Le aperture
Il Corriere della Sera: “La Lega sfida il premier sulla Libia. Maroni incontra Bossi e chiede il voto in Parlamento. Maggioranza nel caos. Consiglio dei ministri rinviato. Ma il Cavaliere: indietro non si torna”. A centro pagina: “Berlusconi sul biotestamento: ‘approviamo la legge o decidono solo i tribunali’. Appello al Pdl. E anche Casini accelera”. In prima pagina anche la foto dei fumerali, ieri, di Pietro Ferrero. “Il dolore di Alba per Pietro Ferrero” viene raccontato da Aldo Cazzullo.
La Repubblica: “Libia, il governo nel caos. La Lega chiede il voto in Parlamento sui bombardamenti. Bossi: Silvio ci prende in giro. Assaltata la nostra ambasciata a Tripoli. Maroni: da Berlusconi scelta sbagliata. La Russa: 8 aerei pronti a colpire”.
La Stampa: “Libia, la Lega vuole il voto. Maggioranza spaccata sulla missione. I timori del Quirinale. La Russa: otto aerei pronti a entrare in azione. Maroni: ‘Sì all’aula. Esecutivo a rischio se non fa quello che deve e non ci consulta. Tensione tra Bossi e Berlusconi. Il premier va avanti, non è in discussione”. A centro pagina: “Obama replica agli attacchi e nomina Panetta ministro della difesa e Petraeus capo della Cia”. “Basta idiozie, sono nato negli Stati Uniti”.
Il Foglio: “Orgoglio padano. Altro che voto, dietro i distinguo della Lega c’è l’interesse nazionale. Da Bossi in giù, i leghisti non arretrano sul no ai bombardamenti in Libia e rivendicano la difesa dell’italianità”. “Napolitano preme sul Pd”. Di spalla il quotidiano offre una “Intervista al ministro” Frattini, che “ci spiega perché la crisi siriana costringe l’Italia a rivedere Unifil. La Farnesina, con Parigi, spinge per le sanzioni a Damasco. Sulla missione in Libano: ‘Non è utile, sgomberiamo’”.
Il Giornale: “Tremonti aizza la Lega. Altro che Libia e clandestini. Dietro lo strappo del Carroccio c’è la manina del ministro che vuole vendicarsi della nomina di Draghi alla Bce e dell’Opa francese su Parmalat”.
Il Riformista, con foto di Berlusconi e Bossi: “Non lo tiene più. E’ berlusconi, non Gheddafi, il leader che la Lega vuole destituire”.
Anche L’Unità apre con una foto di Bossi e Berlusconi: “Attacchi mirati. Il Carroccio minaccia la crisi”.
Libero: “Sarkozy frega Berlusconi e si prende tutta la Libia”. Il quotidiano parla di una “missione segreta” francese in Libia, 15 giorni fa: “I colossi transalpini Eads (difesa), Vinci (costruzioni) e Total (petrolio) hanno firmato ricchi contratti con i ribelli. Tagliando fuori le imprese italiane”.
Il Fatto quotidiano: “Siamo in guerra ma lui se la spassa. Cosa faceva il premier mentre Bossi contestava i bombardamenti sulla Libia? Negli studi Rai organizzava la show di Sharbi e raccontava l’ultima su Sarkozy”:
Il Sole 24 Ore: “La Fed chiude l’era degli aiuti. La prima conferenza stampa di Bernanke: a giugno stop all’acquisto dei bond. Rivista al ribasso la crescita Usa, tassi a Zero ancora a lungo”. Di spalla: “Sulle bombe in Libia la Lega sfida Berlusconi: ora voto in Parlamento”. “Per Maroni scelta sbagliata del premier”.
Politica
Secondo il Corriere della Sera il leader della Lega Umberto Bossi, convinto che uno stop sulla Libia sia in sintonia con le posizioni del popolo leghista, convinto che “se bombardiamo ci riempiremo di immigrati, e magari anche di profughi veri, ai quali non si può dire di no”, ha spedito ieri il ministro Maroni di fronte ai cronisti a proclamare un no convinto. Ieri, alle sei di sera, Maroni, al termine di un lungo colloquio con il leader, nella sede del partito a Milano, ha annunciato solennemente che la Lega non farà dietro front sulla Libia, dichiarando: “La linea è quella dettata da Bossi, siamo contrari alla guerra, contro le bombe che non sono mai intelligenti, perché una bomba uccide, devasta, distrugge, è la negazione dell’intelligenza”. E definisce la decisione di Berlusconi “inopinata e incomprensibile”. Maroni giudica “inevitabile” un passaggio parlamentare sulla questione libica.
Il Giornale, che non manca di sottolineare come aleggi il “sospetto” nel Pdl che dietro lo scontro sui raid vi sia la mano del ministro dell’Economia Tremonti ad “aizzare” la Lega contro Berlusconi, riferisce anche di ulteriori dichiarazioni di Maroni: “Non stiamo lì a schiacciare pulsanti. Non si può dire alla Lega di dire sempre di sì”. Il senatur, scrive Il Giornale, non si è fatto trovare dal Cavaliere, che cercava invano di parlargli.
Il Corriere della Sera sottolinea che Bossi non ha accettato la mancata consultazione sulla svolta interventista decisa dal premier.
Secondo Stefano Folli, su Il Sole 24 Ore, “stando agli avvenimenti di ieri, la maggioranza non esiste più. Esiste ancora, forse, una maggioranza numerica grazie ai ‘Responsabili’ ma è proprio quello il ramo dell’albero che Bossi sta segando. Occorre capire come si svilupperà il passaggio parlamentare cui ha alluso Maroni. Il presidente della Repubblica, come sappiamo, l’aveva giudicato inutile nella sua dichiarazione di martedì. Ma a questo punto è inevitabile, visto che ormai lo reclama anche l’opposizione, che tutavia sulla Libia continua ad essere divisa. E’ chiaro che una crisi di governo suonerebbe come drammatica smentita anche delle posizioni sostenute da Giorgio Napolitano. E questa è una ragione in più per salvare il salvabile”. Secondo Folli la soluzione ipotizzabile è una “mozione di maggioranza che recuperi la Lega, attraverso una serie di precisazioni, alcune delle quali già contenute nel documento votato tempo fa in commissione”: “richiamo stringente all’Onu, limiti alle missioni aeree, garanzia che non ci sarà una escalation sul terreno, linea severa sull’immigrazione clandestina”.
Anche il quirinalista del Corriere della Sera Marzio Breda sottolinea come il Quirinale sia in allarme, essendosi il capo dello Stato esposto personalmente sulla missione in Libia, da ultimo dando copertura alla svolta impressa dal governo, definendola “il naturale sviluppo della scelta compiuta dall’Italia a metà marzo”, sulla quale si era registrato un ampio consenso in Parlamento. Ma ora, dopo le parole di Maroni, appare inevitabile che si vada verso un nuovo voto delle Camere per autorizzare i caccia italiani a compiere azioni belliche. E il Quirinale, a quanto pare, si è rassegnato.
Su Il Giornale e Il Foglio Stefano Galli, politologo dell’Università di Milano, vicino al partito di Bossi ed esperto di federalismo, nonché editorialista de La Padania, spiega che la diffidenza leghista per la guerra ha origini politiche e culturali precise: padri nobili, radici robuste e pacifiste, che fa risalire alla tradizione dottrinaria federalista degli anni ’30 in Francia.
La Repubblica intervista Massimo D’Alema, che dice: “Berlusconi avrebbe già dovuto dimettersi da tempo: la coalizione che ha vinto le elezioni non esiste più”, “ma è chiaro che se ora Pdl e Lega perdono, soprattutto al Nord, lo scenario cambia radicalmente” e “Berlusconi dovrà prenderne atto”.
Esteri
Secondo La Stampa Berlino è intenzionata a respingere l’ipotesi di modifiche sostanziali al Trattato di Schengen avanzate dai governi italiano e francese: considera un paletto invalicabile il principio della libertà di circolazione in Europa. Lo ha fatto con le parole del Ministro degli esteri Westerwelle: “Se si vuole migliorare il sistema Schengen va bene, e bisognerebbe anche farlo”, ha detto, precisando che “la libertà di movimento in Europa è però una conquista talmente importante che non va rinegoziata”.
Al Cairo è stata raggiunta una intesa tra Hamas e Fatah: entro un anno si andrà al voto e nel frattempo ci sarà un governo tecnico, scrive Avvenire. Le elezioni saranno legislative e presidenziali. Il 5 maggio si svolgerà una cerimonia al Cairo per la firma ufficiale dell’accordo, con il presidente palestinese Abu Mazen e il leader politico di Hamas Meshal. L’intesa prevede anche la liberazione dei prigionieri detenuti da entrambe le parti. La nomina del governo tecnico per la Cisgiordania e la Striscia di Gaza prevederà la presenza di esperti indipendenti. Avvenire ricorda che già nel 2009 era stato annunciato un precedente accordo risoltosi poi nel nulla. L’annuncio ha colto di sorpresa Israele, dove il premier Netanyahu ha invitato Abu Mazen a scegliere tra il negoziato con Israele e l’accordo con Hamas, dichiarando: “Una pace con tutti e due è impossibile, perché Hamas aspira a distruggere lo Stato di Israele”. Cautela anche a Washington, dove, pur ricordando che gli Usa sostengono la riconciliazione palestinese, si ricorda che essa deve promuovere la causa della pace, il che significa che Hamas deve riconoscere il diritto di Israele ad esistere.
La Stampa riferisce della replica di Hamas alle dichiarazioni venute da Gerusalemme: “Israele non ha nulla a che vedere con la riconciliazione palestinese, e in passato è stata di ostacolo”. Il quotidiano sottolinea che l’accordo prevede l’inclusione di Hamas nella Organizzazione per la liberazione della Palestina. La molto complessa riunificazione degli apparati di sicurezza a Gaza (legati ad Hamas) e in Cisgiordania (addestrati dagli Usa e filo Fatah). Peraltro l’annuncio della intesa è avvenuto a Gerusalemme nel tardo pomeriggio, poche ore dopo che nel Sinai settentrionale un commando di sabotatori aveva fatto saltare in aria – per la seconda volta in due mesi – un tratto del gasdotto che rifornisce di gas naturale egiziano Israele e la Giordania. Queste forniture (che forse ora cesseranno del tutto) rappresentano il 40 percento del fabbisogno israeliano di energia, e in passato erano assurte a simbolo delle relazioni bilaterali.
E’ una buona notizia, secondo Il Sole 24 Ore, che sia stato il nuovo Egitto del post Mubarak ad avere un ruolo pacificatore come mediatore.
Il corrispondente de La Stampa dagli Usa racconta la scelta di Obama di rendere pubblico il suo certificato di nascita, “per mettere a tacere i dubbi sollevati dai ‘birthers’ sostenuti da Donald Trump, che però reagisce rilanciando la sfida su un altro terreno: adesso il presidente dica tutta la verità anche sui suoi studi”. La Casa Bianca ieri ha convocato i reporter in sala stampa per esibire le copie del “Certificate of Live Birth” del Presidente, nel quale si attesta l’avvenuta nascita in un ospedale di Honolulu. Poi Obama è entrato per spiegare che la scelta è stata dovuta alla esigenza di evitare “diversioni” nel dibattito parlamentare sui network tv: “Non abbiamo tempo per queste stupidaggini”, ha detto. Trump rilancia parlando degli studi di Obama, perché – dice “ci deve dire la verità su come sia stato possibile che uno studente terribile come lui sia potuto entrare alla Columbia e ad Harvard, dove molti ragazzi con ottimi voti non vengono ammessi”.
L’Unità dà conto del testo sottoscritto da 61 capi e leader di tribù libiche, che dichiarano solennemente di volere “una Libia Unita”, qualora Gheddafi uscisse di scena. Il filosofo francese Bernard-Henry Lévy, che ha promosso l’iniziativa, assicura che le tribù firmatarie sono rappresentative di tutto il Paese. Se ne occupa anche il Corriere della Sera, ricordando che tra i firmatari vi è anche un leader del clan al potere, Khalifa Saleh al Khadafi.
Su La Repubblica, un articolo dell’inviato fa sapere che i carri armati di Assad sono alle porte di Damasco. Ma nel frattempo sarebbero cresciute a 230 le defezioni di dirigenti dal partito Baath. E le crepe riguarderebbero anche l’esercito, visto che un reggimento si sarebbe rifiutato di sparare sulla popolazione. Deraa sarebbe ormai una città fantasma: bombaradata dall’alto e dai carri armati, isolata dalla Siria, da tre giorni è priva di acqua, luce e telecomunicazioni.
In una intervista a Il Foglio, il ministro degli Esteri Frattini parla di una iniziativa franco-italiana per arrivare a sanzioni dell’Unione europea contro i dirigenti siriani.
(Fonte: La Rassegna Italiana di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)