Nella mia vita di giramondo della cucina sono capitata, per la seconda volta, a Sao Tomè e Principe, il più piccolo Stato africano, così piccolo che la maggior parte delle persone non sa nemmeno dove sia. Sao Tomè si trova nel golfo della Guinea, sull’Equatore, al largo delle coste africane, di fronte al Camerun.
E’ stata un’avventura durata un mese e mezzo, ho tenuto un corso di formazione in cucina italiana a un gruppo di giovani donne di un resort del posto. Sono stata invitata dai proprietari, una coppa di bergamaschi che vogliono che nel loro locale, oltre alla cucina locale, si mangi anche italiano. E’ stata una bellissima sfida, lontana da casa, sola, in un’isola sperduta. Mari e Tiziano, i due proprietari, mi hanno ospitato in uno dei loro bungalow, tutti rigorosamente costruiti con materiali del luogo, in mezzo alla foresta primaria, affacciato sul mare. E’ stata non solo un’avventura straordinaria, ma anche una grande fatica, ho fatto circa 120 ricette della nostra tradizione, cucinando tutti i giorni sotto un sole implacabile e un’umidità vicina al 100%. Ma ne è valsa la pena. Non solo perché è stata un’esperienza umana davvero speciale, con le donne delle cucine si è creato, infatti, un rapporto unico, forte, di affetto e lavoro, tanto che alla fine piangevamo tutte all’idea di lasciarci, ma anche perché non è stato facile reperire, lì alla fine del mondo, gli ingredienti nostrani.
E dunque ci siamo adattate e ne è venuta fuori una cucina italiana dai gusti e gli aromi esotici. Ho scoperto ingredienti di cui non supponevo nemmeno l’esistenza. Il safù ad esempio, uno stranissimo frutto, a metà tra un’oliva gigante e una melanzana, con il quale abbiamo fatto bruschette straordinarie. O ancora la caja-manga, una sorta di mango dal sapore di pera e la consistenza di una pesca noce. Con la caja- manga abbiamo fatto una torta rovesciata che abitualmente faccio con le albicocche ed è stata una felice scoperta. Ma la vera sorpresa sono state le farine, di manioca, di batata dolce, di banana, di frutta pao, la frutta del pane, un enorme melone che può egregiamente sostituire il pane. Con le farine ci siamo sbizzarrite a fare crostate, crostate alla marmellata di papaya, di mango, di caja-manga. E’ stato davvero emozionante scoprire sapori nuovi, profumi diversi, ma che si sposavano perfettamente con la cucina italiana.
E allora abbiamo provato a fare ravioli e fettuccine con le farine locali ed è stato come se un mondo nuovo si spalancasse nelle nostre bocche. L’isola è molto povera, ma “saporitissima”, i piatti locali racchiudono l’essenza stessa di Sao Tomè, il calulu ad esempio, una densa zuppa a base di pesce affumicato alla brace e di erbe locali, di cui la gente di Sao Tomè orgogliosamente dice che è il piatto che meglio li rappresenta, perché è un miscuglio di sapore, così come loro sono un miscuglio di razze.
Le erbe sono una delle maggiori ricchezze di queste isole che hanno una delle biosfere più complesse del globo, erbe che a noi italiani sono completamente sconosciute. C’è l’erba moschito, che sa un po’ di timo e un po’ di salvia, il micocò, a metà tra una menta e una cedrina, e il mio preferito, il kentre, uno coriandolo dal sapore intensissimo. Nel nostro corso queste erbe le abbiamo declinate in ogni possibile variante, ne abbiamo fatto pesti profumati, carpacci di cernia esotici, le abbiamo infilate nei ravioli e nelle salse, non ce ne stancavamo mai.
Il momento più emozionante era quello della spesa al mercato, una sorta di antro delle streghe, dove frutta e verdure coloratissime e pesci simili a serpentelli, sono sparsi a terra, in mezzo ad una folla che urla, ti spinge da tutte le parti, corre in ogni direzione. Avrei voluto assaggiare tutto, provare tutto, restarci una vita in quei mercati. E la gente, calda, affettuosa, diretta. Le donne soprattutto, forti, coraggiose, lavoratrici instancabili, come in tutta l’Africa. Donne che non hanno nulla da rivendicare, straordinariamente coscienti del loro spazio nel mondo, senza incertezze si dividono tra bambini, tantissimi, qui la crescita zero è un concetto astruso, lavoro, cucina, cura degli animali e dei campi. Sono loro a pensare al cibo, a produrlo, a venderlo, a cucinarlo. E da loro ho imparato moltissimo, soprattutto a non avere troppe esigenze, troppi desideri, ad accontentarsi, come fanno loro, di ciò che il mondo ti regala. E a loro regala molto, una natura incredibilmente esuberante, alberi maestosi, fiori sgargianti, un mare intoccato, il sole, il cibo che cresce sugli alberi. Questa è Sao Tomè, l’ultimo Eden alla fine del mondo. Io so che ci tornerò, impossibile lasciare le mie donne, Pepita, Atunisia, Branca, Paolina. Impossibile dimenticare loro e questo incantato paradiso. E se volete provare una delle mie ricette italo-saotomensi eccovi la torta rovesciata alla caja-manga, lo so non è facile trovarle da noi, in alternativa potete provare con manghi non molto maturi, ancora un po’ duri.
Sbucciate un chilo circa di caja-manga e fatele a pezzi non troppo piccoli, setacciate 200 grammi di farina con una bustina di lievito, lavorate 100 grammi di burro fino a renderlo spumoso, unite 2 uova intere, 100 gr. di zucchero e poi la farina e il lievito. Spalmate sul fondo della tortiera 80 gr. di burro e 50 gr. di zucchero. Adesso disponete i pezzi di caja-manga ben serrati. Versateci sopra l’impasto ben distribuito e infornare a 180° per circa 50 minuti. Togliere dal forno, aspettare una decina di minuti e capovolgere. Dopo averla assaggiata non potrete fare a meno di volare a Sao Tomè.