È stata prorogata fino al 29 marzo la mostra antologica dedicata a Bruno Munari, una mostra importante che celebra il centenario della nascita di uno dei grandi maestri del design italiano del XX secolo.
La mostra è allestita al museo dell’ Ara Pacis a Roma ed è organizzata in cinque sezioni tematiche che descrivono l’atteggiamento creativo-progettuale di Bruno Munari nonché la sua vocazione didattica.
Bruno Munari è noto per la sua capacità di riconoscere messaggi di delicata bellezza in oggetti lavorati dal mare e dal tempo e raccolti sulla spiaggia, per la sua ironia che gli permetteva di vedere forme nuove in oggetti comuni o per la sua comunicatività ( comunic…attività l’aveva definita il maestro in un incontro di aggiornamento didattico) nel condurre i bambini in giochi-lavoro fatti di fantasia e manualità. Il suo atteggiamento ricettivo nei confronti delle forme della natura e la disponibilità a vedere il bello nelle cose più semplici lo troviamo espresso con linguaggio elementare in alcuni dei suoi libri più famosi, da Fantasia a Da cosa nasce cosa,
Questi aspetti si vedono nei circa duecento pezzi tra disegni, oggetti, sculture e libri che sono esposti e che descrivono compiutamente la sua ricerca e che comunicano anche come Munari in ogni suo lavoro assumesse come principio ordinatore quello della progettualità, vale a dire un modo di procedere nell’ideazione di un oggetto valutando e collegando ogni nucleo tematico (obiettivo da raggiungere, organizzazione formale, funzionalità, rapporto forma-funzione, vocazione dei materiali, costi di produzione…) in un sistema di relazioni che portava alla realizzazione di un manufatto che assommava tutte queste componenti in forma assolutamente razionale, in modo da farlo risultare perfetto: non c’era niente da togliere e niente da aggiungere.
Sono esempi significativi la lampada a sospensione Falkland del 1964, realizzata in tessuto tubolare di filanca e sottili anelli di acciaio e il portacenere Cubo del 1958, pensato in maniera ironica per conservare la cenere prodotta dalle sigarette. Questi due oggetti sono prodotti ancora oggi da Danese, a sottolineare la loro valenza progettuale.
Forse è meno noto che Bruno Munari ha guidato e formato non soltanto i docenti delle scuole elementari e materne ma anche quelli di scuole superiori, di un’area didattica specifica della progettazione: della grafica, dell’architettonica e dell’industrial design.
Negli anni ’60 e ‘70 non esistevano testi o manuali specifici per queste discipline e Munari si era impegnato a divulgare una metodologia progettuale, la sua, in ambito didattico, attraverso articoli che apparivano su riviste di architettura, di industrial design o di didattica (Ottagono, Domus, Rassegna dell’istruzione artistica) e poi raccolti nei suoi molti libri, ad esempio in Arte come mestiere, Artista e design, Codice ovvio, e in questo modo ha contribuito significativamente alla formazione didattica degli insegnanti delle materie caratterizzanti i corsi dell’Istituto d’Arte (progettazione, laboratori, discipline geometriche e plastiche, educazione visiva) e formando intere generazioni di docenti.
Io appartengo a questo gruppo di docenti.
Non vorrei che questa nota, dato che sono passati tanti anni, prendesse un tono sentimentale, ma sento di dover raccontare della disponibilità del Prof. Munari a tenere cicli di lezioni ( lezioni ?! ) che diventavano subito piacevoli conversazioni sulla didattica, sugli interessi dei ragazzi e sul coinvolgimento dei colleghi, di come accettava sempre di incontrare le classi alle sue mostre o nel suo studio per parlare direttamente ai ragazzi e di come i suoi interventi sul campo fossero sempre produttivi, con una ricaduta sempre positiva nel lavoro scolastico.
Bruno Munari sembrava fatto apposta per la nostra scuola, raccontava delle sue esperienze condotte su materiali inusuali, delle forme e delle composizioni che otteneva, della sua progettualità legata al fare, al lavoro delle mani che esprime i pensieri della mente, tutto con una tale semplicità che si ripartiva con la convinzione di poter per ripercorre senza alcuna difficoltà queste sue esperienze.
È una piccola nota, certamente non rappresenta una integrazione alla mostra, ma spero aggiunga qualche cosa alla figura di Bruno Munari come persona.
P.S.
La mostra è ospitata in un volume progettato dall’architetto statunitense Richard Meier, uno dei più importanti e famosi architetti contemporanei e uno dei pochissimi che sia riuscito a rimanere fedele al suo passato razionalista. E’ il progettista del Museo d’arte moderna di Barcellona e del Museo di arti decorative di Francoforte.
L’intervento ha suscitato molte polemiche per il linguaggio adottato, un linguaggio moderno, molto diverso dalla classicità dell’Ara Pacis o dai caratteri dell’architettura romana, ma credo non sia saggio lasciarsi influenzare dalle polemiche.
Provate a pensarlo come un museo moderno, da quello di Stoccarda progettato da Stirling, a quelli di Barcellona e di Francoforte progettati da Meier, o del Louvre di Parigi di Pei o di Castelvecchio a Verona di Carlo Scarpa, che traggono valore proprio nel rapporto di contrasto tra antico e moderno: tanto più il linguaggio usato per il contenitore è moderno tanto maggiore è la distanza temporale che viene percepita nelle opere antiche in esso contenute. Vale a dire che il progetto di Meier, come tutta la museologia moderna, da Carlo Scarpa in poi, si basa su questo semplice ed efficace assunto.
Poi si può discutere se il progetto è di valore o meno.
Perciò la polemica, se ci deve essere, riguarderà la bontà architettonica dell’opera dell’architetto americano e non il fatto che adotti un linguaggio moderno.
Inoltre il fatto che questa architettura sia stata costruita attorno all’oggetto Ara Pacis non significa far prevalere l’idea della necessità di una identità di linguaggi, è un intervento pensato nel 2000, deve riflettere il suo tempo, non deve imitare il passato perché sarebbe un impoverimento. Inoltre questo monumento necessitava, per la sua conservazione, di un contenitore altamente tecnologico che l’architetto Meier ha saputo creare coniugando estetica e sofisticata tecnologia.
Un suggerimento dell’arch.Franca Pavanelli