La Stampa: “Boston, bombe alla maratona”, “Due morti e oltre 100 feriti, gli artificieri fanno brillare altri ordigni”. Sotto la testata: “Caos nel Pd. Divisi anche sul Quirinale”.
Corriere della Sera: “Bombe alla maratona, terrore in America”, “Attacco coordinato a Boston, almeno 2 morti e decine di feriti. Obama parla alla nazione”. A centro pagina: “Spinta per un presidente condiviso. Renzi spacca il Pd, accuse e insulti”.
La Repubblica: “Terrore in Usa, bombe sulla maratona”. “Attentato a Boston, morti e più di 100 feriti. Obama: ‘Troveremo i responsabili’”. Di spalla: “Rissa nel Pd sul Quirinale. Sfida Amato-Prodi-Marini”.
L’Unità: “Nel Pd è scontro con Renzi”, “Dopo gli attacchi dure reazioni di Finocchiaro e Marini. ‘Accuse miserabili’. ‘La religione usata a fini politici’. Il sindaco: finché mi sarà possibile dirò la mia. Letta: allarme per la tenuta del partito”. A centro pagina: “Colle, intesa ancora lontana. Il referendum beffa di Grillo”.
Il Fatto: “Pd, guerra contro Renzi. E lui parla un’ora con B.”. Sotto la testata: “Boston, bombe alla maratona: torna l’incubo terrorismo”. In taglio basso si torna sull’inchiesta della trasmissione ‘Report’: “La banda del Campidoglio”.
Libero, sulla corsa al Quirinale e il Pd: “Faida in famiglia per una poltrona”.
Il Giornale parla di “guerra civile a sinistra” e titola: “Miserabile Pd”, “Dopo il segretario, anche Finocchiaro e Marini insultano Renzi: democratici mai così spaccati. Berlusconi incontra il sindaco di Firenze. Salta il vertice con Bersani”. A centro pagina, su Boston: “Terrore e morti alla maratona”.
Europa: “La rosa democratica ha tre signori petali”, “Prodi, Amato e D’Alema i candidati di Bersani. ‘Bene i nomi Pd’, dice Berlusconi. Finocchiaro e Marini travolti da Renzi”.
Il Sole 24 Ore: “Draghi striglia le banche: tassi alti”.
Pd, Renzi, Quirinale
I quotidiani danno spazio a quelli che La Repubblica definisce “scambi di insulti e rischio scissione” nel Pd. La Repubblica ricorda che Renzi aveva attaccato la possibile candidata al Quirinale Anna Finocchiaro (“Finocchiaro la ricordiamo per la splendida spesa all’Ikea con la scorta-carrello umano, ci vogliono figure anti-casta”). L’interessata ha risposto: “Trovo che l’attacco di cui mi ha gratificato Matteo Renzi sia davvero miserabile” e ha ricordato di non essersi candidata al Quirinale (“conosco i miei limiti”). Infine, alle accuse di Renzi ha replicato: “Chi si comporta in questo modo potrà anche vincere le elezioni ma non ha le qualità umane indispensabili per essere un vero dirigente politico e un uomo di Stato”.
Renzi, in una lettera a La Repubblica, aveva anche “impallinato” un altro possibile candidato al Quirinale, l’ex leader dei popolari Franco Marini, ricordandogli di non essere riuscito a farsi eleggere in Parlamento, e accusandolo direttamente di fare un uso strumentale del suo essere cattolico. Spiega La Repubblica che il sindaco aveva in questo modo denunciato la ricerca di un candidato cattolico gradito ai cattolico-democratici, alla corrente Areadem di Franceschini, a Giuseppe Fioroni. La risposta di Marini: “nella mia lunga vita sindacale e politica non ho mai utilizzato l’appartenenza religiosa per chiedere o ottenere incarichi di qualunque natura. E’ Renzi a commettere il grave errore che mi addebita”. Anche Marini ha peraltro precisato di non essersi candidato a nulla.
Di spalla, ancora su La Repubblica, si racconta il “contrattacco” di Bersani al sindaco di Firenze: “E’ un’altra ferita al Pd – avrebbe detto. “Purtroppo l’unico che pensa al suo destino personale è proprio Renzi. Sta cercando di orientare la scelta che gli conviene di più, quella che lo porti al voto subito”. Bersani ha fatto riferimento alla imminente riunione dei gruppi parlamentari sul voto per il Colle: “Vediamo se i renziani accettano la decisione della maggioranza. Se ci mettono la faccia, come dice sempre Matteo, o preferiscono rifugiarsi nella schiera dei franchi tiratori”.
Dalle pagine de L’Unità risponde Giuseppe Fioroni: “Cattolici? Matteo più arretrato del Concilio”. Dove si spiega che l’uso strumentale della religione collide nettamente con lo spirito del cattolicesimo post-conciliare: “Noto, in effetti, come a suo giudizio ‘l’ispirazione religiosa, non solo cattolica, non solo cristiana possa essere molto utile alla società’. Dopo il Concilio – scrive Fioroni – questo modello di religiosità civile è caduto rapidamente nell’oblio”. La lettera è pubblicata anche da Europa.
Per tornare a L’Unità, si racconta di come Renzi si descriva “amareggiato” per gli insulti che riceve dal suo stesso partito, difendendosi così: “Dico quello che pensano milioni di italiani”. Renzi ha scritto di suo pugno la risposta a quelle che considera “offese”: “Fino a che mi sarà possibile continuerò a dare il mio contributo perché l’Italia torni a competere ed a sperare. E mi impegnerò perchè il Pd diventi un partito vincente”.
Su La Stampa Michele Brambilla racconta il “faccia a faccia per un’ora” tra “Berlusconi e il rottamatore”. I due si sono incontrati a Parma, ad una cerimonia per ricordare Pietro Barilla, e Renzi pare non sapesse che sarebbe andato ache Berlusconi. Il Cavaliere per prima cosa gli avrebbe detto “ma quanto sei alto” (un metro e ottantuno). Il cronista racconta che a un certo punto pare che Renzi abbia fatto uscire i suoi parlamentari Pd per restare da solo con il Cavaliere. Il sindaco ha detto: non abbiamo parlato di politica”.
Per il Corriere della Sera il faccia a faccia è durato venti minuti. Il Giornale lo definisce “summit Berlusconi-Renzi”, e scrive che “i due discutono di larghe intese e Colle”. Sulla stessa pagina il quotidiano spiega che è slittato il vertice con Bersani. “Sto aspettando la loro rosa di nomi” ha detto Berlusconi intervistato ieri dal Tg1.
Il Foglio scrive che “il partito anti Romano Prodi nel Pd è una forza maggioritaria, ma ha un problema gigantesco che il segretario Bersani non sa come aggirare: la sua unica sponda per fermare la corsa di Prodi verso il Quirinale, ed evitare le elezioni anticipate a giugno, si chiama Silvio Berlusconi”. Nel Pd coloro che diffidano di Prodi sono molti, ma non organizzati: il segretario Bersani, Massimo D’Alema “che definì Prodi ‘un flaccido imbroglione’”, i giovani turchi e poi i popolari amici di Franco Marini. Il gruppo si contrappone ai sostenitori più o meno interessati della candidatura di Prodi: il sindaco di Firenze, ma anche la Bindi, cioè tutti i teorici delle elezioni anticipate a giugno
Sullo stesso quotidiano, Emanuele Macaluso e Rino Formica firmano un intervento che compare sotto il titolo “Amato for president”, spiegando perché alla Repubblica oggi serva Giuliano Amato. “L’Italia ha bisogno di un presidente esperto nella difficile navigazione politica interna, sensibile per storia al dramma sociale in cui siamo immersi”. Queste caratteristiche sono ravvisate da Macaluso e Formica, al pari del requisito che Amato avrebbe di “un presidente della Repubblica riconosciuto negli organismi internazionali”.
Su La Stampa: “Il Cavaliere aspetta la lista sperando di trovare il nome di Amato in cima”. Secondo il quotidiano l’altro personaggio che il Cavaliere vedrebbe bene al Quirinale, ma sicuramente in seconda battuta rispetto ad Amato.
Secondo Libero “cresce un Baffino sul Quirinale”, “salgono le quotazioni di D’Alema: Berlusconi lo considera il candidato più affidabile ed ha incassato il sostegno del primo cittadino di Firenze”.
Oggi verranno diffusi i risultati delle “quirinarie” del Movimento 5 Stelle. Si saprà chi è il prescelto, per questo secondo turno, Giancarlo Caselli, Dario Fo, Milena Gabanelli, Ferdinando Imposimato, Romano Prodi, Stefano Rodotà, Gino Strada e Gustavo Zagrebelsky. La Repubblica spiega che potevano votare i 48 mila utenti certificati del blog di Grillo, e sarà lo staff a decidere se rendere noti il numero dei votanti effettivi e le preferenze accordate. Beppe Grillo si è ritirato dalla corsa, Gianroberto Casaleggio dapprima ha chiuso a nomi politici, poi ha affermato: “Se il movimento dovesse scegliere Prodi, voteremo lui”. Su Il Fatto: “Derby Prodi-Amato. Bersani punta sui 5 Stelle”, “il primo nome potrebbe essere votato con i grillini, il secondo, favorito dalle grandi intese, piace anche al Pdl”.
Ieri Pierluigi Bersani ha incontrato Mario Monti per un’ora, secondo il resoconto de La Repubblica. Al termine dell’incontro, in una nota congiunta, hanno fatto sapere di “aver convenuto sulla necessità di ricercare la massima convergenza possibile tra forze politiche per la scelta di un candidato autorevole che possa rappresentare l’unità nazionale, come indicato dalla Costituzione”.
L’Unità, occupandosi della formazione Scelta civica, nata su impulso di Mario Monti, scrive che “senza il Prof” sta implodendo: il patron della Ferrari Luca Cordero di Montezemolo, cofondatore di Scelta Civica ma leader del think tank Italia Futura, che ha concorso con lui alle elezioni nella stessa formazione, sarebbe intenzionato ad archiviare la stagione di Monti, guardando a Renzi come leader futuro. Alleati di destra di un Pd guidato dal sindaco rottamatore, ipotizza L’Unità. I parlamentari di Italia futura vorrebbero insomma “scippare la leadership di Scelta civica” ad Andrea Riccardi e Andrea Olivero, accusati di aver trasformato Scelta civica in una nuova Udc.
Boston
Sul Corriere della Sera Guido Olimpio scrive che per ora il dramma di Boston è aperto a tutte le ipotesi, anche se “le piste sono essenzialmente due: terrorismo interno o di matrice qaedista”. Di certo è un attacco “coordinato e pianificato”, che potrebbe essere stato opera dei “militanti di estrema destra – dagli xenofobi agli anti-Stato”, che “hanno la capacità e la volontà di colpire” e che già hanno colpito giochi e marce. Il movente per questi gruppi “non manca mai”; qualcuno ha sottolineato che l’ultimo meglio della maratona di Boston era dedicato alle vittime della strage di Newtown. Sulla matrice qaedista Olimpio ricorda che di recente i siti avevano minacciato “attacchi potenti e choccanti” anche negli Usa.
Anche su La Repubblica si sottolinea come non vi sia soltanto la pista Al Qaeda, poiché si indaga anche sui “suprematisti” bianchi, attivi in varie aree degli Usa. In un recente documento del Department of Homeland security si dice che “l’estrema destra sta guadagnando negli Usa consensi, giocando sulla paura e radicalizzando lo scontro”. Nella conclusione si metteva in guardia contro “Lupi solitari e piccole cellule, che stanno sempre di più abbracciando una ideologia di estrema destra che in questo momento è la più pericolosa minaccia terroristica sul territorio degli Stati Uniti”.
Il Foglio ricorda che la data di ieri non è una data qualunque, ma era il terzo lunedì d’aprile, il Patriots day, giorno in cui si festeggia la prima battaglia della guerra di Indipendenza americana. Anche questo quotidiano sottolinea come esistano due possibili ipotesi: quella interna (terrorismo suprematista bianco) e quella esterna (terrorismo di gruppi islamisti che non necessariamente vengono da fuori, ma da fuori ispirati). Sul primo fronte, Il Foglio ricorda che l’Amministrazione Obama sta facendo una campagna per imporre restrizioni sulle armi, e che questo è un tema su cui la destra militante è suscettibilissima. Quanto ala possibile pista esterna, il New York Post ha parlato dell’arresto di un sospettato di vent’anni di nazionalità saudita. La notizia è stata poi smentita dalla polizia, che ha parlato di un ferito di nazionalità saudita interrogato – come molti altri testimoni – nell’ospedale di Boston.
Internazionale
La Repubblica si occupa delle contestazioni in Venezuela del risultato delle presidenziali: l’erede del caudillo Chavez, Nicolàs Maudro, avrebeb sconfitto con i suoi 7.505.000 voti, l’oppositore Henrique Capriles, che si sarebbe attestato sui 7.270.000 voti: un punto e mezzo di differenza, 235mila voti di differenza. Capriles contesta i risultati. Il quotidiano intervista Rory Carrell, esperto di America del sud ed autore di “Storia segreta di Hugo Chàvez”. Di Maduro dice che “non ha il carisma, e non ha neppure tutti quei soldi che aveva Chàvez, soprattutto agli inizi. Maduro eredita inflazione, miliardi prestati dalla Cina, molti problemi economici e un modo caotico di governare”. Insomma, si tratta di un presidente “debole”, che ha di fronte a sé una “opposizione che rinasce” e i chavisti rivali di Maduro che possono decidere di non appoggiarlo. Un leader così fragile ha davanti due strade: una è fatta di flessibilità e capacità di fare compromessi, l’altra è quella che temo: autoritarismo, marginalizzazione dei pochi media non governativi, tribunali usati a tappeto per criminalizzare i politici dell’opposizione. L’incantesimo è proprio finito, e la realtà sarà difficile da vivere”.
Anche su La Stampa si spiega che Capriles ha chiamato il popolo in piazza e si sottolinea come il vincitore Maduro sia l’espressione dell’ala politica del governo, e non di quella militare. E’ proiettato verso le relazioni internazionali anziché nello strategico business del petrolio, spina dorsale di tutto il sistema. Da domani se la dovrà vedere con il potente Diosdato Cabello, la voce dei militari e dei grandi affari dello Stato, ma anche con Rafael Rarimez, da anni presidente della Pdvsa, la compagnia petrolifera pubblica. La battaglia della opposizione per contestare il voto punta ora sugli organismi internazionali. La Oea, organizzazione degli stati americani, ha appoggiato la proposta ri riconteggio, ma le schede sono in mano ai militari, che potrebbero averle già manipolate. Il quotidiano intervista l’ex ambasciatore Usa a Caracas Patrick Duddy: anche questo interlocutore sottolinea quanto sia debole la presidenza di Maduro, quanto sia esposta alla rivalità con Cabello, presidente della Assemblea nazionale, e come Maduro necessariamente punterà molto sull’asse delle relazioni con Cuba, “sua grande polizza assicurativa contro la volatilità interna”.
Sul Corriere: “Scontro sulla vittoria del delfino di Chavez”. Il quotidiano scrive che l’Organizzazione degli stati americani, Oea, per bocca del suo leader, il cileno José Miguel Insulza, ha fatto sapere, per quel che riguarda la contestazione dei voti: “Offriamo l’aiuto di un gruppo di esperti. Ma prima di tutto lanciamo un appello al dialogo nazionale”. Secondo i primi calcoli, nelle cinque settimane che sono trascorse dalla scomparsa di Chavez, il nuovo leader avrebbe bruciato quasi un milione di voti.
Su L’Unità ci si occupa della vicenda di Samir Naji Al Hasan Moqbel, detenuto a Guantanamo, yemenita, in sciopero della fame. La sua protesta è iniziata nel febbraio scorso, e l’ha raccontata al New York Times: “Sono detenuto a Guantanamo da 11 anni e 3 mesi, non sono mai stato incriminato di alcun reato, non ho mai subito un processo”. Viene alimentato a forza, attraverso una cannula nel naso. La Stampa riproduce la sua testimonianza sul New York Times: “Con sondini e flebo mi obbligano a vivere”. Fa lo sciopero della fame insieme ad altri 40 prigionieri. Racconta: “nel 2000, quando ero a casa nello Yemen, un amico di infanzia mi disse che in Afghanistan avrei potuto guadagnare più dei 50 dollari che tiravo su in fabbrica”, “non avevo mai veramente viaggiato, e non sapevo nulla dell’Afghanistan, ma ho deciso di provare. Ho sbagliato a fidarmi di lui. Non c’era lavoro”. Poi ricostruisce. “Dopo l’invasione americana del 2001 sono fuggito in Pakistan come tutti gli altri. Mi arrestarono quando chiesi di vedere qualcuno dell’ambasciata dello Yemen. Poi mi mandarno a Kandahar, e mi mandarono a Guantanamo. L’unica ragione per cui sono ancora qui è che il Presidente Obama si rifiuta di rimandare in Yemen i detenuti”.
Su La Repubblica un reportage da Istanbul racconta: “Patto segreto con i curdi, così è arrivata la pace”. “La trattativa è stata condotta nell’isola-prigione dove è detenuto il leader del PKK ‘Apo’ Ocalan. L’accordo chiude 30 anni di guerra, un massacro che ha fatto 40 mila morti e 300 milioni di danni”. “L’intesa prevede il ritiro di 1500 guerriglieri in cambio di diritti civili e autonomia. E i detenuti politici usciranno dal carcere”. “Una commissione di saggi studierà le regole per l’integrazione. E anche il vecchio comandante ora spera di tornare in libertà”.
Spiega l’inviato Ansaldo che “saranno i soldi a far tacere le armi”, perché “ad avviare il processo di riconciliazione che appariva ormai senza speranza è l’inarrestabile sviluppo del Paese”, insieme con le attese di ospitare nel 2020 le Olimpiadi.
Il Foglio si occupa ampiamente di Iraq, a dieci anni dalla guerra. Lo fa riproducendo ampi stralci dell’intervento che l’ex primo ministro conservatore dell’Australia, John Howard ha tenuto il 9 aprile scorso presso il Lowy Institute di Sidney: “L’ex premier australiano, più bushiano di Bush, rivendica il regime change a Baghdad. Ne discese la Primavera araba”. Scrive che se Saddam non fosse stato rovesciato nel 2003, molto probabilmente sarebbe ancora al potere. Il quotidiano intervista anche lo storico Victor Davis Hanson. Si parte dall’analisi con cui il dissidente iracheno Kanan Makiya, sulle colonne del New York Times, ha scritto che la guerra in Iraq è stato il vero forcipe che ha aperto il mondo arabo alla Primavera araba. Dice lo storico Hanson: “L’idea che Saddam Hussein, un dittatore arabo, venisse arrestato e umiliato, processato in una corte civile e ritenuto colpevole di genocidio, e giustiziato, è questo che ha scatenato la Primavera araba. Poi aggiunge. “Metà delle dimostrazioni in Africa del Nord erano guidate da sinceri riformatori, gran parte erano spontanee e idealistiche ma, come nella rivoluzione bolscevica, gli islamisti hanno preso la guida della rivolta, come anche nel 1979 iraniano, e alla fine abbiamo assistito alla vecchia autocrazia mediorientale in salsa religiosa. La liberazione del mondo arabo proviene dalla tolleranza di altre fedi, dalla libertà di espressione, e dalla fine del tribalismo, che pone un cugino sopra Stato e società.
Su L’Unità: “Via dalla paura, 300 mila cristiani in fuga dalla Siria”. E’ “una comunità che si svuota”: i cristiani fuggono non solo dai loro villaggi e dalle città colpite dalla guerra, ma anche dai campi profughi dell’Onu. La maggior parte dei cristiani non figura nelle liste dell’Unhcr, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, perché si rifiuta di essere classificata come parte dell’opposizione, formata soprattutto da musulmani sunniti. I cristiani tengono al loro profilo neutrale. Profughi cristiani riferiscono di violenze ai loro danni dopo l’arrivo di milizie jihadiste, di sequestri e strupri di donne cristiane. E mentre continua a crescere in Turchia il numero di rifugiati cristiani siriani, in fuga dalla guerra civile, le autorità di Ankara hanno accettato di costruire un campo solo per loro: potrà ospitare 4000 persone.
E poi
Da segnalare oggi una lettera su L’Unità di Pierluigi Bersani, dedicata a Roberto Ruffilli, ucciso il 16 aprile di venticinque anni fa dalle Brigate Rosse. Bersani ricorda la via d’uscita dalla crisi di rappresentanza dei partiti, indicata dal politologo: una via d’uscita che era “precisamente l’opposto delle scorciatoie antipolitiche e antipartitiche. Ruffilli credeva nella democrazia rappresentativa, e credeva nel ruolo dei partiti”, ma lanciò la proposta di “dare all’Italia una legge sul funzionamento democratico dei partiti, in attuazione dell’articolo 49 della Costituzione”.
Fonte: RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini
Tra i vari nomi in ipotesi anche la giornalista di Report. Ma non sarebbe meglio valorizzare le professionalità e proporla ai vertici Rai? vp