosiva. Sono indicate puntualmente una lunga serie di operazioni sospette, la sintesi delle conversazioni telefoniche tra l’Ingegnere e i suoi operatori della Romed. Riguardano la movimentazione di titoli delle banche popolari per cinque-sei milioni di euro e una plusvalenza realizzata di circa 600mila euro”. Nicola Porro ricorda il dibattito sulla opportunità di una norma di riassetto del sistema delle banche popolari, che il governo varò il 20 gennaio 2015. “La notizia viene diffusa a mercati chiusi, ma già il giorno prima l’agenzia Reuters aveva anticipato l’esistenza del decreto. Qualcuno non si era tenuto il cece in bocca. Il problema è un altro. Nella settimana precedente al decreto queste popolari erano volate: in una settimana il Banco Popolare ha fatto il 21 per cento, l’Ubi il 15, la Popolare dell’Emilia il 24, la popolare di Milano il 21 e la famigerata Popolare dell’Etruria aveva fatto segnare un balzo del 65 per cento. Con volumi pazzeschi. Anche cappuccetto rosso avrebbe capito che c’era qualcuno che sapeva prima degli altri del decreto del governo. Il sottosegretario all’Economia Zanetti è costretto a riferire in Parlamento e annuncia: la Consob ha fatto una serie di richieste dati agli intermediari sia italiani sia esteri”. In quei giorni “l’unico nome che circola è quello del finanziere Davide Serra, fondatore dei fondi Algebris” che però non ha fatto movimentazione e utili. Invece “la Consob scopre che uno degli intermediari più attivi è la Romed. Si tratta di un gioiellino in mano a Carlo De Benedetti”.
Internazionale
Sul Corriere: Svolta in Libia, governo di unità in 40 giorni”. “Kerry e Gentiloni alla conferenza di Roma. ‘Il vuoto politico è stato riempito dagli estremisti’. Appello alle fazioni per un immediato cessate il fuoco. L’impegno degli ‘sponsor’ di Tripoli e Tobruk”.
Da segnalare sul Corriere una intervista di Lorenzo Cremonesi a Gilles Kepel: “Il distacco dalla realtà di una classe politica genera gli estremismi”. “Il politologo: così perdiamo la sfida culturale”.