Le aperture
La Repubblica apre con il forum di Todi: “I cattolici: via Berlusconi. ‘Serve un nuovo governo’. Bagnasco: facciamoci sentire. Concluso il convegno delle associazioni a Todi. I Pm sul caso Formigoni: nelle sue liste 926 firme false”. A centro pagina si torna sulle telefonate tra Berlusconi e Lavitola, pubblicate ieri dal quotidiano: “Da Frattini a Bonaiuti, tutte le manovre di Lavitola”. Di spalla: “Leggi speciali anti black boc. Roma un mese senza cortei”.
Avvenire: “Per i cattolici la stagione di un ‘servizio’ nuovo. Il presidente della Cei a Todi: l’etica della vita fonda l’etica sociale. Bonanni: percorso unitario tra noi, servirebbe anche per il governo del Paese. Bagnasco: valori saldi e assenteismo no. Ornaghi: sventare la ‘contropolitica’”. L’editoriale, firmato da Marco Tarquinio: “Radicati ed esigenti. Compito certo, unità possibile”.
“Misure come negli anni 70” è il titolo di apertura del Corriere della Sera, che mette tra virgolette “il piano di Maroni” dopo gli scontri di sabato: “arresto differito e fermo di polizia. Blitz con 100 perquisizioni in tutta Italia. A Roma cortei vietati per un mese. Cgil contro Alemanno”. A centro pagina: “La Germania gela l’Europa sul piano salva Stati. E le Borse cadono ancora. ‘Il vertice del 23 non risolverà la crisi del debito'”. L’editoriale, firmato dall’economista Francesco Giavazzi, è titolato: “Crescita frenata da troppi monopoli”. Si parla dell’Italia delle “lobby” e degli “interessi particolari”.
Il Giornale: “Guardate questa faccia”, con foto: “Abbiamo smascherato il teppista che lancia l’estintore a Roma. Ora può avere un nome. Sul nostro sito altri volti. Perquisiti i covi dei violenti, annunciate leggi speciali”. “Caccia ai criminali”. Un titolo a centro pagina è dedicato alla “sinistra” che “lancia l’opa sui cattolici” mentre “Bagnasco evoca il ritorno alla Dc”.
Maroni
Oggi il ministro Maroni annuncerà in Parlamento un “pacchetto di norme” che vorrebbe portare al Consiglio dei ministri sulla violenza. Secondo Fiorenza Sarzanini, sul Corriere della Sera, vorrebbe “applicare ai manifestanti le stesse leggi già approvate per combattere il tifo violento”. Non sarà facile trovare un accordo su una materia così delicata, anche tenendo conto che la sua scelta di aderire alla linea espressa da Antonio Di Pietro ha fatto emergere divisioni tra Idv e Pd. “La necessità di poter fermare le persone anche nei giorni successivi ai cortei è certamente la misura più urgente da prendere, quella che da tempo viene richiesta dalle forze dell’ordine. Proprio come accade dopo le partite di calcio, spesso l’esame dei filmati fornisce infatti gli elementi utili all’individuazione dei più facinorosi. Se ciò avviene entro 48 ore dall’evento può quindi scattare il cosiddetto arresto differito. Vuol dire che si procede come se fosse in flagranza di reato: le immagni diventano un elemento indiziario e valgono dal momento in cui sono state girate. Ed è proprio in questo contesto che è stato chiesto di poter utilizzare in piazza anche le vernici colorate all’interno degli idranti”.
Il liquido che macchia consentirebbe di rintracciare “già tra la folla coloro che si sono scontrati con le forze dell’ordine”. Altra misura di cui si parla è il “fermo preventivo”: qualora ci fossero indizi che fanno ritenere possibile la partecipazione ad un evento, polizia e carabinieri possono portare l’indiziato in commissariato o in caserma per un periodo che varia tra le 48 e le 96 ore. Ultima misura sarebbe quella di procedere sempre con rito direttissimo per le persone fermate durante gli scontri.
Su La Repubblica si ricorda come la legge Reale venne introdotta dal governo Moro nel 1975 e prevedeva norme transitorie sull’ordine pubblico: il fermo di polizia fino a 96 ore, il giudizio direttissimo e perquisizioni personali fatte dalla polizia senza mandato del giudice. Fu sottoposta a referendum anche sotto la pressione dei parenti di chi era rimasto ucciso dalle forze dell’ordine per effetto di quella normativa che ampliava il numero di casi in cui era legittimo l’uso delle armi di ordinanza. Il referendum abrogativo non passò e alla consultazione popolare diede indicazione di votare contro l’abrogazione anche il Pci, che tre anni prima in Parlamento aveva votato contro la norma.
Pierluigi Battista sul Corriere ricorda che quella legge, partorita nel 1975, non riuscì tuttavia a scongelare l’annus horribilis dell’ordine pubblico in Italia, il 1977. “E’ un paradosso, così come lo è il fatto che a richiederne oggi una versione ancora più agguerrita sia non la destra law and order ma un esponente della sinistra come Di Pietro (come pure è un paradosso che Di Pietro stia a sinistra, del resto)”. Nel 1975, in nome della “lotta alla repressione”, il Pci votò contro la legge, con la mente rivolta agli anni in cui i reparti della celere manganellavano i braccianti, gli operai della Cgil e gli studenti. Quando invece divenne l’alfiere culturale nel clima di intransigenza, nel 1977 gli “autonomi” a Roma “travolgevano il servizio d’ordine sindacale disposto a difesa del palco di Luciano Lama all’Università di Roma”.
Scrive Alessandro Sallusti, nell’editoriale de Il Giornale, che “sarebbe bastato applicare” le leggi ordinarie “per sroncare la nascita di cellule eversive. E forse siamo ancora in tempo, a patto che da oggi si cambi registro. Non mancano le leggi. Manca chi le faccia applicare almeno con gli stessi rigore e severità usati nei confronti dei cittadini. I quali non possono occupare case abusivamente, non possono operare in un regime di non fiscalità come avviene nei centri sociali, non possono danneggiare beni pubblici e privati, non possono minacciare né portare con sé, e usare, armi improprie, né girare per le strade a volto coperto”.
Todi
Il Corriere della Sera dedica due pagine alla riunione di Todi delle associazioni cattoliche: 62 esponenti delle associazioni, del mondo della cultura e dell’impresa, si sono riuniti nel seminario dedicato a “la buona politica per il bene comune”. “Non è nato un partito cattolico”, scrive il Corriere, ma una nuova realtà si è messa in cammino. Tra i protagonisti, il segretario Cisl Raffaele Bonanni: ha voluto ribadire che non nascerà, almeno in tempi brevi, una nuova Cosa Bianca. Ha invocato un “governo forte”, perché quello attuale “non è adeguato”, quindi un Esecutivo di larghe intese con le forze politiche più rappresentative del Paese, anche per non andare subito alle urne: “le elezioni anticipate sarebbero la soluzione peggiore”. A Todi sono tutti contrari a questa ipotesi il voto nella primavera del 2012 non darebbe il tempo di far maturare il cammino che si vuol fare insieme e precisare il nuovo soggetto cattolico. Bonanni invoca anche una riforma elettorale che sembra orientata sul proporzionale e le nuove preferenze.
Lo stesso quotidiano intervista l’ex presidente BPM, Roberto Mazzotta: parla di un mondo che “in termini di rete organizzata e di strutture, è presente ovunque sul territorio, con milioni e milioni di aderenti. Un mondo che ha una sua classe dirigente buona, e ha esperienza di attività di impresa, sociali, e così via”. Una nuova Dc? “Ma quale nuova Dc o partito neoguelfo, per amor di Dio”, secondo Mazzotta a Todi si costituisce “il nocciolo di una aggregazione più larga”, una iniziativa “chiaramente laica, aperta. Non un partito dei cattolici, ma un partito del Paese”, “destra, sinistra, centro: non mi interessa. Qui c’è una forza sociale che non è rappresentata da nessuno”.
L’editoriale in prima pagina del quotidiano della Conferenza Episcopale italiana, Avvenire, è firmato dal direttore e descrive così lo spirito di Todi: “Radicati ed esigenti”. Radicati sono i cattolici, lo erano ieri come lo sono oggi in ogni giorno della vita dell’Italia. Questi cattolici portano con sé, “nella bisaccia e come bussola”, quei valori che ieri il cardinale Bagnasco ha ribadito non essere “negoziabili”, spiegando che “difficilmente sopportano mediazioni per quanto volenterose”. Il quotidiano – come anche Il Foglio – riproduce integralmente il discorso di Bagnasco.
Lavitola
Anche oggi su La Repubblica le pagine dai verbali delle telefonate di Valter Lavitola: questa volta riguardano le insistenti telefonate alla segretaria del Ministro degli esteri Frattini perché vuole perché vuole esser presente all’incontro con l’omologo albanese Ilir Meta per i suoi affari; le proteste nel corso di una telefonata con Guido Bertolaso perché il ministro delle Infrastrutture Matteoli aveva cambiato il decreto per la nomina del Commissario alle Dighe; ho anche le conversazioni con il sottosegretario alla Presidenza Bonaiuti, che ha una delega all’editoria, e per ottenere che Tremonti conceda finanziamenti che riguardano il quotidiano da lui diretto, l’Avanti. Naturalmente Lavitola si fa sempre forte del fatto che avrebbe un rapporto diretto con il “capo”. Illuminante sembra il colloquio tra Bonaiuti e Lavitola. Lavitola: “Scusa se ti ho disturbato, il fatto che mi richiami mi riempie di orgoglio, di speranza, vuol dire che sono diventato una persona importante”. Bonaiuti: “Tu sei un amico, e quindi non sei né importante, né poco importante”.
E poi
L’inserto R2 de La Repubblica è dedicato a Gilad Shalit, quasi 2000 giorni di prigionia a Gaza hanno reso un’icona il riservista israeliano, per cui Israele ha deciso di rilaciare 1027 palestinesi. L’inviato Alberto Stabile racconta il clima che si respira, la rabbia dei parenti delle vittime, la paura che i prigionieri liberati possano tornare alla pratica del terrore. Una ricerca di analisti militari israeliani dice che il 60 per cento dei liberati torna alle vecchie abitudini: e per tutti si cita il caso dei 1450 prigionieri rilasciati nel 1985 in cambio di tre soldati tenuti in ostaggio dalla milizia palestinese di Ahmed Jibril. E’ pensabile che Mossad, Shin Bet e intelligence militare non conoscano questi dati? Il punto è – secondo Stabile – che i nuovi vertici dei servizi segreti israeliani, rinnovati da non più di sei mesi, ritengono di poter gestire la liberazione in ordine sparso di alcune centinaia di militanti, parte dei quali saranno portati a Gaza, altri esiliati all’estero.
Sul Corriere della Sera una ampia intervista a Viktor Yanukovich, il Presidente ucraino, all’indomani della sentenza che ha condannato l’ex premier Yulia Tymoshenko a sette anni di carcere. Nel frattempo è spuntata una nuova inchiesta relativa a quando, quindici anni fa, la biona Yulia era una businesswoman. Risponde alle pressioni europee, alle critiche che sono venute da Bruxelles, ribadisce: “L’Ucraina intende entrare nella Ue, ma la Tymoshenko resta in carcere”.
DA RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini