A Venezia, sapori e design di grande attualità

Pubblicato il 5 Novembre 2008 in , , da Vitalba Paesano

 

I Futuristi volevano annientarla: interrare il Canal Grande, bruciare le gondole e spegnere la luna. Provocatoriamente, si opponevano allo stanco riprodursi – tra colori del tramonto e luci riflesse – del mito romantico di Venezia e dell’epoca d’oro che la vide Repubblica marinara e patria di Goldoni, potenza commerciale e fosco scenario alle imprese di Casanova.

Anche oggi, ogni giorno Venezia assiste all’invasione pacifica di torme di turisti alla ricerca del pittoresco (spesso fasullo), ignari di alcune ricchezze, straordinarie e un po’ celate, della città che ispirò – e ancora ispira – artisti di tutto il mondo.

A Venezia in apparenza sembra non esserci posto per la vita moderna (città senza auto), per sentimenti metropolitani, per riflessioni sugli stimoli e la creatività attuale. In realtà, a volerli cercare, esistono intriganti segni dello spirito contemporaneo, non solo in eventi culturali come La Biennale d’Arte o le grandi mostre: nuovi ristoranti e alberghi di charme, negozi di vetri e musei d’arte contemporanea sono sparsi qua e là nel tessuto della città, tutti da scoprire tra ponti e palazzi, calli e campielli.

 

Musa della modernità a Venezia fu Peggy Guggenheim, che più di chiunque altro comprese e promosse l’eccezionale valore dello scenario veneziano per l’arte e la sensibilità moderne. Dorsoduro, il sestiere in cui si trovava la sua casa (oggi museo), è il prediletto dagli artisti di ogni età: dominato dalla chiesa della Salute, con calli silenziose e palazzi di un lusso non ostentato, con botteghe artigianali e gallerie d’arte, conserva l’autentico spirito veneziano, quello di una élite culturale all’eterna ricerca del bello.

Proprio a Dorsoduro, tra il Rio di San Francesco e il Rio dell’Avogaria, due fratelli di origini pugliesi, un architetto e una giovane chef, hanno unito le loro abilità professionali per avviare un ristorante in stile contemporaneo, l’Avogaria. L’architetto, Francesco Pugliese, ha rilevato il pianoterra di un palazzo cinquecentesco, destinandolo a sede del ristorante. Il nome prescelto per il locale si lega a doppio filo alla storia della zona: lì risiedeva l’Avogaria, una sorta di magistratura indipendente che nell’antica Repubblica esercitava il ruolo di tutore degli interessi dello Stato e delle leggi. Da questo spunto storico ha preso vita il locale dei fratelli Pugliese. Nella bella stagione si cena sotto al fico, con il tronco contorto e allungato illuminato da mille piccole luci, come in una festa di paese. Francesco ha progettato gli spazi considerando le specificità degli edifici veneziani: per il piano terra, soggetto all’acqua alta, ha progettato un pavimento costituito da una vasca in cemento, staccata dalle pareti, che come lo scafo di una barca lo preserva dall’allagamento. I muri in mattoni e i soffitti con travi a vista, illuminati da file di micro-faretti, sono rimasti quelli originali; in questo caldo contesto, nella sala più ampia si inserisce una parete curva di uno squillante color ‘ciano’ (azzurro intenso), dietro alla quale si cela la piccola ma efficiente cucina, in cui opera Antonella Pugliese. Ai tavoli vengono servite le specialità mediterranee che Antonella elabora ispirandosi liberamente ricette della tradizione. Dalla Puglia, infatti, giungono freschi tutte le settimane ingredienti fondamentali, quali olio, formaggi, verdure (pomodorini, carciofi, rucola), che vanno a completare piatti tipici come le “orecchiette al ragù pugliese” e i “cavatelli, cannellini e vongole”, o sono impiegati in ricette creative come, tra gli antipasti, “gli involtini di stracciatella”. Tra i secondi, golosi piatti di pesce, come i “calamari ripieni”, su un letto di patate al forno, farciti con un impasto di pangrattato, aglio, uova, capperi, prezzemolo; per concludere in dolcezza, si può scegliere tra le classiche “zeppole” , lo “zuccotto” con cuore di semifreddo o i biscotti al moscato di Trani.

 

Tra il rinato teatro La Fenice e piazza San Marco un vecchio cinema ha lasciato il posto a un ristorante di nuova concezione. Si tratta del Centrale (che ha mantenuto il nome del cinema).

Il palazzo Cocco Molin risale al Cinquecento e negli spazi a piano terra, dove il ristorante ha sede, si apre una riva d’acqua, ovvero una terrazza a filo del Rio dei Barcaroli, una volta utilizzata come entrata, oggi suggestiva apertura su cui affacciano alcuni tavoli del locale. Il Centrale è stato concepito come spazio innovativo, a partire dallo stile degli ambienti, già dall’ingresso il banco del bar, fluorescente e cangiante. Si passa, quindi, attraverso la sala degli aperitivi, protetta da una barriera di verde, per poi approdare alla vera e propria sala ristorante, in uno spazio dalle luci soffuse, con tavoli moderni e lineari, riscaldato dagli antichi muri con mattoni a vista, sbiancati dal sale assorbito dalle acque della laguna. In una sala più piccola, quella che affaccia sul Rio dei Barcaroli, ancora tre tavoli, i più intimi, che consentono la vista notturna sul canale in cui scivolano silenziose le gondole, tra i palazzi con le finestre appena illuminate. Benché la preparazione dei tavoli sia informale, la professionalità del servizio e le preparazioni della cucina si rivelano di qualità, così come la carta dei vini, con circa duecentocinquanta etichette. Il pesce è il tema forte del menu: compare in tutte le portate, sempre fresco, proposto con fantasia e raffinatezza, in abbinamenti dal classico tono mediterraneo e con qualche richiamo all’Oriente. Da gustare, il “tonno marinato in salsa vinaigrette con insalatina di arance”, i “tagliolini neri con code di scampi, pomodorini e basilico”, ma anche la “coda di rospo farcita con mazzancolle e verdurine di stagione” o un semplice ma gustosissimo “pesce dell’Adriatico ai ferri”, scelto secondo la disponibilità del mercato.

 

Il bàcaro è la classica osteria veneziana, un vera istituzione cittadina, dove gustare in piedi ombre de vin e cicchetti. E Bàcaro è anche il nome del nuovo locale aperto da pochi mesi alle spalle di Piazza San Marco, in un’edificio a margine di Calle Vallaresso, riconvertito interamente in uno spazio per attività e nuovi locali. Il Bàcaro porta la firma prestigiosa di Piero Lissoni, architetto milanese (autore anche della ristrutturazione dell’adiacente Hotel Monaco & Gran Canal), che nel ristorante ha declinato la sua personale interpretazione di ambiente veneziano ‘moderno’. Il locale, aperto dal mattino a tarda notte, si presta per le colazioni come per gli spuntini di metà mattina, per gli aperitivi come per una cena elegante al tavolo. Gli spazi sono suddivisi in modo funzionale: a piano terra un bancone ovale, ricoperto da un mosaico in un caldo color porpora, consente di gustarsi un caffè o un prosecco ammirando alle pareti due grandi riproduzioni retroilluminate di una stampa della Venezia settecentesca. Nello spazio retrostante al bancone, semplici tavoli in legno accolgono chi intende assaggiare uno spuntino veloce a qualsiasi ora del giorno, mentre una scala, affiancata da un’altissima parete in vetro e acciaio, conduce al piano superiore, dove in un’atmosfera elegante e riservata si gustano le specialità del ristorante. La proposta culinaria è ricercata e con diversi agganci alla tradizione, anche se lo chef non disdegna proposte di cucina internazionale, sempre in stile mediterraneo. Anche qui il pesce è l’elemento dominante: tra gli antipasti si gusta il “buffet di crostacei e varietà di pesce marinato”, un piatto variegato composto da capesante, granseole, chie (gamberetti di laguna), scampi in saòr, polipo con julienne di sedano e aceto balsamico; tra i primi, le “linguine alla scogliera” (con cozze, vongole e scampi) o un “risotto alla torcellana” con verdure, magari seguito da un buon “rombo al forno su letto di patate” o da una “grigliata di pesce dell’Adriatico”. Per chi ama sapori e design, insomma, Venezia è proprio una città che non finisce di sorprendere.