Se tutti corressero, il mondo sarebbe migliore

Pubblicato il 23 Dicembre 2009 in , , da Vitalba Paesano

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Il racconto in diretta di un manager milanese  che ha percorso la Maratona di New York. Un articolo che vi proponiamo come pensiero beneaugurale per tutti. Correre, meglio che litigare e combattere….

Maratona di New York, follia di pochi o nascente fenomeno di massa? Il running è una realtà in espansione. Si corre sempre di più: non solo in Italia, dove i runner sono circa 6 milioni (+ 20% vs. il 2006, Fonte Sinottica GfK Eurisko), ma anche nel resto del mondo, come testimonia anche la più celebre corsa degli States (43.741 partecipanti, + 15% rispetto al 2008, Fonte NYCM). Tra questi ci sono anch’io.

Corro dal 2003, ma solo dal 2007 a livello competitivo e da allora ho fatto cinque maratone: Milano, Londra, Berlino, Parigi e New York. Sono sempre stato scettico nei confronti della maratona di New York, l’ho sempre considerata troppo pubblicizzata e troppo partecipata. Nel mondo si corrono ogni anno centinaia di maratone, ma l’unica che tutti conoscono è New York! Perché?

Vittima di una certa deformazione professionale ho cercato di analizzare il fenomeno scoprendo nei numeri, ma non solo, cosa significhi la maratona di NY per noi Italiani: 4.500 iscritti rappresentativi della nostra realtà nazional-popolare, donne e uomini, di tutte le età e di tutte le classi sociali. Immancabile anche il parterre de roi di vip nostrani habitué della NYCM che non disdegna le luci della ribalta: il simpatico dj, l’influente politico, l’illustre accademico, l’uomo di spettacolo, il top manager…

Sveglia alle 4

La sveglia è alle 4,00 della mattina; dal mio albergo nell’upper est side di Manhattan al punto di ritrovo dei bus che ci porteranno alla partenza  ci sono solo 4 chilometri (nulla rispetto ai 42,195 che farò tra poche ore) ma piove e tira un ventaccio gelido e in compagnia di altri tre compagni di avventura conosciuti in albergo (un ragazzone del Texas, una biondina di Boston e un attempato spagnolo alla sua 77esima maratona!) decidiamo di prendere un taxi. All’arrivo al punto di ritrovo (tra la Fifth Avenue e la 42esima) decine di bus in coda, centinaia di volontari con megafoni alla mano “invitano” migliaia di maratoneti assonnati a disporsi in fila per salire sui bus. L’organizzazione è perfetta, decine di poliziotti (NYPD) hanno bloccato le strade. I bus sono confortevoli e riscaldati. Si parte nel buio di Manhattan alla volta del ponte di Verrazzano a Staten Island, punto di partenza della maratona. Dopo quasi un’ora arriviamo a Staten Island, dove altri volontari ci accolgono all’interno di un grande parco recintato. Tutto è organizzato alla perfezione, ci sono sei partenze diverse e ogni runner è distinto in base ai tempi fatti in precedenti competizioni (certificati da un sistema di rilevazione dei tempi tramite microchip). Ha smesso di piovere, ma è ancora buio, tira un vento gelido e alla partenza mancano più di tre ore! Trovo spazio in un tendone tra centinaia di maratoneti: c’è chi dorme, chi legge, chi ha lo sguardo perso nel vuoto. Io cerco di rilassarmi per un’oretta prima di mangiare qualcosa (è impensabile fare una maratona a digiuno, ma bisogna avere almeno due ore di tempo per digerire prima della partenza). Non so come ma riesco quasi ad addormentarmi, mi sveglio dopo un’ora, mancano due ore alla partenza. Esco dal tendone e incomincia ad albeggiare, le migliaia di runner che si aggiravano nella notte hanno ora un volto, distinguo dall’abbigliamento anche i paesi di origine…Cile, Bolivia, Spagna, Francia, Svizzera, Belgio, Germania, USA, Olanda, Brasile… (oltre settanta nazioni!) e tanti Italiani. L’adrenalina comincia a farsi sentire, quando un microfono annuncia (in una decina di lingue) di prepararsi a entrare nella propria griglia di partenza, tra la folla intravedo un volto noto (l’illustre accademico) cerco di scambiare quattro chiacchiere con lui ma è più agitato di me, lo saluto e ci auguriamo reciprocamente il classico in bocca al lupo. È l’ora… ritrovo un altro maratoneta milanese e due simpatiche runner bresciane, oltre a un gruppetto di sudamericani molto allegri, mi calmo e cominciamo ad avviarci ai nastri di partenza. Si è finalmente fatto giorno, il cielo è chiaro anche se nuvoloso, molti elicotteri volano sopra di noi, siamo più di 40mila, dagli altoparlanti ci giungono i saluti del sindaco di NY Michael Bloomberg e poi tutti in silenzio per l’inno americano. Sono a pochi metri dal nastro di partenza, siamo pigiati l’uno contro l’altro, l’adrenalina è a mille, ci sono 7° gradi e il vento non accenna a diminuire, indosso solo pantaloncini e canotta d’ordinanza…ma ho caldo! Inizia il conto alla rovescia ….tre due uno….via!!! io parto tra i primi ma è come se sentissi l’energia degli oltre 43mila runner dietro di me, è un’emozione indescrivibile. Sono partito, sto correndo, il grande giorno è arrivato, non capisco più nulla … corro e basta, saliamo sul ponte di Verrazzano, alla nostra destra vediamo gli atleti di elite (quasi tutti africani). Il mio cronometro mi segnala che sto correndo troppo forte, passo il primo chilometro in meno di 4 minuti (oltre 15 km all’ora), so che non posso tenere quel ritmo per 42km, ma non ci voglio pensare, anche i passaggi successivi sono da brivido, ma sto troppo bene e corro liberamente.

Il pubblico a NY è fantastico (circa 2 milioni di supporter che si faranno sentire soprattutto quando arriveremo a Manhattan, ma anche a Brooklyn – dove stiamo passando – non scherzano mica). Mentalmente penso al tragitto, dobbiamo ancora arrivare nel Queens, entrare a Manhattan quindi passare nel Bronx e rientrare a Manhattan… dove a Central Park ci attende l’arrivo. Continuo a correre molto veloce, ho la sensazione di volare (la chiamano l’estasi del maratoneta), le endorfine che produce l’attività aerobica non fanno sentire il dolore, ma anzi creano un piacere intenso, difficile da descrivere. Non riduco l’andatura… anzi, in modo un po’ incosciente, accelero.

Accelero soprattutto quando vedo tra il pubblico Silvio, superlativo maratoneta e infaticabile compagno di allenamenti milanesi (alle 6 di mattina al Parco Sempione!): la sua presenza e il suo tifo mi spronano ad accelerare ancora di più….sto correndo oltre i miei limiti. Senza neanche rendermi conto arrivo a metà gara (21,097 km, la mezza maratona) il passaggio è ottimo 1:25:52, che mi dà una proiezione per fine gara sotto le tre ore (che è il mio obiettivo!). So che sto per lasciare il Queens e infatti da Long Island si staglia lui, il mitico Queensboro Bridge che porta a Manhattan con ingresso sulla First Avenue. Sapevo che il passaggio sul Queensboro Bridge sarebbe stato difficile – c’è un grosso tratto in salita, il ponte è piuttosto buio e coperto – ma non immaginavo che si sarebbe trasformato presto in un incubo. Sul ponte c’è un silenzio spettrale non si sentono più le grida dei tifosi, ma solo i respiri affannati dei maratoneti, qualcuno molla, qualcuno si ferma in preda ai crampi….incomincio a capire che forse ho sbagliato tattica, avrei voglia di fermarmi anche io, ma poi penso a tutte le ore che ho dedicato agli allenamenti, alle energie che ho investito in questa maratona e continuo a correre. La velocità però si è ridotta drammaticamente, il cronometro segna meno di 10km all’ora, è normale rallentare in salita, ma incomincio a temere il peggio…..

Lentamente mi rendo conto che sto raggiungendo l’apice del ponte, cerco di convincermi che mancano pochi metri e poi dovrebbe iniziare la discesa, ma la fatica non accenna a diminuire, il freddo e il vento sul ponte non aiutano di certo… sto per fermarmi… quando improvvisamente  inizia la discesa. Le gambe riprendono a girare come voglio, il battito cardiaco si riduce, e soprattutto sento un boato: sono rientrato a Manhattan; ad accoglierci all’uscita dal ponte ci sono migliaia di supporter che ci incitano… adrenalina pura… ho ripreso a correre veloce! Basta è fatta, mi dico, è vero che mancano ancora 16km, ma lì, in quel momento ho capito che sarei arrivato fino in fondo. Una maratona non si corre solo con le gambe, ma con la testa, la crisi psicologica era superata, ma lo sforzo fisico e l’acido lattico (prodotto dall’attività anaerobica) sarebbero stati in agguato chilometro dopo chilometro, fino alla fine. Sono arrivato al traguardo senza pensare a nulla, ma correndo e basta, non  mi sono mai fermato e, dal Queensboro Bridge, non ho più controllato il cronometro. Quando all’arrivo ho guardato il cronometro ho realizzato di aver superato il mio obiettivo: il mio tempo ufficiale è stato di 2:55:53 (pari a una velocità media di 14,4 km/h), sono arrivato 628esimo assoluto (su 43.741) e 47esimo di categoria.

La maratona come metafora della vita

Bravo, bravissimo mi sono detto, ma dopo la gara sorgeva la solita domanda: perché corro la maratona? In questi due anni ho cercato di approfondire il significato della maratona, oltre che correndola, cercando di documentarmi. Nonostante ciò, prima di NY, non avevo ancora trovato una risposta ai miei quesiti di fondo. La maratona di NY, ha contribuito a darmi delle risposte anche grazie a un articolo apparso alla sua vigilia sul Corriere della Sera (l’articolo è di Mauro Covacich scrittore triestino e maratoneta).

La corsa – secondo Covacich – più che uno sport è una disciplina interiore, un’arte marziale. A prescindere dal talento, chi corre la maratona lo fa sempre contro il proprio primato personale, ovvero contro se stesso. Il maratoneta è sicuramente l’uomo più resistente …tuttavia  la sua resistenza è frutto di una mente costantemente assediata e assillata dal rischio di fallimento del proprio obiettivo, una mente per nulla pacificata, nonostante le morbide carezze delle endorfine prodotte dal suo sforzo fisico e mentale. Forse l’ultima conclusione di Covacich conduce a una diagnosi troppo impietosa sulla corsa, a tratti irriverente (mi viene il sospetto che Mauro Covacich non abbia saputo o potuto trarre dalla maratona il meglio di sé…), ma comunque qualcosa di vero c’è in quello che scrive. Contrariamente a Covacich, però, io credo che la corsa (anche la maratona), sia assolutamente benefica: la conoscenza dei propri limiti (fisici e mentali) di sopportazione e il loro (eventuale) superamento, può aprirci orizzonti inesplorati e, indipendentemente dal lavoro che facciamo e dall’età che abbiamo, riservarci non poche (piacevoli) sorprese. Forse non è un caso che la corsa e la sua espressione più sublime – la maratona – registrino un successo di critica e di numeri, ancora più impressionanti in un’epoca in cui, in quasi tutti i settori, siamo tristemente abituati a registrare fenomeni in contrazione e in forte crisi. Quale è dunque la chiave del suo successo e della sua rapida diffusione? In parte la risposta si potrebbe trovare nella metafora  della maratona nella nostra vita. Più concretamente la maratona ci insegna l’importanza di:

1) definire obiettivi chiari, oggettivi, misurabili ma anche raggiungibili;

2) organizzare e investire le nostre energie per il raggiungimento degli obiettivi;

3) essere costanti e determinati nella preparazione (allenamenti);

4) dosare la nostra forza sprigionandola al momento giusto;

5) vincere una sfida con le proprie capacità, senza rendite di posizione o facili scorciatoie. Effettivamente la maratona mi pone sempre nuovi quesiti, l’ultimo dei quali mi sorge spontaneo… ma se nel mondo tutti corressero, che mondo sarebbe? Credo, sinceramente, migliore. N.R.

 Riferimenti bibliografici

– Stefano Baldini, Con le ali ai piedi, Mondadori 2005

– Stefano Baldini, Quelli che corrono, Mondadori 2007

– Stefano Baldini, Maratona per tutti, Mondadori 2009

– Mauro Covacich, A perdifiato, Einaudi 2005

– Giuseppe Pederiali, Il sogno del maratoneta, Garzanti 2008

– Roberto Weber, Perché corriamo?, Einaudi 2008

– Murakami Haruki, L’arte di correre, Einaudi 2009

– Jean Echenoz, Correre, Adelphi 2009