sceneggiatura Beau Willimon dal libro di John Guy “My Heart is My Own: the Life of Mary Queen of Scots” cast Saoirse Ronan (Mary Stuart) Margot Robbie (Elisabetta I) Jack Lowden (Lord Darnley) Joe Alwyn (Robert Dudley) David Trennant (John Knox) Guy Pearce (William Cecil) Gemma Chan (Bess di Hardwich) Ismael Cruz Córdoba (Davide Rizzio) Brendan Coyle (Mattew Stuart, conte di Lennox) genere drammatico prod Usa, Gb 2018 durata 125 min
Esordio di lusso per la 42enne regista inglese Josie Rourke in un film che mette in scena l’intricata storia anglosassone del XVI secolo. Restituendoci sullo schermo quel tempo così come doveva essere: cupo, torbido e freddo, non per le condizioni climatiche quanto per quelle politiche e sociali. Lotte intrighi, cospirazioni, delitti… Infatti siamo tra i discendenti di Enrico VIII, penultimo dei Tudor (l’ultima sarà sua figlia Elisabetta I) nonché sovrano scismatico e capo della Chiesa Anglicana, in lotta con i “papisti” ancora presenti sul suolo d’Inghilterra. La rara correttezza storica (che include naturalmente scenografia e costumi) è peraltro dovuta anche alla consulenza di John Guy, docente tra i massimi esperti del periodo.
Per quanto riguarda l’intreccio del film, la narrazione si sviluppa tutta in flashback e comprende gli anni che intercorrono tra il 1561 e il 1587 ossia tra il ritorno in patria (la Scozia) di Maria Stuart, vedova del re Francesco II di Francia, e la sua decapitazione nel castello inglese di Fotheringhay. Per ordine della cugina Elisabetta I che l’aveva confinata lì da quasi 20 anni. La scelta narrativa della regista è proprio quella di stabilire un parallelo tra Maria ed Elisabetta, parenti e nemiche più per ragioni politiche ed ideologiche che per autentica rivalità. E Rourke punta proprio sulle rispettive femminilità per connotare (anche storicamente) i suoi personaggi. Fertile l’una, sterile l’altra (Elisabetta fu anche chiamata “Regina Vergine” per non aver mai dato alla luce un erede, nonostante i numerosi amanti), tollerante, indulgente, visionaria e quasi pacifista Maria; sospettosa, rigida, severa, concreta Elisabetta. Fatale l’incontro-scontro tra due personalità così diverse prima ancora che tra due mondi, due religioni (cattolica e protestante), due popoli (scozzesi e inglesi) abitanti la stessa terra e destinati per forza di cose a combattersi o a unirsi. Il gioco di specchi, a volte sin troppo esibito, che sottolinea le corrispondenze visive fra le due donne trova l’apice nell’unico episodio di cui non si abbia un sicuro riscontro: l’incontro faccia a faccia tra le due regine. Anzi, storicamente è più probabile che tale incontro non sia mai avvenuto mentre il film lo rende possibile in un femminile intreccio di veli che, se da un lato ne esalta l’ambiguità, dall’altro lo rende un tantino lezioso. Altro pregio del film è la resa dei personaggi di contorno, con lo stesso rigore e aderenza al vero di quelli principali. E persino di quelli di fantasia, come le damigelle di Maria. Interessante anche il mix linguistico che unisce all’inglese del parlato ordinario brevi dialoghi in francese tra Maria e i suoi intimi e il gaelico del popolo scozzese.
E allora perché vederlo?
Perché la storia (quella con la S maiuscola) è fatta dagli uomini. Ma a volte anche dalle donne.