Un tour di due giorni per conoscere una storia di distruzioni e ricostruzioni. Il Duomo di Messina ha condiviso, nel tempo, i colpi subìti dalla città, una volta porta della Sicilia, oggi capoluogo moderno. Un’identità lacerata dall’accanimento degli eventi. La Natura ha agito per ben due volte con i terremoti del 1783 e del 1908; quanto alla Storia, basta ricordare la terribile repressione degli Spagnoli dopo la fallita rivolta del 1674 e, più recentemente, le distruzioni a opera dei gravi bombardamenti succedutisi durante la Seconda Guerra Mondiale
Un po’ di storia
Traccia del glorioso passato messinese, il Duomo fu edificato in epoca normanna intorno al 1150, ma per la sua consacrazione come S. Maria la Nuova bisogna attendere il 1197, presenti l’imperatore Enrico VI di Svevia, figlio di Federico Barbarossa, e la regina Costanza d’Altavilla, che gli portò in dote il Regno di Sicilia. Il XVII secolo dà il via alla sventurata teoria dei terremoti, seguiti da numerosi rifacimenti che indulgevano al gusto del tempo: al periodo della dominazione spagnola risale il pesante arricchimento decorativo, elementi barocchi a stravolgere il rigore dei tratti medioevali.
Il danno più grave si registra nel 1908, quando un violento cataclisma distrugge l’edificio quasi interamente, risparmiando solo l’angolo Nord-Ovest della facciata con il portale sinistro e il locale che custodisce la cripta. Un destino segnato, finché nel 1919 arriva la decisione di restituire alla chiesa l’originale impianto normanno, a partire da un lavoro di minuziosa ricerca tra gli antichi documenti che ne testimoniavano le forme e i colori. Artefice dell’impresa l’architetto palermitano Francesco Valenti, grazie al quale il duomo riaprì al culto il 13 agosto 1929.
Seguono anni tranquilli, ma il pericolo è alle porte. La notte del 13 giugno 1943 due spezzoni incendiari sganciati durante un’incursione aerea americana trasformarono in un rogo la cattedrale. Toccò all’arcivescovo Angelo Paino, che aveva già contribuito a far risorgere il tempio dalle macerie del terremoto, provvedere alla ricostruzione. Nell’agosto del 1947 la cattedrale veniva insignita del titolo di Basilica da papa Pio XII.
Fedele al disegno del progetto originario (XVI secolo), la ricostruzione del campanile ha accompagnato il restauro del duomo dopo il 1908. Ci vollero, però, due fratelli alsaziani, gli Ungerer di Strasburgo, per completare l’opera nel 1933, con l’aggiunta del più grande orologio animato al mondo. Merito in parte dell’arcivescono Paino, che ha commissionato l’opera per farne dono alla città. Dal giorno dell’inaugurazione, il 13 agosto 1933, un motore elettrico dà vita a leve, ingranaggi e contrappesi, che lungo i 65 metri della torre animano le ore e i personaggi – come le statue di Dina e Clarenza, due popolari eroine dei Vespri siciliani – che hanno fatto la storia civile e religiosa di Messina. Un quarto d’ora di spettacolo che prende il via al canto del gallo e al ruggito del leone. Peccato perdere l’appuntamento, ogni giorno alle 12, prendendo posto – se si riesce – su una delle panchine di fronte al Duomo per godersi il concerto delle campane e l’esibizione delle figure in bronzo dorato.
Alla sinistra del sagrato, non ha ceduto agli attacchi del tempo la fontana di Orione. Sopravvissuta ai cataclismi, è ancora la stessa che venne scolpita nel 1547 da Giovanni Angelo Montorsoli e Domenico Vanello. Elegante omaggio all’acqua, celebra la costruzione del primo acquedotto cittadino che sfruttava le fiumare Camaro e Bordonaro.
Prezioso ornamento alla facciata, i tre portali del XIV secolo sono stati ricostruiti come in un grande puzzle tridimensionale dopo i bombardamenti del 1943. Il susseguirsi di marmi policromi viene interrotto dal portale centrale, che esibisce in bassorilievo le figure di santi e di sovrani alternate a scene di vita domestica quotidiana e agreste, come la vendemmia dei puttini.
Ad accogliere i visitatori la solenne navata centrale, chiusa – su impianto a croce latina – da due file di tredici colonne che sorreggono ampi archi a sesto acuto. In alto il soffitto a capriate lignee riccamente dipinte e istoriate con motivi religiosi ispirati ai pochi resti leggibili degli antichi pannelli.
Nelle dodici cappelle, sei per lato, delle navate laterali sono custodite altrettante statue dell’Apostolato, come aveva progettato Giovanni Angelo Montorsoli: copie degli originali, ad eccezione del S. Giovanni Battista di Antonello Gagini (1525), unica scultura salvatasi dall’incendio del 1943, lievemente annerita dalle fiamme.
L’attenzione viene catturata dai mosaici delle absidi, tra i quali si riconosce l’imponente Cristo Pantocratore, fedele riproduzione di quello trecentesco. Un brillare ininterrotto fino ai marmi policromi e agli elementi di oreficeria dell’altare maggiore che contornano il quadro della protettrice di Messina, la Madonna della Lettera, opera di Francesco Juvarra. Al centro del paliotto in argento sbalzato, la vergine consegna la lettera all’ambasceria messinese. Tesoro del presbiterio è l’opera seicentesca del fiorentino Innocenzo Mangani: La manta d’oro della Madonna della Lettera, incastonata di gioielli.
Merita una visita, nell’abside laterale sinistra (l’ambiente meno colpito dalle calamità), la cappella del Santo Sacramento progettata da Jacopo del Duca tra il 1589 e il 1599. Al suo interno è conservata la Vergine in trono col Bambino, unico mosaico originale del XIV secolo.
Infine un primato: nel Duomo c’è il terzo organo a canne più grande d’Europa, il primo d’Italia con le sue 5 tastiere, 170 registri, 16.000 canne distribuite nei due lati del transetto. Dietro l’organo, la più antica scultura della chiesa, la lastra tombale dell’arcivescono Palmieri (1195), pastore della chiesa di Messina dal 1183 al 1195.