Nella storica sede di Palazzo Bentivoglio a Gualtieri (RE), apre al pubblico la mostra “Incompreso. La vita di Antonio Ligabue attraverso le sue opere”, promossa dalla Fondazione Museo Antonio Ligabue e dal Comune di Gualtieri. Il percorso della mostra, a cura di Sergio e Francesco Negri, comprende 22 dipinti, alcuni bronzi ed un calco in terracotta. Le opere, tutte provenienti da collezioni private, sono esposte in ordine cronologico, con suddivisione in periodi, per consentire al visitatore di osservare l’evoluzione dello stile, della tecnica, ma anche dei temi che cambiano con il passare del tempo.
Nel Salone dei Giganti sono presentati alcuni capolavori, come “Il serpentario” e “Aquila con volpe”, che ritraggono animali in movimento, “Castelli svizzeri”, che non veniva esposto a Gualtieri dagli anni Settanta, il celebre “Autoritratto con spaventapasseri” e “Diligenza con paesaggio”, un’opera inserita, così come altre presenti in mostra, nel film di Giorgio Diritti. Lo stesso regista aveva infatti raccontato a Francesco Negri, durante le riprese, di essere stato a Gualtieri nel 1975 e di essersi innamorato della ricerca di Ligabue dopo aver visto il dipinto intitolato “Diligenza con paesaggio”. Ad arricchire ulteriormente l’esposizione, la presenza di documenti sulla vita dell’artista, la proiezione del film documentario di Raffaele Andreassi del 1961 e diverse foto risalenti agli anni Cinquanta, scattate dal reporter Walter Breveglieri, che ritraggono Ligabue alle prese con la sua Moto Guzzi.
La storia di Antonio Ligabue ha inizio il 18 dicembre 1899 a Zurigo. Nonostante la nascita in territorio elvetico, le sue origini sono legate profondamente all’Italia. Viene registrato con il cognome della madre, Elisabetta Costa, che abita a Frauenfeld, nel cantone di Turgau, dove fa l’operaia. Elisabetta ben presto conosce un altro emigrante italiano, Bonfiglio Laccabue, nativo del Comune di Gualtieri (RE); i due si sposano il 18 gennaio 1901 e il 10 marzo dello stesso anno Bonfiglio legittima il piccolo Antonio, dandogli così il proprio cognome. A soli nove mesi d’età, nel settembre 1900, è affidato a una coppia svizzero-tedesca. Il bambino è colpito da rachitismo e carenza vitaminica che gli causano una malformazione cranica e un blocco dello sviluppo fisico – di qui, l’aspetto sgraziato che conosciamo attraverso le sue fotografie da adulto. Nel settembre del 1913, viene affidato agli svizzeri Else e Johannes Valentin Göbel. A causa delle disagiate condizioni economiche e culturali la coppia è costretta a continui spostamenti. Il carattere difficile e i problemi negli studi lo portano a cambiare scuola varie volte: prima a San Gallo, poi a Tablat e infine a Marbach. Nell’istituto, in ogni caso, Ligabue impara a leggere con una certa velocità e pur non essendo capace in matematica e in ortografia, trova costante sollievo nel disegno. Tra il gennaio e l’aprile del 1917, dopo una violenta crisi nervosa, viene ricoverato per la prima volta in un ospedale psichiatrico a Pfäfers. Nel 1919, dopo aver aggredito la madre adottiva durante una lite, su denuncia della stessa, viene espulso dalla Svizzera. Da Chiasso è condotto a Gualtieri, luogo d’origine di Bonfiglio Laccabue ma, non sapendo una parola di italiano, fugge tentando di rientrare in Svizzera. Riportato al paese, vive grazie all’aiuto dell’Ospizio di mendicità Carri. Nel 1920 riceve l’offerta di un lavoro presso gli argini del Po come scarriolante. Proprio in quel periodo inizia a dipingere. Nel 1928 incontra Renato Marino Mazzacurati, che ne comprende l’arte e gli insegna l’uso dei colori ad olio, guidandolo verso la piena valorizzazione del suo talento. In quegli anni si dedica completamente alla pittura, continuando a vagare senza meta lungo il fiume Po. Nel 1937 viene ricoverato in manicomio a Reggio Emilia per atti di autolesionismo. Nel 1941 lo scultore Andrea Mozzali lo fa dimettere dall’ospedale psichiatrico e lo ospita a casa sua a Guastalla. Durante la seconda guerra mondiale fa da interprete alle truppe tedesche. Nel 1945, per aver percosso con una bottiglia un militare tedesco, rientra in manicomio, rimanendovi per tre anni. Nel 1948 si fa più intensa la sua attività artistica tanto che giornalisti, critici e mercanti d’arte si interessarono a lui. Nel 1957, Severo Boschi, firma de “Il Resto del Carlino”, ed il fotoreporter Aldo Ferrari gli fanno visita a Gualtieri: ne scaturisce un servizio sul quotidiano con immagini tuttora celebri. Nel 1961 viene allestita la sua prima mostra personale alla Galleria La Barcaccia di Roma. Subisce un incidente in motocicletta e, l’anno successivo, rimane vittima di una paresi. Nel 1963 Guastalla gli dedica una grande rassegna antologica, curata da Sergio Negri. Chiede di essere battezzato e cresimato: muore il 27 maggio del 1965, all’età di 65 anni. Viene sepolto nel cimitero di Gualtieri e sulla sua lapide viene posta la maschera funebre in bronzo realizzata da Mozzali. In paese è soprannominato, nel dialetto locale, Al Matt (il matto) o Al tedesch (il tedesco).