sceneggiatura Nick Payne dal romanzo “Il senso di una fine” di Julian Barnes cast Jim Broadbent (Tony Webster) Charlotte Rampling (Veronica Ford) Harriet Walter (Margaret Webster) Michelle Dockery (Susie Webster) Emily Mortimer (Sarah Ford) James Wilby (David Ford) Edward Holcroft (Jack Ford) Billy Howle (Tony giovane) Freya Mavor (Veronica giovane) Joe Alwyn (Adrian) Peter Wight (Colin) Jack Loxton (Colin giovane) genere commedia durata 108 min
A volte ritornano. Anche se, per fortuna, non per commettere una carneficina, come nell’omonimo film del 1991 da Stephen King, ma, più sommessamente, per risvegliare sentimenti e passioni che parevano sopiti o addirittura scomparsi per sempre. Succede a Tony Webster, pensionato con la passione per vecchie macchine fotografiche che commercia in un minuscolo negozietto nel cuore di Londra. Divorziato, ma ancora in ottimi rapporti con la ex, si trova a gestire la… gestazione della figlia, mamma single per scelta, nell’imminenza del parto. A scombussolare questo tutto sommato anodino tran tran arriva una lettera con bollo notarile che gli comunica uno strano lascito: il diario del suo migliore amico di 40 anni prima, morto suicida ai tempi dell’università. Il legatario è la madre della ragazza che fu a suo tempo il primo amore di entrambi i giovani.
La storia prende così a dipanarsi sul doppio binario della cronaca e della memoria, con ampi flash back sugli eventi della giovinezza rivissuti a volte da Tony nelle sembianze attuali, come in un vero sogno a occhi aperti. Ingrassati, ingrigiti, ingobbiti, anche altri amici dell’epoca vengono a dare man forte a Tony nella sua ricerca della “verità” su quei lontani sentimenti che tornano prepotentemente all’ordine del giorno loro malgrado. Anche la ex moglie si trova coinvolta nella ricerca introspettiva dell’anziano coniuge, con ritorni improvvisi di fiamma che parevano ormai fuori portata, vista l’avvenuta separazione. Il finale si attorciglia un po’ su se stesso, ma il risultato non cambia: “L’altra metà della storia” è un film gradevole e garbato, così come lo sono gli altri due titoli (“Lunchbox” e “Le nostre anime di notte”) del giovane regista indiano capace di cogliere gli aspetti prevalentemente agrodolci dell’esistenza. Con uno sguardo acuto e sincero sulla terza età.