A spasso per Trieste, alla scoperta del Liberty

Pubblicato il 2 Luglio 2019 in , da redazione grey-panthers

Dal classicismo all’arte floreale, dal Jugendstil fino ad accenni razionalisti: il Liberty a Trieste si manifesta in modo diffuso e in più declinazioni. In quel periodo la città conosce un grande sviluppo urbanistico, diventando un’originale sintesi culturale tra l’Impero asburgico, a cui appartiene, e l’Italia, a cui ha sempre guardato. Attraversiamo dunque la città, alla scoperta dei palazzi Liberty.

Il progetto della banca praghese, poi banca d’America, Banca d’Italia e dagli anni Novanta Deutsche Bank di Josip Costaperaria e Osvald Polivka è un chiaro esempio di razionalismo caratterizzato da volumi solidi e compatti. La zona inferiore, sede degli uffici della banca che si trova in via Roma 7, presenta grandi finestroni con cornici metalliche a scacchiera; la superiore, adibita ad abitazioni, presenta serie di finestre rettangolari e centinate con cornice in pietra, erker appena pronunciati culminanti con terrazzino poligonale sormontati da balconcini, serie centrale di cinque finestre e decorazioni antropomorfe fortemente stilizzate all’ultimo piano. Infine, marmo bianco e pilastri sorreggono l’architrave ornata da motivi liberty in netto contrasto con le due figure bronzee dal realismo prorompente, poste ai lati (il Lavoro e l’Industria), che realizzano un monumentale ingresso principale.

 

Casa Basevi, in via San Giorgio 5, è stata realizzata dall’architetto Eugenio Geiringer nel 1903, per conto del cavalier Giuseppe Basevi, noto esponente della classe imprenditoriale cittadina. L’edificio al piano terra aveva gli uffici della società di commissioni del committente e ai piani superiori era adibito a uso abitativo. Lo stabile, qualificato esempio del Liberty cittadino, presenta una facciata con un’articolata decorazione fatta da fregi fitomorfi e ghirlande floreali, medaglioni e lesene scanalate. I bow window angolari sono profilati da un intreccio di foglie di alloro, i balconi e il cancelletto d’ingresso presentano nei ferri un grafismo lineare come detta la tradizione modernista.

L’edificio Terni / Smolars rappresenta una delle migliori prove moderniste di Romeo Depaoli, che reinterpreta il nuovo stile in modo autonomo. Il palazzo, percepito come un’unità, è in realtà composto da tre edifici distinti. La parte centrale è leggermente rientrante rispetto alle laterali. Il continuo alternarsi di corpi rientranti e sporgenti, colonnine e terrazzini, lesene e paraste crea un gioco di chiaroscuri che anima la facciata. La sovrabbondante ricchezza plastica dei motivi ornamentali caratterizza un esempio di liberty mosso e vibrante.
Il pianoterra e il mezzanino che si possono ammirare in via Dante Alighieri 6, caratterizzati dal tema wagneriano del pieno sul vuoto, mettono in evidenza la chiara derivazione da Max Fabiani, nella sistemazione dei mezzanini aperti in grandi vetrate per l’esposizione delle merci dei negozi del pianoterra. Le finestre del primo e del secondo piano sono coronate da archetti ribassati. A livello del primo piano due balconate angolari movimentano ulteriormente le facciate. Le finestre del terzo piano, con arco a tutto sesto, sono completate da poggioli con ringhiera in ferro battuto a motivi floreali. L’edificio culmina con un loggiato pensile perimetrale e con un cornicione sporgente.

 

L’ex Pescheria Centrale, ora Salone degli Incanti, edificata  nel 1913, è opera dell’architetto Giorgio Polli, che escogitò un tipo di costruzione funzionale ed esteticamente accettabile.
Il Polli si trovava a dover rispettare da una parte i requisiti tecnici dettati dalla destinazione della costruzione (le caratteristiche igieniche, la funzionalità dell’aula di vendita, una certa differenziazione e specializzazione delle strutture) e dall’altra l’esigenza che doveva guidare la progettazione: l’inopportunità, cioè, di schermare la prospettiva neoclassica delle rive, quasi interamente libera da strutture portuali e quindi aperta sul mare, con la costruzione invadente di hangar o di grandi depositi.
La mediazione tra le due diverse esigenze sembrò potersi compiere nel modello basilicale, che si riconverte così alla sua profana funzione originale di mercato.
Le tre ampie navate consentivano tutto ciò che esigeva un esercizio commerciale di notevoli dimensioni, mentre le strutture in cemento armato permettevano di alleggerire i muri perimetrali e di interromperli con grandi finestroni.
Il pronao, per esempio, era destinato ad ospitare le aste del pesce, mentre il campanile mascherava il serbatoio dell’acqua marina che doveva essere “alzato” per servire ai banchi di vendita, mentre l’interno è un esempio di purismo funzionale. I pilastri in cemento armato sorreggono la copertura impiegando soluzioni simili a quelle usate nell’ingegneria dei ponti. Il ricorso ad alcuni strumenti di connotazione “palladiana” (la serliana del campanile, il binato del portico, i marcapiani, le finestre termali) consente alla Pescheria di non stonare, per chi guarda dal mare, contro il fronte dei palazzetti neoclassici e di marcare un punto nodale della struttura urbana.

L’operazione compiuta dal Polli è, a ben vedere, doppiamente ”eclettica”. Non vi è cioè, in questo caso, soltanto il libero ricorso a questo o a quel linguaggio storico per rivestire un edificio. Vi è di più: ossia l’utilizzazione di un’intera tipologia, dotata certo dei consueti segni dello stile rivisitato, ma completamente separata dalla funzione che tale tipologia in origine caratterizzava. L’operazione “sacrilega” di dare ad una pescheria la forma di una chiesa (non a caso a Trieste battezzata “Santa Maria del Guato “) non è però capricciosa, si tratta piuttosto della ricerca di una mediazione tra le implicazioni delle nuove tecniche costruttive e gli schemi visuali tradizionali destinati ad essere rotti da quelle tecniche. Si trova in riva Nazario Sauro, nella zona del porto antistante Piazza Unità d’Italia.

 

La casa Bartoli, costruita in piazza della Borsa dal 1906, ci mostra un Fabiani attento (forse per desiderio della commissione edilizia) agli effetti più decorativi del Liberty: effetti che tuttavia egli non ricerca in modo meccanico, ma risolve esteticamente ricorrendo alla bella ornamentazione a cascata di foglie fra finestra e finestra ed all’elegante sviluppo dei balconi in facciata. Questa, peraltro, è l’unica concessione al gusto decorativo del Liberty da lui fatta, perché nella calibratissima sistemazione dello spazio interno e nella disposizione del tipo a ” grandi magazzini” realizzata nei piani inferiori, rivela chiaramente che l’indirizzo da lui seguito è lo stesso, improntato a concetti funzionalistici, della casa Portois e Fix di Vienna. Oltre a ciò, nella singolare disposizione asimmetrica di porte e finestre al pianterreno e all’ammezzato della facciata postica, dimostra un interesse per le soluzioni proposte dall’architettura giapponese che è singolare riflesso delle più avanguardistiche teorie architettoniche del tempo.

Il signor Ernesto de Stabile affida il progetto della sua residenza in riva Grumula 4 a Max Fabiani per la realizzazione di uno stabile quattro piani, pianoterra e cantine solo in minima parte destinato ad abitazioni. Il proprietario si riserva l’ultimo piano come abitazione padronale, (di cui il Fabiani cura personalmente anche gli arredi interni in stile secessionista), e destina il piano terra a caffé viennese. Il de Stabile fa specifica richiesta all’architetto anche della realizzazione sulla facciata di erker che gli permettano di godere del panorama del mare ma soprattutto di vedere tranquillamente da casa il suo yacht ormeggiato allo Yacht Club Adriaco. La facciata quindi presenta sull’angolo fra riva Grumula e via Belpoggio un erker piuttosto aggettante che viene a formare una torretta cilindrica, il bugnato rinascimentale che copre il pianterreno e ad altezze diverse il primo piano, sopra le finestre del secondo e del terzo piano campiture rettangolari decorate a stucco con motivo di fogliame, dal tetto scendono pluviali intesi come elementi decorativi tutti elementi tipici dell’architettura di Max Fabiani.

Sintesi delle due anime dell’architetto Giorgio Zaninovich, Casa Valdoni in via Commerciale 25, in cui sono mutuati elementi secessionisti, rinascimentali e oriantaleggianti e quasi barocchi mantenendo comunque la razionalità e la funzionalità della sua formazione wagneriana.
Edificio a sei piani a pianta poligonale, la parte centrale aggettante completamente liscia presenta finestre lunghe e strette prive di decorazioni. Le ali laterali arretrate rispetto al corpo centrale sono invece caratterizzate a partire dal secondo piano, da balconi con balaustra in pietra dalle decorazioni molto elaborate, con monumentali capitelli rigonfi e scanalati triplice ordine degradanti su tozze colonnine ornate da figure antropomorfe. Il piano terra è caratterizzato da un rivestimento in bugnato rustico, mentre il primo piano due grandi mensole reggono un balcone con tre finestrelle ad arco decorato in pietra di ispirazione orientaleggiante come pure le decorazioni dei due balconi laterali con capitelli e foglie d’acanto.

La prima struttura polifunzionale realizzata in Europa, l’hotel Balkan (Narodni Dom in via Fabio Filzi 14) nasce come grande centro della vita economica, sociale, culturale, artistica e sportiva della minoranza slovena nel 1904. Max Fabiani realizza in questo bell’edificio la sintesi delle sue conoscenze. Grande razionalità e funzionalità nella distribuzione degli spazi interni: un ristorante, sale di rappresentanza, una palestra, un teatro.  Al piano terra una stamperia, la Cassa di Risparmio, la Mutua e locali destinati alla vita culturale. Ai piani superiori: un albergo (24 stanze) e 12 appartamenti. L’esterno semplice ed essenziale. L’ingresso monumentale in stile Secessione era ornato con vetrate realizzate da Koloman Moser. Nel 1920 l’edificio finì incendiato e distrutto dagli squadristi fascisti. Attualmente è sede della Scuola Superiore di Lingue Moderne.

Infine la prima stazione di S. Andrea, ora Stazione di Campo Marzio, costruita nel 1887, su progetto dell’architetto Seeling è un bellissimo esempio di stile Liberty applicato agli edifici pubblici o industriali. L’edificio, strutturalmente molto movimentato, si presenta con un corpo centrale in più livelli e più corpi collegati. Le facciate tipicamente liberty, presentano ampie vetrate interrotte da una tettoia in ferro con ricche elaborazioni, la decorazione anche se austera presenta elementi floreali.

All’inizio del Novecento la stazione subì un vasto ampliamento in concomitanza con la costruzione della Transalpina e dell’attuale porto nuovo: tali opere richiesero importanti lavori di interramento nella zona grosso modo compresa tra la Lanterna e l’Arsenale del Lloyd. La nuova stazione venne dotata di un grande fascio di smistamento con 24 binari, di una tettoia viaggiatori con fabbricato di testa servito da quattro binari a scartamento ordinario ed uno a scartamento ridotto, di uno scalo merci con due vasti magazzini serviti da binari coperti. Tra il fabbricato viaggiatori ed i magazzini venne sistemato il piazzale a scartamento ridotto della Parenzana con le relative attrezzature. Fu anche realizzato un deposito locomotive con rimessa a rotonda a dieci binari, servita da una piattaforma girevole di 18 metri.
Nel 1906 la stazione diveniva così un capolinea di primaria importanza appartenente sin dall’origine alle Ferrovie statali come le linee che vi facevano capo. La sua denominazione ufficiale fu Triest Staatsbahnhof (Trieste Stazione dello Stato).
Nel 1923 la denominazione divenne quella attuale di Trieste Campo Marzio. Nel primo dopoguerra, pur essendo uno scalo di notevole capacità e, per quei tempi, modernamente attrezzato (già nel 1906 vi era un impianto centralizzato per la manovra degli scambi), l’importanza di Trieste S. Andrea diminuì poiché i nuovi confini avevano mutato gli equilibri economici e le direttrici del traffico). Con la Seconda Guerra Mondiale i servizi viaggiatori a lungo percorso diminuirono sino a cessare del tutto, nel 1935 venne chiusa la Parenzana, dal 1945 cessava il servizio viaggiatori per la Transalpina e, con la chiusura della linea per Erpelle, nel 1959, la stazione perdeva il suo ultimo servizio passeggeri.
Si determinò così l’abbandono del fabbricato principale della stazione, già depauperato per ragioni belliche della caratteristica e monumentale tettoia (1942). Solo dopo l’apertura del museo ferroviario le Ferrovie dello Stato disporranno il restauro di tutte le opere murarie esterne, restituendo decoro alla pregevole opera architettonica che tuttavia rimane ancora priva della originaria copertura dei binari.

 

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