“Tutti i soldi del mondo” di Ridley Scott
sceneggiatura David Scarpa dall’omonimo libro di John Pearson (HarperCollins ed.) cast Michelle Williams (Gail Harris) Christopher Plummer (John Paul Getty) Mark Wahlberg (Fletcher Chace) Romain Duris (Cinquanta) Charlie Plummer (John Paul Getty III) genere drammatico durata 133 min
Chi ha vissuto i travolgenti anni ’70 del secolo scorso (ossia uno qualsiasi dei nostri grey panthers) ricorda certamente il rapimento a scopo di estorsione di John Paul Getty III, 17enne nipote del magnate inglese del petrolio considerato all’epoca il Paperon de’ Paperoni planetario. La New Economy era ancora di là da venire e, anzi, all’orizzonte si profilava il primo shock energetico mondiale e, in Italia, la prima domenica a piedi per decreto legge. Era il 2 dicembre 1973, bellezza, e nell’estate precedente si era consumato il “Caso Getty”, con tanto di orecchio amputato dai rapitori al ragazzo per accelerare il pagamento del riscatto. “Se non cacciate i soldi, ve lo restituiamo un pezzo alla volta” fu il macabro accompagnamento alla porzione di padiglione auricolare inviato a un quotidiano. Sempre in quegli anni “l’industria dell’ostaggio” era una delle attività più remunerative della criminalità organizzata italiana, cominciata in Sardegna e poi rapidamente estesa al resto dello Stivale con intere porzioni di territorio (Barbagia, Aspromonte…) incontrollate e incontrollabili dalle forze dell’ordine.
Ebbene: di tutto questo nel film di Scott non c’è alcuna traccia. Cosa normale, del resto, per un regista non italiano che gli italiani li vede con le lenti deformanti degli stereotipi tanto da affidare a un attore francese il volto “buono” della malavita. D’altra parte non è detto che sia sbagliato tradire la storia a vantaggio di un’idea personale della storia, di una propria visione del mondo e degli uomini. Tutti gli artisti l’hanno sempre fatto e al cinema più spesso che altrove.
Allora qual è la “storia secondo Ridley”? Lo scavo nelle personalità dei protagonisti di questo ormai lontano episodio di cronaca nera. La frase chiave del film è infatti: «Ecco, adesso lei ragiona come una Getty» pronunciata da Fletcher Cace e rivolta a Gail Harris, madre del rapito ed ex nuora del magnate. E la scelta non è inefficace. Tanto che l’interesse maggiore del film si concentra da subito sulla complessa personalità del vecchio magnate, saturnino padre di figli repressi dalla sua personalità, ma generoso mecenate, amante del bello e collezionista raffinato. Il plot poliziesco finisce così in subordine rispetto allo scontro di interessi tra una madre in apprensione per la sorte del proprio figlio e un vecchio spilorcio che si sente aggredito sul proprio lato più sensibile: quello dove è riposto il portafoglio. A tutto questo Scott aggiunge di suo le inconfondibili “atmosfere alla Scott” che si traducono in realtà nel chiudere l’otturatore della cinepresa di un paio di diaframmi così da immergere il tutto (gli interni specialmente) in un plumbeo grigiore che dovrebbe (vorrebbe) essere specchio delle anime. Peccato che non siamo nel futuro remoto di “Blade runner” né nello spazio interplanetario di “Alien”, ma nelle ben più affascinanti location romane di Palazzo Fontana o Villa Wolkonsky.
Insomma: un film con luci e ombre (sul piano metaforico) che accanto a interessanti risvolti psicologici e a una recitazione di alto livello, unisce cedimenti a cadute di stile. Ma tant’è: per quanto se ne dica, Ridley Scott non è un genio, ma, al massimo, un buon affabulatore. La riprova? Il finale che riecheggia l’epilogo di “Quarto potere”, senza averne la forza evocativa. Da matita rossa anche la colonna sonora, al pari, naturalmente, del doppiaggio che, come al solito, strazia e strapazza la recitazione originale. In particolare con l’insopportabile birignao della storpiatrice di Michelle Williams e dello storpiatore di Christopher Plummer.