sceneggiatura Deborah Davis, Tony McNamara cast Olivia Colman (Anna Stuart) Rachel Weisz (Sarah Jennings) Emma Stone (Abigail Hill) Nicholas Hoult (Robert Harley) Joe Alwyn (Samuel Marsham) Mark Gatiss (John Churchill) James Smith (Sidney Godolphin) genere storico prod Irlanda, Gb, Usa 2018 durata 120 min.
Al cinema sembra essere il momento degli uomini e delle donne nell’ombra. Dopo The Wife e Vice, ecco adesso questa Favorita che non ha nulla a che fare con il melodramma donizettiano bensì con uno dei periodi più controversi e ingarbugliati della storia inglese: il regno di Anna Stuart (1665-1714), ultima sovrana di questa dinastia che fu sul trono di San Giacomo dal 1702 al 1714. Il suo governo segnò l’unione dei regni d’Inghilterra e Irlanda con quello di Scozia e l’inizio della potenza inglese a livello planetario in seguito al vittorioso intervento britannico nella Guerra di Successione Spagnola (1700-1715). In politica interna sotto di lei si consolidò il sistema bipartitico (Tory e Whig) che continua sostanzialmente ancora oggi.
Tutte queste vicende nel film sono solo accennate, restano sullo sfondo e anche un po’ oscure per un pubblico non anglosassone perché in primo piano, come è ormai consuetudine non solo cinematografica, vengono i personaggi che la storia (quella dei libri) lascia appunto nell’ombra. È il caso, qui, di Sarah Jennings (1660-1744), moglie di John Churchill, duca di Marlborough nonché antenato del più noto sir Winston e di Lady D. Sarah è, appunto, la donna nell’ombra della regina Anna ovvero l’eminenza grigia della corte proprio per la sua influenza personale sulla sovrana. In altri tempi, una così si chiamava, appunto, la favorita anche se, di solito, era il regnante maschio ad avvalersi di tali persone. Nella vicenda messa in scena da Lanthimos il rapporto a due tra regina e favorita si complica per una terza presenza che abilmente si insinua tra le due: Abigail Hill (1670-1734), parente povera di Sarah entrata a servizio di quest’ultima dal gradino più basse della gerarchia domestica. Gerarchia che però la giovinotta scala con rapidità fulminea sfruttando la propria bellezza, intelligenza e cultura (compresa quella medica), ma sfruttando soprattutto le debolezze e i vizi altrui. Nonché applicando all’ennesima potenza gli stessi insegnamenti e gli esempi ricevuti dalla più ricca e altolocata parente. Fino a soppiantarla nel cuore della sovrana. Perché, si sa, i favori, specialmente dei potenti, sono quanto di più labile esista al mondo. Ieri come oggi. E per tutti gli arrivisti, Abigail compresa. Dicevamo del quadro storico che à appena accennato perché la sceneggiatura punta dritto alla messa in scena dei caratteri dei personaggi. Specialmente del “triangolo” femminile Anna, Sarah e Abigail, indagato come oggi farebbero solo le riviste di gossip più sfrenato.
Gottosa, irascibile, umorale e insicura la regina. Dispotica, cinica, decisa e spietata la duchessa di Malborough. Infingarda, doppia, e non meno feroce la diabolica Abigail. Il peso preponderante della drammaturgia è dunque affidato alle tre interpreti. Che ne escono alla grande, da ottime attrici quali sono. Colman e Weisz confermando il talento già noto, Emma Stone trovando finalmente un ruolo e un regista capaci di ottenere il meglio da lei e farci dimenticare le scialbe interpretazioni di Birdman e La La Land, tanto per citare i precedenti più noti. Dal punto di vista espressivo, il regista punta al barocco, complice anche il periodo rappresentato, pescando a piene mani dal Greenaway dei Misteri del giardino di Compton House (1982) e Bambino di Mâcon (1993) nonché dal Kubrick di Barry Lyndon (1975) aggiungendo di suo un uso spasmodico e ossessivo del grandangolo (con ogni probabilità un 8mm) al limite del deformante. Ma tant’è: il barocco è l’epoca dell’anticlassicismo e tutto sommato i fastosi interni del palazzo rivestiti di legni e pesanti tappezzerie ne escono espressivamente rafforzati. Molto interessante anche la colonna sonora dove non mancano echi del Nyman sodale di Greenaway, accenni di avanguardia uniti a un uso intrigante della musica d’epoca. Per quanto riguarda costumi e décor siamo al limite della perfezione. Note negative? Il solito doppiaggio con la solita Giuppy Izzo a dare a Rachel Weisz la voce più sbagliata, falsa e stonata rispetto all’originale riducendo così di almeno il 50% la qualità della sua recitazione. Idem per le altre comari di leggio Ida Sansone (Olivia Colman) e Domitilla D’Amico (Emma Stone), ma anche per il melenso Fabrizio De Flaviis (Nicholas Hoult) dalla voce addirittura più impomatata di quanto sia il viso del suo personaggio.
E allora perché vederlo?
Per una full immersion nella campagna inglese su un cocchio trainato da quattro cavalli bianchi.
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