Regia: Paolo Sorrentino, cast: Toni Servillo (Jep Gambardella), Carlo Verdone (Romano), Sabrina Ferilli (Ramona), Carlo Buccirosso (Lello Cava), Iaia Forte (Troumeau), Pamela Villoresi (Viola), Galatea Ranzi (Stefania), Franco Graziosi (principe Colonna), Roberto Herlitzka (cardinale Bellucci), Isabella Ferrari (Orietta), Giovanna Vignola (Dadina), Dario Cantarelli (assistente suor Maria), Serena Grandi (Lorena), Fanny Ardant (se stessa), durata: 142′
È uno dei cinque candidati all’Oscar per il miglior film straniero nonché vincitore del Golden Globe per la stessa categoria. Come spesso accade, il film di Sorrentino ha schierato su fronti opposti la critica cinematografica. La Repubblica, Il Messaggero, L’Espresso, L’Unità, ma anche Variety si sono espressi in termini elogiativi. Il Corriere della Sera e La Stampa hanno invece manifestato perplessità. Ecco i nostri “pro&contro”.
Perchè sì
– Comunque la si guardi, la Roma del III millennio è quella rappresentata da Sorrentino: grandiosa e opulente nella sua decadenza. Anche se la realtà (le feste trash con ancelle, legionari e maiali) è sempre un passo più avanti della messa in scena.
– Lo sguardo disincantato sui mali di una società inconcludente e vanesia che non sa guarire dal proprio egoismo. Senza prendere posizione e senza giudicare, ma mostrando le cose come sono.
– Il vuoto pneumatico su cui galleggia la gran parte della cultura, della politica, dell’imprenditoria italiana sono resi in maniera graffiante, con immagini poetiche e feroci che si rapprendono davanti agli occhi come i capolavori dell’antichità o del rinascimento che sfilano sullo schermo.
– Un cast che riunisce il meglio del “made in Italy” e dove, soprattutto, nessuno sgomita o fa il gigione per emergere. Merito anche di una sceneggiatura ben calibrata.
-E’ vero: Sorrentino pesca dal baule felliniano. Non dai barocchismi della Dolce vita o di Roma, ma, in maniera più discreta ed efficace, dallo Sceicco bianco e dai Vitelloni.
Perchè no
– Frammentario, disomogeneo, inconcludente come tutti i film del sopravvalutato Sorrentino. Qualche sprazzo di buon cinema e qualche cameo riuscito non salvano l’insieme.
– Una sceneggiatura debole, verbosa e letteraria, obbliga molti attori, a cominciare dall’incolpevole Servillo, a fastidiosi birignao.
– Gli inutili virtuosismi della macchina da presa, usata come un frullatore anziché come condensatore di immagini ed emozioni.
– Lasciamo in pace Fellini. L’immaginaria e immaginifica capitale del regista riminese non ha nulla a che spartire coi nani e le ballerine messi in scena da Sorrentino.
– Decisamente insistenti, fastidiose e irritanti le “marchette” pubblicitarie di aperitivi, birre, banche e quant’altro. In un film che gode di finanziamenti pubblici per le qualità artistiche sono anche fuori luogo.
Ho rivisto La grande Bellezza l’altra sera in tv. E sul piccolo schermo mi è piaciuto meno; quasi che la Bellezza fosse diventata più piccola e più misera. Ero in casa da solo, come mi capita spesso ormai, e il film mi ha messo di malumore. Pensavo a questo nostro Bel Paese che potrebbe essere davvero bellissimo e che, invece, crolla a pezzi, abbruttito e pur invidiato dal resto del mondo. Vorrei vedere nel giro di qualche anno che qualcosa davvero cambi. Dico sempre ai giovani: comincia a non buttare mai niente per terra e a non insudiciare i muri: la bellezza comincia da lì. Ciao a tutti Matteo
Una serie di cartoline a colori buone per turisti americani dove viene rappresentata una Roma irreale. Servillo costretto in giacche, cappelli gesti parole fuori luogo. Il ballo in discoteca copiato da quello ben piu’ ficcante nei palazzi del potere , nel Divo delo stesso Sorrentino. E la santona che mangia radici perche’ le radici sono importanti? Ridicola!
E si ride molto quando con una alitata fa scappare le cicogne.la povera Serena Grandi costretta a fare se stessa per comprarsi un po’ di droga.Salvo la bambina prodigio e l’artista che picchia la testa ma sarebbe stato divertente vederla morire..
Nella Napoli