Il Corriere della Sera: “Un argine alla speculazione. L’ipotesi al G20: usare il fondo europeo per l’acquisto di bond dei Paesi in difficoltà. Monti: ma è sbagliato parlare di salvataggio dell’Italia”.
La Stampa: “Piano di aiuti a Spagna e Italia. Anticipato a Obama il progetto che sarà discusso a Bruxelles a fine mese. ‘Pronti fondi fino a 745 miliardi per i Paesi che stanno facendo le riforme’”.
Il Sole 24 Ore. “Monti: dieci giornni per salvare l’euro. Il premier propone l’acquisto diretto di titoli di Staot da parte del fondo Efsf e sollecita i partner alle decisioni in vista del vertice del 28″.
La Repubblica: “Allarme casa, crollano le vendite”. In prima pagina anche una foto dell’ex presidente egiziano Mubarak, che ieri è stato dichiarato “clinicamente morto”. Poi la smentita.
L’Unità: “Esodati, Fornero dò i numeri. La ministra ammette di aver sbagliato
Libero: “La boiata di Monti. Confindustria stronca la legge ma poi dice: ‘Va approvata,. il premier non può andare a Bruxelles a mani vuote’. Insomma, l’arma dell’Italia con i partner è una fantozziana corazzata Potemkin”.
G20
Da Los Cabos, dove ha partecipato al G20, Mario Monti ieri ha definito “decisivi” i prossimi dieci giorni. Monti nella notte ha tenuto una conferenza stampa, durante la quale ha però spiegato che non era quella la sede per tprendere decisioni strutturali: “Nessun riferimento a misure per evitare l’altalena degli spread”, scrive Il Sole 24 Ore, che aggiunge anzi che Monti ha detto “certe technicalities le dobbiamo discutere noi europei al nostro interno”. “Quel che è certo è che la delegazione italiana si è impegnata affinché nella dichiarazione finale del G20 venisse posto l’accento sulla crescita”. Monti ha sottolineato che è necessario “mantenere politiche dell’offerta strutturalmente corrette”, ma aggiungendo che “c’è anche bisogno di domanda per alimentare le economie che migliorano con le riforme. E questa domanda, in una prospettiva di offerta, è bene che sia costituita il più possibile da domanda per investimenti, quindi privilegiando l’investimento rispetto al consumo, ivi incluso l’investimento pubblico.
La Stampa, che titola “G20, la resa dell’Europa a Usa e Brics”, definisce un evento senza precedenti il fatto che nei documenti finali l’Eurozona accetti di concordare il proprio processo di integrazione con le altre maggiori economie del pianeta. Secondo il quotidiano le forti e concentriche pressioni di Stati Uniti, Paesi emergenti guidati dalla Cina e Fondo Monetario Internazionale hanno avuto la meglio sulle resistenze della Germania nei confronti della integrazione bancaria. La Cancelliera Merkel ne ha dovuto accettare non soltanto l’accelerazione, ma anche la riproposizione dell’impegno alla crescita globale sui aveva opposto resistenza nel G8 di Camp David. Il “Piano D’azione” del Summit recita: “Siamo uniti nella nostra determinazione a promuovere la crescita e i posti di lavoro”, poiché una “crescita forte, sostenibile e bilanciata resta una priorità del G20 per portare a maggiore occupazione e a un incremento del benessere in tutto il mondo”. La Stampa parla poi del coordinamento tra Pechino e Washington, testimoniato da un lungo bilaterale tra i due Presidenti: Hu JIntao ha parlato di un “ruolo positivo della Cina” nel quale rientra anche la decisione di versare 43 miliardi di dollari al Fondo Monetario per sostenere l’Eurozona, guidando Brasile, Russia, India e Messico, che ne hanno versati 10, mentre 2 ne ha versati il Sudafrica. Significa che il FMI ora ha una capacità di intervento, sotto forma di prestiti, di 456 miliardi di dollari, superiore cioé all’obiettivo di 430 auspicato dal direttore Christine Lagarde. Infine, l’Arabia Saudita si è impegnata ad evitare che i prezzi del greggio lievitino troppo.
Un ruolo di primo piano, secondo La Stampa, ha avuto nella trattativa la bionda Leal Brainard (classe 1962) viceministro del Tesoro e “diplomatico globale” della Amministrazione Usa. Figlia di un diplomatico americano che durante la guerra fredda ha servito in Polonia e Germania Est, la Brainard cresce parlando tedesco nell’Europa dominata dall’Armata rossa. Su di lei è caduto il compito di spianare la strada alla sostituzione del G8 con il G20 come “principale foro dell’economia internazionale”. E furono le sue missioni a raffica in Cina e India a creare un clima nuovo, convincendo questi due giganti che l’America vuol davvero creare una nuova archiettatura economica e finanziaria internazionale. Ed è stata ancora lei, nel 2010, a tessere il negoziato che ha portato alla riforma del FMI garantendo, per ora solo sulla carta, più peso e influenza ai Paesi emergenti.
Nelle sue mani Obama ha ammesso la crisi dell’eurozona, nuova missione per “l’economia globale”.
La Repubblica riferisce della provocazione del premier conservatore Cameron che, parlando ad un gruppo di uomini d’affari a margine del G20, ha criticato le proposte in materia fiscale del neopresidente francese Hollande: “Quando la Francia introdurrà una aliquota del 75 per cento per la fascia superiore della imposta sul reddito – ha detto Cameron – srotoleremo il tappeto rosso e accoglieremo più aziende francesi che pagheranno le tasse nel Regno Unito. Servirà a pagare i nostri servizi pubblici e le scuole”. Secondo il quotidiano, Cameron ha pronunciato la sua frase seriamente, senza humor.
Politica
La Stampa racconta il “grilloleghismo” che sta conquistando la Serenissima: in Veneto infatti il Carroccio crolla, mentre il movimento 5 Stelle sarebbe oltre il 26 per cento. Il Corriere della Sera, invece, descrive “l’Italia informatica (e social)” come l’autostrada su cui corre Grillo: si tratta di sovrapporre la mappa web del Paese a quella del movimento 5 Stelle, scoprendo così che banda larga e internet oltre il 50 per cento hanno fatto sì che i grillini abbiano conquistato le percentuali più alte al centronord. Un caso a sé rappresenta poi Alghero e la Sardegna: se l’isola appartiene a pieno titolo al sud, dall’altro se ne discosta per esser stata culla dell’innovazione digitale, poichè qui nacque il primo internet provider italiano con Grauso, qui è nata Tiscali con Soru, sintesi vivente del binomio tecnologia-politica. Insomma, i luoghi ad alto tasso di rete hanno dato impulso al grillismo.
Sui quotidiani, in particolare sul Corriere della Sera e La Repubblica, i lettori troveranno ampi stralci delle conversazioni intercettate tra l’ex vicepresidente del Csm nonché ex ministro dell’Interno Nicola Mancino e il consigliere giuridico del Quirinale Loris D’Ambrosio. Il telefono di Mancino era sotto controllo per verificare la genuinità delle dichiarazioni da lui rese nel corso del processo sulla presunta trattativa Stato Mafia, che vede coinvolto l’ex generale dei carabinieri Mario Mori. Ricorda La Stampa che Mancino per la procura di Caltanissetta è un testimone, per quella di Palermo è un indagato. La Procura di Palermo voleva un confronto tra Mancino e Claudio Martelli su questo argomento. Le telefonate risalgono a marzo, ovvero prima che Mancino venisse incriminato dai Pm di Palermo. Incalzato dai magistrati si rivolge al consigliere giuridico del Quirinale, sottolinea come tre Procure diverse (Palermo, Caltanissetta, Firenze) arrivino a conclusioni che sono contraddittorie tra di loro. Il titolo con cui La Repubblica riassume i verbali è questo: “E il Colle rassicurò Mancino. ‘Il presidente sa già tutto, si sta muovendo anche lui’”.
Il Corriere della Sera sintetizza così le parole di D’Ambrosio: “‘Adesso il presidente parlerà con Grasso’, il consigliere informava Mancino”. Grasso è il procuratore nazionale Antimafia. Ma il quirinalista del Corriere si occupa anche dei tweet che sono partiti dall’account del portavoce del Quirinale, Pasquale Cascella, ieri, che così recitavano: “Possibile che ex magistrati e avvocati ora impegnati in politica ignorino l’articolo 104 dlgs 6-9.2011 numero 159 sulle attribuzioni del Pg della Cassazione?. O anche l’articolo 6 del Dlgs 20 numero 106?”. Ci si riferisce agli articoli che prevedono che il procuratore generale presso la Corte di Cassazione eserciti la sorveglianza sul procuratore nazionale antimafia e sulla relativa direzione nazionale, così come al fatto che il procuratore generale presso la Corte d’Appello debba vegliare al corretto e uniforme esercizio dell’azione penale.
Internazionale
Egitto
Il Corriere della Sera intervista il vescovo Kyrillos William, che da febbraio guida la comunità dei cattolici egiziani: “Cattolici-copti, precisa, perché tutti i cristiani qui sono soprattutto copti, parola che vuol dire egiziani. E tutti i cristiani in queste elezioni hanno logicamente votato Shafiq (ex generale e premier di Mubarak). Come potevano scegliere un Fratello Musulmano? Tutti noi, ora che ha vinto Morsi (candidato dei Fratelli Musulmani) ringraziamo Dio che esista l’Esercito”. In qualche modo il vescovo accusa la parte copto-ortodossa di essere più radicale: “Parlano di persecuzione, noi preferiamo il termine discriminazione”. Poi dice “l’Islam politico mi fa una profonda paura”, e ricorda che nel limbo seguito alla caduta di Mubarak il clima per i cristiani d’Egitto era migliorato, pur non tornando ai giorni di Piazza Tahrir, quando cristiani e musulmani si trovarono fianco a fianco: “Abbiamo iniziato a costruire chiese nuove, o almeno a ristrutturare le vecchie, cosa che sotto Mubarak era quasi impossibile. Gli attacchi sono calati, e a volte dobbiamo ammettere che le tensioni sono provocate dai fratelli ortodossi, che alzano enormi croci sui tetti delle chiese, quando sarebbe meglio evitarlo. O non accettano che le ragazze cristiane, magari per amore, si rivolgano all’Islam, e gridano allora al rapimento”.
Accusa i salafiti di voler cacciare i cristiani da un Paese in cui, questi ultimi sono arrivati sette secoli prima. E della Fratellanza dice: “E’ ambigua, non afffidabile, anche se ora vedremo cosa farà Morsi. I militari gli lasceranno pochi poteri e a noi va benissimo così”.
Parla poi del centro religioso dell’islam sunnita, quello di Al Azhar, dice che sta cercando un nuovo ruolo, che vuole indipendenza dal governo, “nel segno della moderazione”, anche se resta ancora aperta “la frizione con il vaticano”, seguita al discorso di Ratisbona di Benedetto XVI.
Usa
Su La Repubblica Alexander Stille spiega perchè Romney può battere Obama. In un anno di difficoltà economiche, in cui lo slogan più popolare è stato ‘siamo il 99 per cento’, Romney è incarnazione di quell’1 per cento più ricco del Paese: viene da una famiglia ricca, è diventato ricco grazie a compagnie oggi particolarmente odiate, come le cosiddette private equity, che usano i soldi prestati per comprare società e ri-organizzarle, in genere licenziando, per poi rivenderle con grossi profitti. Un settore economico che ha beneficiato di grandi privilegi fiscali, per cui Romney ha potuto accumulare una fortuna: l’anno scorso ha pagato meno del 14 per cento dei 22 milioni che ha guadagnato. Si presenta con un programma economico che suggerisce di tagliare le tasse soprattutto ai più ricchi e i servizi a tutti gli altri. Eppure, secondo i sondaggi, è testa a testa con Obama. Il Presidente Obama era in testa tre mesi fa, quando la ripresa sembrava prendere corpo e il tasso di disoccupazione scendeva, mentre ora c’è stato un rallentamento. Ma tutti i sondaggi d’opinione dimostrano anche che Obama ha molta difficoltàò con gli elettori bianchi maschi, in particolare quelli non laureati, con la classe operaia tradizionale, tradizionalmente base del Partito democratico, che ora però vota prevalentemente per i Repubblicani. “Questo diverso orientamento politico è iniziato – scrive Stille – quando il Partito Democratico ha abbracciato la causa dei diritti civili”. Secondo una recente indagine la pelle nera di Barack gli è costata tra il 3 e il 5 per cento dei voti. Insomma, come spiega Stille, “molti operai bianchi hanno abbandonato i Democratici perché hanno la sensazione che le politiche a favore dei neri vengano attuate a spese loro”. I maschi bianchi, che prima avevano posti in industrie tradizionali, con alto tasso di sindacalizzazione, hanno effettivamente perso terreno dal punto di vsta sociale, ma invece di prendersela con i Mitt Romney, “si accaniscono con quelli che stanno peggio”. Conta anche la teoria del “last place aversion”, ovvero “la paura di rimanere ultimi: in diversi testa basati su giochi di ruolo le persone preferiscono distribuire denaro a quelli che hanno già più di loro, pur di non darne a chi ne ha di meno, perché hanno paura di essere scavalcati, in particolare se già occupano il penultimo posto”. Le ultime analisi Gallup fanno sapere che la percentuale di americani che si dice favorevole a una distribuzione più equa è diminuita durante l’ultima recessione dal 68 al 57 per cento.