DEBITO USA: Repubblicani e democratici cercano in extremis l’intesa sull’economia

Pubblicato il 1 Agosto 2011 in da redazione grey-panthers

Le aperture

Il Corriere della Sera: “America vicina all’accordo. Repubblicani e Democratici cercano in extremis l’intesa sull’economia. Si tratta ancora: sale il tetto del debito, tagli alle spese”. Il presidente Obama ieri ha annunciato che l’accordo c’è. Manca il voto del Congresso Usa. In alto: “Il regime siriano apre il fuoco sulla folla. Più di cento morti. Strage di ribelli ad Hama, bombe a Damasco. Frattini chiede una riunione urgente del Consiglio di sicurezza”. A centro pagina, la politica: “Premier pronto a parlare in Aula. La Lega: politici e crisi, niente ferie”. L’editoriale, firmato da Angelo Panebianco, è titolato:  “Governi tecnici, tra mito e realtà”.

La Stampa: “Debito Usa, intesa a un passo. Alla vigilia della scadenza dei termini, maratona tra repubblicani e democratici per evitare il default tecnico. Trattative a oltranza:_ da vincere le ultime resistenze dei Tea Party”. In alto: “Cannonate sulla folla, orrore in Siria”. A centro pagina: “Pd e Udc, invito alle parti sociali. Sacconi: in settimana il tavolo con il governo. Calderoli: campus estivo sulla crisi”.

La Repubblica: “Crisi, scontro governo-parti sociali. Il governo convoca sindacati, imprese e banche. Berlusconi non parteciperà. La risposta: solo se c’è l’opposizione. La Lega: campus per la riprea”. Nel sottotitolo si parla di Usa: “Accordo sul filo del rasoio per il debito Usa, mercati in ansia”. Con una foto si parla a centro pagina delle “cannonate sulla folla” in Siria. In evidenza anche un articolo sulle vicende giudiziarie italiane: “Inchiesta GdF, dal pm la scorta del ministro. La procura di Roma sentirà anche il responsabile del Tesoro”.

Il Giornale: “Casa, Fini sgrida Tremonti. Senti chi parla. Il presidente della Camera bacchetta il ministro dell’Economia per la storia dell’appartamento. Ma Giulio almeno si è dimesso da inquilino, Gianfranco neanche da cognato… E sogna ancora il governo tecnico”.

L’Unità: “Governo assente. Nessun ministro domani a Bologna. Per il secondo anno l’esecutivo non ci sarà. Protestano i familiari delle vittime della strage fascista: atto grave”. In alto: “Crisi, la sfida dell’opposizione. Iniziativa Bersani-Casini. Incontro con le parti sociali dopo il documento unitario. Sì da sindacati e industriali. Berlusconi immobile. Dopo il pressing del Pd per un dibattito parlamentare, oggi ‘valuterà'”.

Il Sole 24 Ore: “Aumenti di mezza estate. Dalle utenze alle tariffe, dalle addizionali ai ticket sanitari: voce per voce, i rincari per le famiglie. Comuni in prima fila con i ritocchi a trasporti e servizi”.

Politica

L’Unità scrive che “di fronte al governo che non c’è” Bersani e Casini hanno proposto un incontro con le parti sociali per affrontare il dilagare della crisi”. Di fronte allo “straordinario e perdurante silenzio di Silvio Berlusconi”, il leader dell’Udc e quello del Pd hanno “deciso una accelerazione netta” ed hanno annunciato di aver “preso contatto con i rappresentanti delle forze sociali che nei giorni scorsi hanno chiesto un patto di crescita dell’Italia”. Il quotidiano racconta anche del “sì di Confindustria e sindacati”. Un trafiletto sulla stessa pagina dà conto anche delle parole di Walter Veltroni, ieri ad un dibattito in cui presentava un suo libro: “C’è bisogno di una personalità autorevole che rassicuri l’Italia, che abbia un ampio cnsenso parlamentare, che cambi l’orrenda legge elettorale e faccia tutti quegli interventi urgenti che non possiamo più rimandare”, ha detto. “Una personalità autorevole al posto del Cavaliere”, è il titolo.
Angelo Panebianco firma l’editoriale del Corriere della Sera e si sofferma sulla “formula” del governo tecnico, sostenuta sia da coloro che “vorrebbero sbarazzarsi di Berlusconi e sono alla ricerca di una qualunque risorsa che serva allo scopo”, che da quanti pensano che in Italia “bisognerebbe fare certe cose e che i politici, proprio perché vincolati da un rapporto di rappresentanza con gli elettori, non siano in grado di farle”. Per costoro “i tecnici” non hanno “il problema di essere rieletti, possono prendere decisioni in totale libertà”. Ma il punto debole del ragionamento è che un governo siffatto comunque avrebbe bisogno di un accordo politico in Parlamento.
Lo stesso quotidiano intervista Maurizio Sacconi, ministro del Welfare, che si dice pronto ad un “confronto con le parti sociali”, ma risponde negativamente alla proposta di Casini di un “governo di unità nazionale per l’emergenza economica”. “Così si sospende la politica e si alimenta la spesa pubblica. Mai come in questo momento è doveroso consolidare il nostro bipolarismo, fondandolo sul reciproco rispetto delle coalizioni a partire dai partiti principali”. Sacconi nota anche “una strana aggressività anche nei confronti del Pd, che è comunque lo si giudichi uno dei due pilastri del sistema bipolare”. Si riferisce alle inchieste in corso, dice “si colpiscano i fatti e le responsabilità personali senza inseguire teoremi”. Perché per Sacconi è necessario “difendere il primato della politica rispetto alle tentazioni che ambienti finanziari potrebbero avere di condizionare l’Italia sfruttando la crisi e partecipando alle privatizzazioni”.

L’Unità intervista il capogruppo Pd alla Camera Franceschini, che spiega la proposta fatta dai gruppi parlamentari Pd al premier perché riferisca al Parlamento sulla crisi. “Immaginare che il Parlamento chiuda come se non fossimo nel pieno di una grave crisi è terribile. Se Berlusconi si rifiuterà di venire, sarà l’ennesima dimostrazione che a lui interessa solo restare al suo posto, che questo comporta un crescente costo per l’Italia, per ogni singolo italiano, e che questo governo deve dimettersi”. Dopodiché? “Potebbe esserci un governo guidato a una personalità di grande credibilità internazionale che cambi la legge elettorale, affronti le emergenze economiche e porti subito al voto”.
Su La Stampa viene intervistato Enrico Morando: “E ora  un governo Monti”. Morando spiega che il governo “il cambio di passo non lo fa, non  perché non vorrebbe ma perché non ce la fa più”. Come si esce dalla crisi: “non con le elezioni anticipate ma con un governo del Presidente guidato da Mario Monti e composto da personalità che sin d’ora si impegnino a non partecipare alla prossima campagna elettorale.
La Repubblica: “Crisi, lo schiaffo di Confindustria. ‘Tavolo con Governo e opposizione. Gli industriali: non vediamo solo l’Esecutivo. Berlusconi: non vado”. Il ministro Romani, intervistato dal quotidiano, dice che il governo è disponibile al confronto, che “di fronte agli attacchi degli speculatori le nostre banche sono solide”, e che “il problema non è l’Italia ma la zona Euro, con la speculazione internazionale e qualcuno negli Usa che sta lavorando perché la moneta unica si indebolisca”. “Domani pomeriggio saranno decisi i tempi del dibattito parlamentare”, spiega Romani. “Il governo non va in ferie, così come non ci andrà il Parlamento. Faremo un check up complessivo della situazione del Paese”.
La Repubblica dedica anche un ampio articolo al Ministro Tremonti, e spiega che “stavolta le parti sociali – gli imprenditori, i banchieri, i sindacati, i rappresentanti di categoria – non sono più disposti a fare da spettatori di fronte alla passività del governo. E dettano le loro condizioni, invocando un radicale cambio di scenario”. “Che passi perlomeno per la sostituzione di Tremonti, anche se ormai la parola d’ordine sembra diventata un’altra: fare come in Spagna, andare al più presto al voto anticipato”. Secondo il retroscena Berlusconi sarebbe “tormentato dai dubbi: ‘Vorrei andare in Parlamento, ma a dire cosa? Non possiamo promettere nulla Sppoi, se ci vado, sembra che diamo ragione ai vari Bersani e Fini”. Inoltre, un dibattito in Parlamento porterebbe a puntare l’attenzione su Tremonti. e Berlusconi “non sa ancora che pesci prendere: sostituire il ministro dell’Economia o tenerselo al governo come un’anatra zoppa?”.
Anche su La Stampa si dàconto del “dilemma di Silvio”. “Stasera vertice del Pdl, sul tavolo lota alla speculazione. I fedelissimi del Cavaliere: scarichiamo Tremonti”:
Il Giornale: “Ci mancava soltanto il governo tecnico delle tre scimmiette” con foto di Casini. D’Alema e Fini. Il trio Casini-Fini-D’Alema corteggia Alfano: sì a un premier del Pdl, pur di far fuori il Cav. Ma il segretario non ci casca”. Accanto: “Berlusconi alza una barricata contro il golpe. Il premier sceglie il silenzio per respingere gli assalti: lasciano il Pdl ad Alfano ha già fatto un passo indietro”.

Nel mondo

Renzo Guolo, su La Repubblica, descrive la “regola di Hama”: nella città in cui il regime di Assad padre scatenò una violenta repressione nel 1982 contro i Fratelli Musulmani, i tank hanno sparato sulla folla. L’opposizione vuole la caduta del regime, mentre Bashar offre un pluralismo controllato, che lascia intatto il ruolo del Baath, in quanto partito guida dello Stato e della società. Il regime autorizza i partiti, ma pone condizioni inaccettabili per chi anima la rivolta: vieta formazioni su base confessionale o di filiera transnazionale per mettere fuori gioco i Fratelli Musulmani. O su base etno-tribale, come i curdi; invoca norme capestro per i partiti che non si dimostrino sufficientemente “patriottici”. Punta sulle divisioni, sui timori di quei settori che temono che le regole democratiche portino al potere gli islamisti, o su alleanze delle minoranze confessionali, come gli alawiti, di cui il clan Assad è espressione, o come i cristiani, che temono l’avvento di un regime dominato da una maggioranza sunnita. E punta anche sui timori di “amici e nemici” sul piano geopolitico: la caduta del regime è temuta dall’Iran, da Israele, “che teme non solo un governo islamista ma anche uno filo-occidentale che dovesse rendere conto all’opinione pubblica” e che vedreebbe venir meno i vantaggi di una situazione di ‘non pace, non guerra’ che gli consente di congelare la questione Golan; dalla Turchia, che teme che “dal caos siriano possa trovare alimento la questione curda”. L’incognita, resta il ruolo delle forze armate, dominate negli alti gradi dal clan Assad e, più in generale, dagli alauiti di cui gli Assad sono espressione, ma composte da soldati e graduati inferiori sunniti.
Joshua Landis, direttore del Centro studi mediorientali all’Università dell’Oklahoma, spiega a La Stampa che Hama è la “Bengasi della Siria”, poiché qui l’opposizione ha dimostrato che ci può essere una Siria che funziona senza Assad: il governatore è stato licenziato, i dipendenti pubblici lavorano, gli uffici del governo non sono stati attaccati. E testimoni che vi sono stati raccontano di una “atmosfera da Carnevale. La gente festeggiava”. Hama è una città sunnita con molti dipendenti pubblici, e l’ossatura è composta da membri del partito Baath. Dice Landis: “Se è vero che la gente in  piazza è sunnita, sono sunniti anche i militari che restano nel complesso fedeli al regime. La verità è più complessa. Non siamo davanti ad una guerra etnica, da ad una spaccatura tra i sunniti”. Chi sono i protagonisti della rivolta? “Le elite e le masse: le prime stanno con Assad, le seconde si rivoltano. Se i sunniti sono divisi il regime non cade”. Per Landis, l’opposizione è convinta che il ramadan porterà ad una caduta del regime. Ma fino a che l’esercito resterà con Assad, e Damasco sarà calma, il regime non rischia”.
Anche su La Stampa si ricorda il valore simbolico della città di Hama, massacrata dopo la rivolta del 1982, che fece 20000 morti. Hama è diventata il simbolo della protesta. Uno studente intervistato spiegava: “Tra i manifestanti ci sono molti religiosi, è vero. Ma non sono fondamentalisti come li descrive il regime. Sono musulmani normali, disarmati e sopratttutto ben integrati con il resto della popolazione che, anche in virtù del passato indimenticabile, è molto unita”.
Il Corriere della Sera riferisce le parole di “Reem la rossa”, direttrice della televisione di Stato. Si chiama Reem Haddad e sulle proteste iniziate a metà marzo, dice:”So che voi giornalisti sfruttate questo ‘fenomeno dei testimoni’, ma noi abbiamo telecamere ovunque e non abbiamo visto manifestazioni.
Anche sul Corriere, Antonio Ferrari ricorda come la feroce repressione di oggi ad Hama ricordi quella del 1982: “Per decenni la strage di Hama è stata nascosta nei sottoscala della memoria collettiva”. Ma nel 1982, certo, “non esistevano ‘primavere arabe’, e nessuno minacciava seriamente regimi che sembravano intoccabili e immutabili”. Oggi, l’erede di Hafez Al Assad, il figlio Bashar, “che voleva dare di sé una immagine da convinto riformatore, ripercorre, seppur con minore intensità, il percorso del padre, e va a colpire alla cieca gli abitanti di Hama, riuniti per manifestare”.

Su La Stampa si descrive il compromesso sul debito raggiunto negli Usa e il corrispondente da New York Molinari spiega che i “realisti” prevalgono sulle ali estremi degli opposti schieramenti, e l’accordo nasce dalla convergenza tra i volti di spicco dell’establishment di Washington, a dispetto della sinistra liberal e dei Tea Party.
Un ruolo determinante lo hanno avuto Harry Reid, capo della maggioranza Democratica in Senato, e Mitch McConnell, leader della minoranza Repubblicana in Senato.
La Stampa offre anche ai lettori una intervista Robert Reich, ministro del Lavoro ai tempi di Clinton. Per Reich l’accordo al Congresso è “essenziale” perché senza una intesa si rischia la recessione, gli interessi salirebbero subito e l’economia si fermerebbe. Condivide tutti i punti dell’accordo? “Il debito va alzato in maniera automatica fino a dopo le elezioni del 2012, perché non possiamo lasciare ancora il Presidente e l’America in ostaggio di una minoranza estremista come quella che ha provocato questa crisi. Quanto alle tasse, è necessario ridurle per la classe media, ma prima o poi bisognerà aumentarle per il 10 per cento degli americani più ricchi. Senza questo contributo non potremo finanziare la ripresa e tagliare davvero il debito”.
Per Reich, si tratta di una crisi politica, non economica, perché “gli Stati Uniti hanno un debito pari a circa il 70 per cento del Pil. E’ alto, ma non a livello di crisi della Grecia o dell’Italia. Non abbiamo alcuna difficoltà a rispettare gli impegni presi e ripagare i creditori. Il nostro vero problema è favorire la crescita e creare posti di lavoro. La minoranza estremista repubblicana dei Tea Party, però, ha preferito creare questa crisi artificiale, mettendo a rischio la credibilità degli Usa, pur di perseguire il suo obiettivo ideologico di diminuire le dimensioni dello Stato”.
Ai temi di Reich, l’economia americana riuscì a creare oltre 10 milioni di posti di lavoro. Per far ripartire l’economia americana è necessario aumentare la spesa pubblica “In modo ad alimentare la domanda, perché il settore privato ed i consumi sono fermi”. Per i prossimi due anni serve una politica economica e monetaria espansionista, non l’austerity”. Va attuata “con intelligenza: finanziamenti delle opere utili, tagli alle tasse della classe media. Il debito va affrontato nei prossimi dieci anni. Vanno ridotte le spese esagerate come quelle militari, vanno aumentate le tasse ai più ricchi”.

E poi

Su Giuseppe D’Avanzo, il cronista de La Repubblica morto sabato scorso (oggi i funerali), da segnalare un articolo di Roberto Saviano: “Rigore e cura di ogni dettaglio, ecco coma si ha insegnato la mia amizia con Peppe”. “Quando non condivideva una mia analisi o aveva dei dubbi su un passaggio, chiosava con un ‘dai Robbè” che non lasciava scampo.
Alle pagine R2 de La Repubblica un intervento di Alain de Botton, anticipazione di un libro in uscita in settembre per Guanda: “Del buon uso della religione. Una guida per i non credenti”. L’intervento, scrive il quotidiano, “affronta il bisogno di senso di una società secolarizzata. Con una proposta che anticipa il suo prossimo libro”.
Su La Repubblica un intervento di Timothy Garton Ash torna sull’attentato di Oslo e sulla personalità di Breivik, ricordando come sia stato annunciato come un attentato di matrice terroristica islamica. “Come è ridicolo sostenere che non esistono collegamenti tra l’ideologia islamista e il terrore islamista, è altrettanto ridicolo l’assenza di collegamenti tra la tesi allarmista dell’islamizzazione dell’Europa (e dell’Occidente intero) diffusa “da personalità occidentali che sono sempre in allarme per il rischio della trasformazione dell’Europa in “Eurabia”, ovvero una Europa “avvelenata dal multiculturalismo e da altri morbi sinistrorsi, che si piega, arrendendosi senza reagire alla supremazia musulmana”. Per Ash è una strategia sbagliata quella di censurare queste voci estremiste: il risultato sarà solo che queste tesi entreranno in clandestinità, diventando ancor più velenose, e congelando “il legittimo dibattito su temi importanti come l’immigrazione, la natura dell’Islam, i fatti storici”. E comunque nell’era di Internet la censura è impossibile. Per Ash però è altrettanto importante, oltre ad Internet, il campo di battaglia dei cosiddetti “media tradizionali”. Se in Norvegia o in Gran Bretagna le emittenti pubbliche o una stampa valida e responsabile garantiscono che le opinioni estreme siano controbilanciate da critiche, è pur vero che se la fonte di informazione sono i tabloid scandalistici di Murdoch o emittenti come quelle berlusconiane in Italia o la Fox news di Murdoch negli Usa, le cose cambiano.

(Fonte: La Rassegna Italiana di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)