sceneggiatura Antonio Padovan da un soggetto di Antonio Padovan e Marco Pettenello cast Stefano Fresi (Mario Cavalieri) Giuseppe Battiston (Dario Cavalieri) Flavio Bucci (Umberto Cavalieri) Roberto Citran (avv. Piovesan) Camilla Filippi (Carlotta) Vitaliano Trevisan (agente immobiliare) Teco Celio (Adamo) Luisa De Santis (direttrice clinica) Ludovica Modugno (Teresa) genere commedia prod Ita 2019 durata 96 min.
La nascita e il fine delle utopie. Potrebbe essere questo il sottotitolo dell’esilissima commedia (opera seconda) del regista Padovan (trevigiano, a dispetto del nome) che ambienta nel Polesine la storia di due fratellastri che si ritrovano da adulti perché il maggiore si è cacciato nei guai con la legge e il minore deve fargli da tutore legale. In una Bassa Padana che più bassa non si può, tra gli argini del grande fiume, cascine, piazze, portici e bar di paese dove l’unica cosa che sembra muoversi è la nebbia, nel vecchio fienile trasformato in laboratorio Dario cova un sogno. O meglio: cerca di dar vita a una personalissima utopia nata in lui da bambino, la notte del 20 luglio 1969 ossia quando il primo uomo ha messo piede sul nostro satellite. Un piccolo passo per l’astronauta Neil Armstrong, ma un grande passo per l’umanità intera, secondo la celebre frase coniata per la circostanza.
Ma, come sempre accade, nel momento in cui le utopie si concretizzano entrando nel corso della storia (micro o macro che sia) ecco che esse vengono a conflitto con la prosaica realtà uscendone spesso con le ossa rotte. Un po’ come succede a Dario dopo che il suo missile-fai-da-te anziché catapultarlo fuori dall’atmosfera terreste lo lascia a terra, malconcio e bruciacchiato. E con una denuncia sulla gobba per danneggiamento alla proprietà terriera del vicino. Da qui la “mission impossible” di Mario di “ricondurre la pecora all’ovile” ossia togliere dalla testa del fratellastro l’assurda convinzione di vagabondare per lo spazio. Nel segno di un padre assente e scroccone che il maggiore ha idealizzato oltre ogni misura e il secondo evita come la peste per le stesse ragioni. Dunque il film di Padovan imbandisce alcuni classici della commedia senza tempo: la strana coppia, la culla paterna degli atti ribelli e la rivalsa del sogno sulla realtà quando, alla fine, la commedia laica vira nel misticismo fideistico. Qualcosa si perde per strada: per esempio alcuni spunti ecologici di Camilla con i suoi asparagi bio, e qualcosa poteva essere evitato allo spettatore, come i due finti agenti immobiliari o la macchietta dell’ingegner-agricol-imprenditorial coniata sui vecchi “cumenda” interpretati nei tempi d’oro dall’inarrivabile Mario Carotenuto. Bilancio finale? Un’oretta e mezza di parco divertimento (nel senso di divertimento limitato), ma non becero. Due ottime prove d’attori (Battiston e Fresi), che non scopriamo oggi né con questo film, e un buon livello d’insieme che, da un lato, richiama vagamente la saga di don Camillo&Peppone e, dall’altro, il kitch surreale dei Monty Phyton.
E allora perché vederlo?
Perché, come disse Kierkegaard, è una sciagura per un genio nascere in provincia.