La Cina costituisce la terza nazione per estensione del pianeta, grande quasi l’intera Europa, e la prima per numero di abitanti, 1.342.000.000 persone, un quinto della popolazione mondiale. Ma non tutti gli abitanti della Cina sono cinesi propriamente detti, vale a dire di etnia han con discendenza mongolica e lingua mandarina. Nelle lontane regioni di frontiera e nei territori conquistati con le armi vivono infatti minoranze etniche e linguistiche caratterizzate dalle loro diverse origini, storie e tradizioni, dagli antichi costumi, dai peculiari stili di vita non ancora assimilati alla cultura cinese. Se gli han ammontano infatti al 92 % della popolazione, lo Stato riconosce ufficialmente altri 56 gruppi etnici per un totale di 96 milioni di individui, capaci però di occupare oltre la metà del territorio nazionale, spesso in regioni di frontiera al sud e all’ovest montuose, desertiche e scarsamente produttive, ma di notevole importanza strategica. Alcune sono diffuse in tutto il Paese, altre concentrate in determinate aree, come nel caso del Tibet. Spesso sono molto diverse le une dalle altre, frantumate a loro volta in diverse sottoetnie, per origini e provenienza, per dove e come vivono, per gli abiti, i gioielli e le acconciature delle loro donne, per le credenze e le pratiche religiose, costituendo un po’ ciascuna un mondo a sé.
Nella montuosa e poverissima regione meridionale del Guizhou, ad esempio, grande oltre la metà dell’Italia, il 35 % della popolazione appartiene a 18 diverse minoranze etniche, le più famose delle quali sono i Miao e i Dong, capaci da soli di dare vita al maggior numero di manifestazioni folkloristiche genuine di tutta la nazione. Per loro la varietà degli abiti e le raffinate acconciature femminili non costituiscono soltanto un ornamento, ma un denominatore sociale ed etnico, espressione di benessere economico e di abilità muliebre. I loro sontuosi festival costituiscono importanti momenti di aggregazione sociale, di manifestazione culturale, di informazione e di scambi, ma anche occasione per mettere su famiglia. I Miao sono un popolo di bassa statura, arrivati tra queste impervie montagne in epoca precristiana dalle steppe siberiane con una propria lingua solo orale e religione animista. Abitano in case di legno su palafitte tutte uguali, coltivano riso, mais e erbe medicinali sui campi terrazzati, sono allegri e molto solidali, ottimi danzatori al suono di tamburi e di flauti di bambù. Gli abiti tradizionali femminili sono davvero sfarzosi: gli eleganti vestiti ricamati, nonché le possenti acconciature dei capelli raccolti a chignon sono infatti decorati da un numero infinito di gioielli d’argento multiformi. Per i Miao l’argento, oltre a segno di ricchezza, è in grado di scacciare il male e portare fortuna e felicità. Gli agricoltori Dong, molto superstiziosi, sono invece abili architetti e carpentieri: i loro villaggi risultano disseminati dei caratteristici ponti del vento e della pioggia, tutti costruiti senza chiodi o viti, per scavalcare fiumi e canali, ma anche per riparare e socializzare (la stessa funzione dei nostri portici), nonché dalle torri del tamburo per avvistare tempestivamente nemici ed incendi. Amano il canto e la danza al suono del flauto e imparano a cantare fin da bambini imitando i versi degli uccelli. Le donne vestono giacche e pantaloni color indaco tessuti da loro stesse.
Nell’interno montuoso e boscoso della regione costiera di sud-est del Fujian, affacciata sul Mar meridionale cinese e grande quanto metà dell’Italia, vivono gli Hakka, popolazione contadina emigrata nel III-IV secolo dal nord della Cina e che parla un cinese arcaico; popolo colto, solidale e comunitario, ha espresso parecchi capi politici, militari e artisti. Vivono nei tolou, abitazioni collettive fortificate circolari per proteggersi da nemici, briganti e animali, costruite in fango, bambù e pietre con muri spessi due metri, una sola porta fortificata e finestre soltanto ai piani alti, merli e torrette. Nel cortile centrale trovano posto il pozzo, il forno, le latrine e i recinti per gli animali, al primo piano magazzini e granai, mentre nei tre successivi abitano centinaia di persone; resistenti anche ai terremoti, sono abitazioni calde in inverno e fresche d’estate. Nel Fujian esistono circa 20 mila tolou, alcuni trasformati in musei, la gran parte ancora abitati; i più belli sono protetti dall’Unesco come patrimonio dell’umanità.
Un possibile itinerario tra le minoranze etniche delle misconosciute regioni cinesi meridionali del Fujiang e Guizhou non può che partire dalla provincia di Yongding, dove si concentra il maggior numero di tolou (patrimonio Unesco dell’umanità). Si passa quindi al Guizhou per visitare la Dragon Scenic Area, una zona paesaggistica di estrema suggestione, formata da risaie e campi di colza intercalati da pinnacoli di roccia calcarea curiosamente erosi: siamo infatti in una zona carsica con innumerevoli cascate, grotte e fiumi sotterranei, dove si visitano diversi villaggi Miao e Dong, nonché di altri gruppi etnici come i Tumpu, discendenti di una possente armata inviata dal primo imperatore ming a conquistare questo territorio, che non si sono mai mischiati con le altre genti mantenendo nel tempo i loro costumi tradizionali, oppure i Gejia, abili nella produzione di batik, le cui donne indossano un curioso copricapo a forma di tortellino. Conclusione del viaggio a Chengdu nel Sichuan, per visitare il Grande Budda di Leshan, alto 71 m (la maggior statua in assoluto) e il Centro per la riproduzione del Panda maggiore, dove vivono una settantina di cuccioli di panda, animale simbolo della Cina e del protezionismo internazionale.
L’operatore milanese “I Viaggi di Maurizio Levi” , specializzato in itinerari culturali di scoperta ambientale e etnografica nelle terre più remote, propone un viaggio guidato di 15 giorni alla scoperta delle minoranze etniche cinesi del Fujian e Guizhou. Uniche partenze di gruppo con voli di linea Cathay Pacific da Milano (e altri aeroporti) il 13 ottobre 2014 e 26 aprile 2015 in occasione dei principali festival Miao e Dong.