Al quinto piano del Museo del Novecento di Milano, nella spettacolare sala Fontana, affacciata sul suggestivo panorama di Piazza del Duomo e di Palazzo Reale, si può vedere l’interpretazione che Andy Warhol ha dedicato a “L’Ultima Cena” di Leonardo, intitolandola “Sixty Last Suppers”. La suggestione del panorama visibile dalle ampie vetrate, accompagna la visita, ma è difficile fissarla in una immagine fotografica perché è diversa in ogni lato.
L’opera di Andy Warhol è una grande tela, di dieci metri per tre e ha un nome che può sembrare irriverente data la moltiplicazione del soggetto : Sixsty last suppers, sessanta ultime cene. Il maestro della Pop Art ha realizzato questo lavoro, in un drammatico bianco e nero, negli ultimi tormentati anni della sua vita, tra il 1985 e il 1986, certo affascinato dall’opera di Leonardo che aveva visto a Milano e che studiò a lungo, cercando di interpretarla in chiave moderna con diverse soluzioni, disegni e pitture. Il lavoro gli era stato commissionato da un noto mercante d’arte, Alexander Iolas, eccentrico collezionista di opere del Novecento.
L’artista americano, presi in esame i particolari del “L’Ultima Cena” di Leonardo dipinta nel refettorio del convento domenicano di Santa Maria delle Grazie, ha studiato anche i tanti dipinti che in questi cinque secoli numerosi artisti hanno dedicato al capolavoro leonardesco. Ma alla fine di questi tormentati esperimenti ha utilizzato, come fonte per comporre il suo dipinto, una incisione ottocentesca che rappresenta “L’Ultima Cena” ed è tratta dalla “Cyclopedia of Pinters and Paintings”. Il libro e l’incisione sono esposte nella mostra in una bacheca. Con la tecnica della xerigrafia Warhol ha riprodotto per sessanta volte l’incisione che rappresenta la scena di Cristo con gli apostoli e l’ha posta sulla tela. I rettangoli in bianco e nero della “Sixty Last Suppers“ che rappresentano ognuno “L’Ultima Cena” leonardesca assomigliano a delle immagini di minuscoli televisori posti uno accanto all’altro e uno sopra l’altro.
In questo assemblaggio e accostamento continuo i particolari dell’immagine di Leonardo sfumano nelle ombre degli schermi. La rappresentazione seriale, che era tipica nei lavori di Warhol, sottolinea anche la molteplicità di significati che si possono ancora leggere nel dipinto parietale che Leonardo realizzò nel refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie negli anni vissuti alla corte sforzesca di Ludovico il Moro, tra il 1495 e il 1498, cercando di mettere in luce anche la gestualità e le reazioni psicologiche degli apostoli. Certamente anche questo aspetto innovativo in un’opera dedicata alla rappresentazione di un episodio della vita di Cristo ha coinvolto l’artista americano.
Una ragione in più per andare a vedere l’opera di Warhol, nella suggestiva grande sala del Museo del Novecento, è la vista della scultura luminosa dell’artista Lucio Fontana, articolata in alto nel soffitto in grandi giravolte.
La mostra al Museo del Novecento è aperta dal 24 marzo al 18 maggio. Mentre al Castello Sforzesco, nell’Antico Ospedale Spagnolo, l’esposizione “Archeologia del Cenacolo” (dal 31 marzo al 25 giugno), ricostruisce la fortuna della diffusione della famosa opera di Leonardo. Vi sono raccolte disegni incisioni fotografie e piccole copie de “L’Ultima Cena” comparse in questi 500 anni.