La prima riflessione che mi viene in mente dopo i due ultimi spettacoli del Quirino, Mastro Don Gesualdo e l’Avaro, riguarda i differenti modi che i protagonisti, e quindi gli autori, dimostrano nei riguardi del denaro e del potere.
Mastro Don Gesualdo ha una forma di rispetto ed attaccamento per la sua “robba” che ha guadagnato con il duro lavoro. Arpagone, l’avaro, ha stampato nel suo animo l’amore unico, indiscusso ed assoluto per il suo denaro ed è disposto a passare su tutto e su tutti per conservarlo ed aumentarlo. Mastro Don Gesualdo si può capire e, forse, compatire. Arpagone fa di tutto per essere odiato.
La trama della commedia può essere riassunta in una frase: un padre dispotico vorrebbe imporre la sua volontà ai i propri figli che vorrebbero difendere il loro desiderio di indipendenza e le loro scelte sentimentali. In dettaglio Arpagone vuole: sposare una bella ragazza amata, a sua insaputa, dal proprio figlio Cleante e dare la propria figlia Elisa in moglie ad un vecchio ricco che, soprattutto, non richiede una dote materiale.
Come moltissime commedie di tutti i tempi, la provvidenziale entrata in scena del personaggio risolutore scioglie tutti nodi e …..tutti vissero felici e contenti. Nel nostro caso il deus ex machina è il nobile Don Tommaso D’Alburci, il genitore, dato per scomparso in mare, di Valerio, amato da Elisa, e di Marianna, amata da Cleante.
La messa in scena è abbastanza particolare e fuori del tempo: uno spazio vuoto, una sedia a rotelle e, tutto intorno, una serie di armadi con pareti di vetro e, in alcuni, sedie appese. La funzione degli armadi è molteplice: conservare tutti i beni di Arpagone dal contatto con l’aria che potrebbe consumarli, proteggere come casseforti l’oro e, come quinte della scena, offrire possibilità di ingresso ed uscita degli attori dalla scena.
Lello Arena , praticamente sempre in scena, è l’indiscusso protagonista e disegna un Arpagone allo stesso tempo compiaciuto del suo vizio, strafottente e mosso soltanto dal desiderio di agire nel segno del risparmio più assoluto. Le sue capacità mimiche e la grande esperienza gli rendono possibile disegnare un personaggio che se non ben controllato potrebbe facilmente scivolare nella macchietta di genere.
La messa in scena essenziale e funzionale è del regista Claudio Di Palma dello scenografo Luigi Ferrigno.
Insieme a Lello Arena sono presenti Fabrizio Vona, Francesco di Trio, Valeria Contadino, Giovanna Mangiù, Gisella Szaniszlò, Fabrizio Bordigon ed Enzo Mirone.
Sono state due ore di spettacolo divertente contrassegnato da molti applausi a scena aperta.