Bertolt Brecht e Kurt Weill la crearono nel 1928 e in quello stesso anno la misero in scena a Berlino. Il primo ad allestirla in Italia, nel 1956, fu Giorgio Strehler, presente lo stesso Brecht che sarebbe morto sei mesi dopo. Parliamo de L’Opera da tre soldi, «rappresentata in tutto il mondo – spiega Damiano Michieletto -. Solo nella prossima stagione, oltre alla nostra, ne saranno prodotte edizioni a Vienna, in Germania, in Francia, a Salisburgo… Come dire, i termini di paragone con cui confrontarsi, per un regista, sono numerosissimi, ma soprattutto in continuo divenire, poiché inesauribili sono i tentativi di approccio a quest’unicum della storia del teatro occidentale».
La storia dei Peachum, di Jenny delle Spelonche, di Macheath detto Mackie Messer e di tutta la varia umanità protagonista dell’Opera da tre soldi è tratta dalla Beggar’s Opera, L’opera del mendicante che l’inglese John Gay scrisse nel 1728. Fu Elisabeth Hauptmann, storica collaboratrice di Brecht, a tradurla dall’inglese al tedesco e a suggerirne allo scrittore la riscrittura in chiave contemporanea.
«Senza la Hauptmann oggi non avremmo L’Opera da tre soldi – continua Michieletto – e mi pare opportuno ricordare anche il suo ruolo di eccellente drammaturgo, troppo spesso offuscato dalla presenza di due colossi come Brecht e Weill».
Ma come sarà L’Opera da tre soldi di Damiano Michieletto? «Proprio perché il testo, in partenza, si presta ad essere letto da tanti punti di vista – penso a chi si è inserito nel solco tracciato dal marxista Brecht e a chi, all’opposto, ha scelto il puro entertainement del musical di Broadway – la mia idea è In questa edizione, in grado di creare il necessario distacco analitico. Sarà un lavoro sui personaggi svolto su un costante dislivello recitativo, dove la canzone crea un’ulteriore e prepotente spaccatura con il tessuto e le circostanze della vicenda».