Corriere della Sera: “Sì del Senato, Lusi in cella. L’ex tesoriere della Margherita: ho molto da dire ai pm”.
A centro pagina: “Lavoro, intesa Monti-partiti. ‘Risolverò il caso esodati”.
La Stampa: “Lusi in cella con i voti del Pd”, “L’ex tesoriere della Margherita a Rebibbia: ‘Ho molto da dire ai pm’”.
A centro pagina: “Lavoro, Monti: riforma entro il 27″.
La Repubblica: “Sì all’arresto, Lusi in carcere”, “L’ex tesoriere della Margherita a Rebibbia: ho ancora molto da raccontare”.
A centro pagina, la decisione della Corte costituzionale che ha bocciato il ricorso di un giudice di Spoleto: “‘Aborto, la legge 194 non si tocca’”.
Il Foglio: “Il caso Ingroia-Napolitano”. “Il pm puparo politico di un pataccaro spacciato per icona dell’antimafia e smascherato ora alza il itro. Vuole cacciare o invalidare il capo dello Stato. Da talebano, confonde diritto e storia”.
Il Fatto: “Napolitano-Mancino. Le telefonate top secret”, “Due chiamate del capo dello Stato, intercettate sull’utenza dell’ex ministro, non trascritte dai pm perché irrilevanti”.
A centro pagina: “Lusi arerstato: ‘Ora facciamo i conti’”.
Il Giornale parla di “ultimatum di Berlusconi” e titola: “Basta morire d’euro”, “Troppe tasse e poca crescita, il Cav detta le regole al governo: ‘Uscire dalla moneta unica non è una bestemmia’”.
A centro pagina, foto di Luigi Lusi: “Lusi va in galera”.
L’Unità: “Berlusconi esce dall’euro”. A centro pagina: Il Senato ha votato sì. Lusi portato in carcere”.
E poi: “Bruxelles contro Monti: propone solo aspirine”.
Il Sole 24 Ore: “Dalla Fed nuova liquidità alle banche”, “L’effetto G20 spinge le Borse europee. Il differenziale BTp-Bund scende a 416″.
A centro pagina: “Piano anti-spread, la Ue frena”, Bruxelles contraria all’uso dell’Efsf per comprare bond. Berlusconi: dovremmo lasciare l’euro”.
Lusi
“Si comincia sempre dal tesoriere” è il titolo dell’analisi che compare sulla prima de La Stampa a firma di Federico Geremicca. Dove si sottolinea che quello di Luigi Lusi è il primo arresto dell’era Grillo: qualcuno al Senato parlava di “effetto Grillo”, proprio come un aventina di anni fa si temeva quello di Di Pietro. Enzo Carra, portavoce di Arnaldo Forlani e arrestato a sua volta, “insomma, uno che sa di che parla”, “ha tradotto il tutto in un’immagine spietata e melanconica: ‘Il Senato ha votato contro il suo Schettino: un uomo solo muoia perché tutti gli altri vivano’”, perché “da qualcuno bisognava cominciare”, in una cittadella politica accerchiata dal discredito trasformatosi in rabbia. Si poteva cominciare da Lusi, “che naturalmente se lo merita -scrive Geremicca- per gli spaghettini al caviale, le ville, le case e le vacanze lussuose” a spese della Margherita, secondo l’accusa, e comunque a spese del contribuente. Ma lui “non sembra disposto a portare la croce da solo, a trasformarsi nel Primo Greganti del terzo millennio”. In aula, al Senato, Lusi, accusato di aver sottratto oltre 22 milioni di euro dalla cassaforte della Margherita, si è difeso, ma senza retorica, preferendo la logica: come è possibile che nessuno si accorgesse al vertice del mio partito? “E difendeva la legittimità di un cattivo pensiero: mi hanno indagato a marzo per appropriazione indebita, ma per potermi arrestare ci hanno aggiunto -a maggio- l’associazione a delinquere”.
Il via libera all’arresto è stato dato dal Senato con 155 sì, 13 no, un astenuto. Pd, Idv, Api e Lega hanno votato sì. Il Pdl, scrive l’Unità, “al termine di una rovente riunione di gruppo, ha scelto un alinea in grado di ricomporre la spaccatura tra garantisti e realisti: non aprtecipano al voto. Gasparri in aula sintetizza: ‘Non ci prestiamo a manovre interne, c’è chi approfitterebbe del voto segreto per votare no e urlare in pubblico il contrario’”.
La Stampa intervista l’ex presidente del Senato, il Pdl Marcello Pera, che invece ha votato contro l’arresto del senatore Lusi: “Sì, come ho sempre fatto”, dice, ricordando di non aver mai votato per l’arresto di alcuno, essendo contrario alla carcerazione preventiva. E poi, dice Pera, “non c’era nemmeno un rinvio a giudizio. Decisamente i magistrati avrebbero fatto meglio ad aspettare”. Stessa pagina, stesso quotidiano, intervista alla radicale Emma Bonino, che ha votato a favore dell’arresto: “Siamo tradizionalmente garantisti”, ma il Parlamento “non è l’aula di un tribunale e, piaccia o non piaccia, noi dobbiamo valutare solo se vi sia accanimento giudiziario. E a nostro avviso in questo caso non c’è, punto”. E la Bonino ricorda come sia uno scndalo in Italia la carcerazione preventiva: “su 67 mila carcerati, 27mila sono in attesa di giudizio e 14mila in attesa del primo grado. Questo è il problema e non ci si può emozionare solo se si ritiene che riguardi un collega”. Quanto alla questione finanziamenti ai partiti, il caso Lusi è per la Bonino la prova evidente di una la gestione senza rendicontazione dei fondi, “concessi anche per partiti defunti”.
Il voto è stato palese in Senato perché, secondo Il Fatto, “lo sa anche Lusi: coperti dall’anonimato, i colleghi l’avrebbero salvato”.
Stato-Mafia, Mancino, Napolitano
Il Fatto scrive che il Presidente Napolitano “avrebbe parlato direttamente con Nicola Mancino, almeno a leggere l’anticipazione di Panorama.it, che segnala la preoccupazione e l’irritazione dello staff del Colle per la possibilità che nei brogliacci della Procura non ancora depositati vi siano anche “conversazioni che vedono il Presidente della Repubblica alla cornetta. E non appaiono preoccupazioni infondate. Al Fatto risulta che tra le decine di telefonate intercettate, in almeno due casi, la squadra di Polizia giudiziaria nella sala ascolto della Procura di Palermo avrebbe trascritto in brogliacci, coperti dal segreto, la voce del Capo dello Stato a colloquio con l’ex vicepresidente del Csm Mancino. Il contenuto è ovviamente segreto, non verrà trascritto e finirà probabilmente distrutto, senza mai arrivare agli atti del processo. In quelle telefonate con la voce del Capo dello Stato ci potrebbe essere la conferma del suo diretto interessamento per calmare le angosce di Mancino, avviando di fatto le manovre di interferenza nella indagine di Palermo”.
Intanto, scrive ancora Il Fatto, l’indagine della Procura di Palermo sulla trattativa Stato-Mafia divide Magistratura Democratica, la corrente di sinistra delle toghe. Uno dei suoi leader storici, il procuratore aggiunto di Roma Nello Rossi, aveva espresso pubblicamente la sua incredulità sull’accusa mossa all’ex ministro della giustizia Conso di false informazioni al Pm, per aver dichiarato di aver deciso da solo la revoca del carcere duro per oltre 300 mafiosi. Per i vertici di Md le parole di Rossi espongono al rischio di una “delegittimazione” il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia.
Di Ingroia l’Elefantino del Foglio scrive oggi: “Il numero due della Procura di Palermo lavora per cacciare il Presidente della Repubblica o quantomeno per fare di lui un’anatra zoppa”. E’ un giudizio politico rivendicato su un “attore politico da comizio” con il suo “sistema di alleanze nel sistema dei media, che va da Repubblica al Fatto, con tutta una banda televisiva ai suoi piedi. Gli imputati dei processi di Ingroia – ricorda Ferrara – sono alti ufficiali dei carabineri che arrestarono Salvatore Riina ed applicarono le tecniche investigative e di repressione che sono prerogativa, a livelli distinti, del potere giudiziario e del potere esecutivo, penetrando l’organizzazione criminale detta Cosa Nostra e virtualmente distruggendola”. Il quotidiano intervista il vicepresidente del Csm Vietti, che dice: “Qui si dimentica un dettaglio di straordinaria importanza: che il Presidente della Repubblica è all’un tempo presidente del Csm e in quanto tale ha il diritto e il dovere, di fronte alla segnalazione di una presunta anomalia, di attivare tutti i rimedi che l’ordinamento mette a disposizione. La sollecitazione, inviata con lettera ufficiale al Procuratore generale della Cassazione che è anche lui membro del Csm, non aveva altro obiettivo se non quello di verificare, come prescrive la legge, il corretto e uniforme esercizio dell’azione penale”. Va infatti ricordato che le tre Procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze, hanno adottato tre diverse strategie di indagine, a volte con polemiche più o meno velate tra i rispettivi capi dell’ufficio, come ricorda Il Foglio.
Crisi
Secondo Federico Rampini (La Repubblica) ha raccolto “prime, caute aperture” la proposta di Mario Monti di mobilitare il fondo salva Stati per comprare titoli del Tesoro italiani e spagnoli: è un piccolo, ma pprezzabile risultato del G20. Il clima di Los Cabos, con la pressione esercitata dal ‘resto del mondo’ (Usa e Brics) nei confronti della Germania, sembra avere sortito questo risultato. E’ in quel vertice che Monti aveva lanciato la sua idea: usare subito le risorse dell’European Financial Stability Facility (Efsf), poi quelle dell’European Stability Mechanism che subentrerà da luglio, per effettuare acquisti sui mercati che facciano calare i tassi spagnoli e italiani”. La proposta aveva subito raccolto l’adesione del presidente francese Hollande e, meno scontata, ieri sarebbe arrivata “una parziale apertura -quantomeno una non-bocciatura”, da parte di Angela Merkel: questi interventi di Efsf ed Esm “non sono in discussione nell’immediato”, ha detto, precisando però che “c’è la possibilità che questo avvenga”. L’articolo evidenzia dunque queste aperture ed è affiancato da un’intervista al premio Nobel per l’economia Nouriel Roubini, che dice: “Una sola opzione praticabile l’aiuto della Troika a Italia e Spagna”. Ma l’analisi di Rampini cita anche le perlessità espresse dalla Commissione europea, che ieri, per bocca del vicepresidente Olli Rehn, come riferisce Il Sole 24 Ore, ha avuto una reazione “curiosamente fredda” definendo l’idea di acquistare titoli di Stato sui mercati “paracetamolo finanziario”. Rehn in sostanza ha sottolineato la necessità di sottoporre gli acquisti a specifiche condizioni, secondo i Trattati Esm e Efsf. Secondo il quotidiano, è probabile che a Bruxelles siano preoccupati da soluzioni non perfettamente in linea con quelle previste dai diversi trattati. Francesco Forte su Il Giornale firma una analisi che compare sotto il titolo: “La Ue boccia la linea Monti: per noi è solo ‘un’aspirina’. Fallito il progetto eurobond, il premier tenta di convincere la Germania sull’acquisto di titoli di Stato dei Paesi in crisi. Ma dimentica la crescita”. Forte sottolinea che Efsf e Esm possono comprare “Titoli di Stati membri solo se si tratta di problemi di stabilizzazione finanziaria, non se si tratta di insolvenza, che deriva dal fatto di avere un deficit pesante della bilancia dei pagamenti, come la Spagna. E quindi – così ragionano i tedeschi – se i Paesi in crisi non fanno le riforme non riescono ad essere solvibili”. Quindi Monti ha sbagliato a chiedere dei prestiti che – male utilizzati – diventano “aiuti”. Quel che si dovrebbe chiedere all’Europa è invece fare una politica di crescita, “mediante le istituzioni finanziarie europee”, nelle infrastrutture e progresso tecnologico, con progetti dotati di costi e di ricavi. Oggi l’eurogruppo dovrà decidere – ricorda il Corriere – sugli aiuti a Spagna, Grecia e Cipro.
Internazionale
Mentre continua ad essere un giallo la salute di Mubarak, e mentre entrambi i candidati alle presidenziali, ovvero Mohamed Morsi (Fratelli Musulmani) e Ahmed Shafiq (ultimo premier di Mubarak) continuano a rivendicare la vittoria, la commissione elettorale sta ipotizzando un rinvio della proclamazione dei risultati alla prossima settimana. Il Sole 24 Ore intervista Khairat Al Shater, che avrebbe dovuto essere il candidato presidenziale islamista, ma è stato escluso dalla corsa. Tanto che la gente – come scrive il quotidiano – chiamava Mohamed Morsi “ruota di scorta”. Ma è Shater, uomo d’affari di 63 anni, 12 dei quali spesi nelle prigioni di Mubarak, il vero leader politico della Fratellanza. Dice: abbiamo vinto le presidenziali con un milione di voti di scarto. La tensione non calerà se non verrà riconosciuto e lo Scaf (la giunta militare, ndr) non ritirerà la decisione di chiudere il Parlamento. Si rifiuta di usare la parola “golpe” per la decisione dei militari, conferma che il dialogo con i militari prosegue: “Abbiamo sempre creduto nel ruolo delle forze armate, se li attaccassimo indeboliremmo le istituzioni”. Shater conferma che la Fratellanza riconosce che il futuro governo dovrà essere formato da tutte le forze politiche: Se Morsi sarà eletto non imporremo la nostra visione, ma distribuiremo le cariche della squadra presidenziale a tutti, anche a chi non ha seggi in Parlamento. I militari hanno promesso di lasciare il potere il 30 giugno, Shater ricorda che la Fratellanza pone tre condizioni: il presidente eletto deve avere un potere reale, il Parlamento deve essere riaperto, la commissione costituzionale che sceglierà la nuova carta deve essere scelta dal Parlamento. Altrimenti significa che non si sono ritirati e l’instabilità continuerebbe. Al Shater dice che la sua prima preoccupazione è il fatto ch eil 40 per cento della popolazione viva sotto la soglia della povertà, che è necessario garantire “sicurezza e stabilità” per far tornare gli investitori in Egitto. “Poi adotteremo libero mercato e laissez faire” perchè “come spiega la storia del capitalismo, il settore privato ne ha bisogno”. Dice che il suo modello economico è a metà strada tra quello turco e il malese.
Il Corriere della Sera intervista George Prescott, figlio di Jeb Bush, ex governatore della Florida (fratello dell’ex presidente) e di Columba Garnica Gallo, statunitense di origine messicana. Sta tentando di cambiare il volto al Partito Repubblicano, partendo dal Texas dove, nel 2009, ha creato gli “ispanici repubblicani del Texas”, convinto che sia necessario, per il GOP, parlare alla minoranza più grande del Paese.
E poi
Il Corriere della Sera offre ai lettori l’anticipazione di un intervento del consigliere del neopresidente francese Hollande, Aquilino Morelle, che comparirà su Micromega. Morelle scrive che “la sinistra si è paralizzata” davanti all’aggressività del “nuovo capitalismo totale, ammutolendosi e rifugiandosi nell’idea che non si poteva fare diversamente”, che la globalizzazione fosse un processo inarrestabile come i processi fisici. Tutto ciò è falso – scrive Morelle – ricordando che “il sistema liberale è fondamentalmente basato sulla disuguaglianza”, e un sistema che “ha cercato di legittimare la disuguaglianza come valore”, per questo la sinistra deve ricercare l’uguaglianza, valore cui negli ultimi 30 anni ha rinunciato: “questa rinuncia ha preso diverse forse, da John Rawls, con le sue ‘disuguaglianze accettabili’ al progetto della terza via di Anthony Giddens”.
Alle pagine R2 cultura viene ricordata una grande firma del quotidiano, scomparso ieri: Sandro Viola, descritto oggi da Bernardo Valli, dal fondatore del quotidiano Eugenio Scalfari e da Stefano Malatesta.