Il 22 aprile 1516, in un’officina tipografica ferrarese, terminava la stampa dell’Orlando furioso, opera simbolo del Rinascimento italiano. Nel quinto centenario la Fondazione Ferrara Arte e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo celebrano il poema con un’esposizione che aprirà a Palazzo dei Diamanti il 24 settembre.
I visitatori si troveranno davanti a una mostra d’arte che fa dialogare fra loro dipinti, sculture, arazzi, libri, manoscritti miniati, strumenti musicali, ceramiche invetriate, armi e rari manufatti. A orchestrare questo incanto visivo è un’idea semplice: restituire l’universo di immagini che popolavano la mente di Ludovico Ariosto mentre componeva il Furioso.
Cosa vedeva dunque il poeta, chiudendo gli occhi, quando si accingeva a raccontare una battaglia, un duello di cavalieri o il compimento di un prodigioso incantesimo? Quali opere d’arte furono le muse del suo immaginario visivo? Un lungo lavoro, condotto dai curatori della mostra Guido Beltramini e Adolfo Tura, affiancati da un comitato scientifico composto da studiosi di Ariosto e da storici dell’arte, è stato orientato a individuare i temi salienti del poema e a rintracciare, puntualmente, le fonti iconografiche che ne hanno ispirato la narrazione. I visitatori saranno così condotti in un appassionante viaggio nell’universo ariostesco, tra immagini di battaglie e tornei, cavalieri e amori, desideri e magie. A guidarli saranno i capolavori dei più grandi artisti del periodo, da Paolo Uccello ad Andrea Mantegna, da Leonardo da Vinci a Raffaello, da Michelangelo a Tiziano a Dosso Dossi: creazioni straordinarie che faranno rivivere il fantastico mondo cavalleresco del Furioso e dei suoi paladini, offrendo al contempo un suggestivo spaccato dell’Italia delle corti in cui il libro fu concepito.
Grazie al sostegno dei maggiori musei del mondo, le opere conosciute o ammirate dal poeta, saranno riunite a Ferrara per dare vita ad un appuntamento espositivo irripetibile: dall’olifante dell’XI secolo, che la leggenda vuole sia il corno di Orlando che risuonò a Roncisvalle, alla straordinaria Scena di battaglia di Leonardo da Vinci proveniente da Windsor; dalla preziosa terracotta invetriata dei Della Robbia raffigurante l’eroico condottiero Scipione dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, al romantico, trasognato Gattamelata di Giorgione dagli Uffizi, celebre comandante di ventura ritratto nella sua luccicante armatura moderna; dal raffinato dipinto di Andromeda liberata da Perseo di Piero di Cosimo degli Uffizi, fonte dell’episodio di Ruggero che salva Angelica dalle spire del drago, all’immaginifica e monumentale visione di Minerva caccia i vizi dal giardino delle virtù di Andrea Mantegna del Louvre, che Ariosto vide nel camerino d’Isabella d’Este, le cui figure fantastiche ricompaiono nel corteo di mostruose creature incontrato da Ruggero nel regno di Alcina.
Ariosto non smise mai di rielaborare il suo poema, che fece nuovamente stampare a Ferrara, con lievi ritocchi, nel 1521 e una terza volta, sensibilmente rimaneggiato, nel 1532, pochi mesi prima di morire. Negli anni tra la prima e la terza redazione del Furioso il mondo attorno al suo autore cambiò radicalmente, a cominciare dagli sconvolgimenti culminati nella battaglia di Pavia del 1525 che segnò la sconfitta di Francesco I e l’inizio dell’egemonia politica e culturale di Carlo V sulle corti padane. Parallelamente nelle arti figurative maturano negli stessi anni espressioni nuove, trionfa quella Vasari chiamerà “maniera moderna”, un linguaggio artistico di respiro non più regionale ma italiano, che ha come campioni Raffaello e Michelangelo. La stessa olimpica sintesi fra tradizioni precedenti e assimilazione della lezione del mondo antico, che in pittura genera le vette del Rinascimento, in letteratura ha un singolare parallelo nella trasformazione linguistica dell’Orlando, che Ariosto porta a compimento nell’edizione del 1532. Grazie ad essa il poema, purificato dalle inflessioni locali, diviene «classico di una classicità nuova», un capolavoro “italiano”, simbolo della letteratura del primo Rinascimento.
Ariosto assiste alla rivoluzione linguistica della pittura, vedendo di persona le opere di Michelangelo e Raffaello che lo stesso Alfonso I d’Este, signore di Ferrara, brama di possedere. Del resto Ariosto è coinvolto nella nascita dei dipinti che artisti come Dosso o Tiziano dipingono per Alfonso: essi in mostra saranno rappresentati dal Baccanale degli Andrii di Tiziano, uno dei capolavori del Camerino delle pitture di Alfonso che – grazie ad un prestito eccezionale concesso dal Museo del Prado – tornerà in Italia dopo quasi cinquecento anni dalla sua creazione.
ORLANDO FURIOSO 500 ANNI
Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi
Ferrara, Palazzo dei Diamanti
24 settembre 2016 – 8 gennaio 2017
Mostra a cura di Guido Beltramini e Adolfo Tura, organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte e dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo
Informazioni
tel. 0532 244949
diamanti@comune.fe.it
www.palazzodiamanti.it