Garrone parla di emigrazione attraverso lo sguardo di due teenager senegalesi che non scappano da guerre, calamità, devastazioni o persecuzioni, ma, molto più semplicemente, inseguono un sogno
Con una scelta azzardata, ma vincente Garrone affronta il tema dell’emigrazione di massa evitando allo stesso tempo retorica e piagnisteo. Tema scabroso e ultrasensibile per la nostra opinione pubblica, già affrontato da altri autori con risultati altalenanti. Dal discutibile Fuocoammare (2016) di Gianfranco Rosi al più remoto, ma meglio riuscito Lamerica (1994) di Gianni Amelio. E proprio a quest’ultimo sembra rifarsi Garrone nella scelta di dare alla storia uno sguardo non oggettivo, non asettico, ma partecipe e persino un po’ complice. In questi caso lo sguardo di due ragazzi, due teenager senegalesi che non scappano da guerre, calamità, devastazioni o persecuzioni, ma, molto più semplicemente, inseguono un sogno.
Come tutti i loro coetanei in giro per il mondo. Il sogno di affermarsi come musicisti in Europa, di diventare tanto bravi e famosi al punto che “I bianchi ci chiederanno l’autografo!”. E per inseguire quel sogno sono disposti a tutto anche, se, da bravi ragazzi, prima di partire chiedono il permesso agli antenati in una stravagante cerimonia animistica come solo in Africa può succedere. Partire a tutti i costi. Nonostante i dinieghi dei familiari e gli avvertimenti di chi quel viaggio l’ha già intrapreso perdendo non solo tutti i propri beni, ma la propria umanità. Eppure i due non demordono. Decisamente la parte migliore del film è quella ambientata a Dakar, nelle povere, ma dignitose baracche dove si concentra la maggior parte della popolazione. Povera sì, specialmente a fronte dei nostri standard, ma allegra, civile, dinamica come la maggior parte della gente di quel paese che, al pari di tutti gli altri stati del continente nero, ha una popolazione dall’età media di 19 anni.
Qui si fa apprezzare anche la musica, colonna sonora solidale alle immagini con le canzoni dei ragazzi e le feste di strada, che si integra ai fatti rafforzandoli e facendosi a sua volta rafforzare. Diverso, anzi opposto, il discorso quando, nel prosieguo della storia, si insinua il fastidioso controcanto di Andrea Farri che non porta alcun contributo e, anzi, spesso e volentieri strazia inutilmente i timpani. Ma torniamo al narrato. L’odissea nel deserto del Sahara fino alle coste libiche e poi l’interminabile traversata a bordo di una carretta del mare sono le altre due ante del trittico che compone l’odissea di Seydou e Moussa. In compagnia di migliaia di altri disperati che hanno scelto di mettere a repentaglio la propria vita pur di lasciare il paese d’origine e approdare nella vecchia Europa. E qui lo sguardo si fa a volte meno oggettivo per mantenere visibile allo spettatore il fatto che di due ragazzi si tratta, spontanei, ingenui e innocenti fino alla dabbenaggine. Innocenti, ma di una innocenza perduta dopo pochi km da casa. Uno sguardo che non nasconde le brutture, ma che le sublima in un desiderio di giustizia e solidarietà che, da un lato, si può materializzare solo nei sogni, dall’altro si concretizza invece nella figura paterna di un altro migrante che evita a uno dei protagonisti esperienze ancora più traumatiche. Del resto Garrone non ha voluto fare cronaca, ha raccontato il rito di passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Meritato il Leoncino veneziano come premio alla regia, peccato per l’Oscar appena sfiorato.
E allora perché vedere il film di Garrone?
Perché è questo il modo migliore di aiutarli a casa loro. E anche a casa nostra.
Dettagli del film di Garrone
sceneggiatura Matteo Garrone, Massimo Gaudioso, Massimo Ceccherini, Andrea Tagliaferri cast Seydou Sarr (Seydou) Moustapha Fall (Moussa) Issaka Sawagodo (Martin) Hichem Yacoubi (Ahmed) Doodou Sagna (uomo degli spiriti) Khady Sy (mamma di Seydou) Bamar Kane (Bouba) genere drammatico lingua orig wolof e francese prod Italia-Belgio, 2023 durata 121 min.
DVD selezionati da Riccardo E. Zanzi, recensione di Auro Bernardi