titolo orig. Edmond sceneggiatura Alexis Michalik cast Thomas Solivérès (Edmond Rostand) Olivier Gourmet (Constant Coquelin) Mathilde Seigner (Maria Legault) Tom Leeb (Léo) Lucie Boujenah (Jeanne) Alice de Lencquesaing (Rosemonde Gérard Rostand) Dominique Pinon (Lucien) Simon Abkarian (Ange Floury) Marc Andreoni (Marcel Floury) Jean-Michel Martian (Honoré) Clémentine Célarié (Sarah Bernhardt) genere commedia prod Francia 2019 durata 108 min.
Nel giro di un mese, tra il novembre e il dicembre del 1918, due funerali percorsero le strade di Parigi. Il primo, seguito da un pugno di familiari e amici del defunto, il secondo da un immenso codazzo di folla. Nelle bare due poeti, morti entrambi di Influenza Spagnola. Il primo si chiamava Guillaume de Kostrowicki, meglio noto come Apollinaire, il secondo Edmond Rostand, autore del celebre verso che definisce il bacio come “Apostrofo rosa tra le parole t’amo”. Il primo, scrittore d’avanguardia, tra gli artefici di cubismo e surrealismo, amico di Picasso, Derain, De Chirico e Ungaretti. Il secondo, autore popolarissimo proprio grazie all’opera teatrale che contiene la celebre frase: quel Cyrano de Bergerac di cui Alexis Michalik ci offre ora la rivisitazione cinematografica. Una rivisitazione, va detto subito, accattivante e spumeggiante per il semplice artificio di sovrapporre ai personaggi della piece Rostand stesso, il suo amico attore Léo, la costumista Jeanne, di cui Léo è innamorato e di cui Edmond s’invaghisce, la moglie di Rostand, Rosemonde Gérard, il grande istrione Coquelin e altri personaggi, tra fantasia (Honoré) e realtà (Feydeau, Cechov).
Nella rutilante Parigi fin-de-siécle dove si balla il can-can e si beve assenzio. Una Parigi e un milieu culturale, quelli di Rostand, che guardano al passato, non al futuro. Un po’ come la pittura di Giovanni Boldrini a fronte di quella dei refusés (i rifiutati: Monet, Manet, Renoir, Pisarro…). È l’eterna storia di ogni forma d’arte e di spettacolo: successo per i posteri o incassi al botteghino? Asterischi o palline? Il destino dei due poeti francesi morti a pochi giorni di distanza la dice lunga su dove va a parare la storia: Apollinaire era uno che allargava i confini dell’arte, Rostand era come uno che oggi, nell’era dei computer, inventasse la macchina da scrivere. Ma siccome il film di Michalik, come l’opera teatrale di cui ricostruisce la genesi, non punta agli asterischi della critica bensì alle palline del box office, gli va dato atto che la sua messa in scena non fa un plissé (una piega), che personaggi, epoca e décor (ambientazione) sono ottimamente riprodotti sullo schermo, al punto da far filar via le quasi due ore di spettacolo come si bevesse un bicchiere di rosolio. Salvo un leggero senso di nausea per il vizio ormai inveterato di tutte le nuove leve cinematografiche (Michalik ha 38 anni) ossia quello di usare la steadicam come un frullatore anziché una macchina da presa. Ottimo il cast, senza divi, ma dove ogni componente funziona a beneficio dell’insieme. E con una rara omogeneità nella recitazione.
E allora perché vederlo?
Perché pare che al funerale di Apollinaire sua madre, M.me de Kostrowicki, abbia detto a un amico: “Mio figlio un poeta? Ma non dite sciocchezze. Rostand, lui sì che è un poeta!”