L’Ilva di Taranto durante la gestione Riva, un contesto postindustriale che della delocalizzazione e del subappalto ha fatto il proprio vangelo. Palazzina Laf, opera prima di Riondino, racconta con fredda precisione i rapporti di fabbrica tra colleghi, tra dirigenti, impiegati e operai e tra mondo del lavoro e società civile
Che la classe operaia non sia destinata al gaudio celeste lo sappiamo da mo’. Almeno dal 1971, quando sul tema il regista Elio Petri, con la partecipe complicità di un Gian Maria Volontè in stato di grazia, ci propose il metalmeccanico Lulù Massa alle prese con il lavoro a cottimo, gli infortuni alla catena di montaggio, i sindacalisti, gli scioperi, gli studenti maoisti e il culo dell’Adalgisa. Ma come siamo messi in un polo siderurgico del Terzo Millennio? Poniamo, così, a caso, l’Ilva di Taranto. Perché anche se la vicenda è collocata nel 1997 (gestione Riva), il regista ci parla di oggi, o meglio, di domani. Di un contesto postindustriale che della delocalizzazione e del subappalto ha fatto il proprio vangelo. Chiamandolo farisaicamente ‘riorganizzazione dell’assetto produttivo’.
Anche se presenta un andamento un po’ schematico e anche se è decisamente rievocata (inclusi i tratti somatici del protagonista) dal film di Petri, Palazzina Laf, opera prima del ‘giovane Montalbano’ ci racconta con fredda precisione i rapporti di fabbrica tra colleghi, tra dirigenti, impiegati e operai e tra mondo del lavoro e società civile. In un dialogo tra sordi di cui si percepiscono solo i ricatti e le minacce aziendali ovvero la politica del bastone e della carota.
Dove il primo è rigorosamente riservato ai lavoratori e la seconda a chi di loro si fa delatore. In fondo poco importa che la sceneggiatura sia stata desunta dal libroFumo sulla città di Alessandro Leogrande (alla cui memoria il film è dedicato) perché la Palazzina Laf del titolo ci rimanda piuttosto a una via di mezzo, di forma e sostanza, tra Il processo di Kafka e Qualcuno volò sul nido del cuculo (Milos Forman, 1975). Con alcuni momenti particolarmente interessanti sul piano espressivo come, all’inizio, la cerimonia nella chiesa tarantina di Gesù Lavoratore (e relativi mosaici), la pecora che stramazza nel buio e nel silenzio di una masseria inquinata, la cena da Aldo, l’informatico che l’azienda vorrebbe ‘ricollocare’ come operaio o la messa con l’arcivescovo. L’immagine metaforicamente più riuscita resta però, all’interno della palazzina, l’orologio in movimento che non riesce a progredire, ma torna indietro in una sorta di sussulto agonico che scandisce il non-tempo di chi occupa quel non-luogo. E che neppure le pianticelle verdi sbocciate dai baratoli sulla finestra possono certo salvare.
Dettagli del film Palazzina
sceneggiatura Maurizio Braucci, Michele Riondino cast Michele Riondino (Caterino Lamanna) Elio Germano (Giancarlo Basile) Vanessa Scalera (Tiziana Lagioia) Anna Ferruzzo (procuratore) Domenico Fortunato (Angelo Caramia) Michele Sinisi (Aldo Romanazzi) Fulvio Pepe (Renato Morra) Eva Cela (Anna) Marina Limosani (Rosalba Liaci) genere drammatico prod Ita, Fr 2023 durata 99 min.
DVD selezionati da Riccardo E. Zanzi, recensione di Auro Bernardi
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