Al cinema: “Il vegetariano”, di Roberto San Pietro

Pubblicato il 1 Aprile 2019 in , , da Auro Bernardi
Il vegetariano

sceneggiatura Roberto San Pietro, Giovanni Galavotti cast Sukhpal Singh (Krishna) Luigi Monfredini (Magnani) Marta Tananyan (Maria) Mudassar Ashraf (Amrit) Reema Shing (Alessandra) Gurwider Singh (padre di Amrit e Alessandra) Vandana Yadav (madre di Amrit e Alessandra) Arun Sharma (padre di Krishna) Shafali Mathur (madre di Krishna) genere drammatico prod Italia 2019 durata 109 min.

 

“Quando ero ragazzo questa cascina dava da mangiare a trenta famiglie. Adesso ho un solo dipendente e faccio fatica a tirare avanti”. In questa frase pronunciata dall’anziano Magnani, coltivatore diretto della Bassa Reggiana, sta la chiave del film di San Pietro e della storia di Krishna, indiano del Punjab immigrato in Italia, unico dipendente, appunto, dell’agricoltore. Quello del bergamino (mungitore, nell’idioma padano) è uno dei tanti mestieri che nessun italiano vuole più fare. Sveglia alle 4 per la prima mungitura e poi altri 3-4 turni in stalla per prelevare il latte dalle mucche in produzione. Tutti i santi giorni senza eccezione, né ferie, né feste comandate. Perché gli animali vanno munti ogni 7-8 ore in qualsiasi stagione dell’anno, con qualsiasi tempo o condizione. Per giunta le aziende agricole hanno il brutto vizio di essere lontane dalle città ossia dai luoghi di svago e divertimento frequentati dai giovani. Ecco perché a Pessina Cremonese sorge il gurdwara (tempio) sikh più grande d’Europa e altri se ne trovano disseminati lungo l’asta del Po, dal Piemonte alla Lombardia al Veneto all’Emilia. Al pari di templi indù e moschee. Perché nel XXI secolo la zootecnia padana è ormai appannaggio quasi esclusivo di immigrati indiani o pakistani approdati sulle rive dell’Eridano dopo aver lasciato quelle del Panjnad, del Gange o del Brahmaputra. Qui, in questo milieu, San Pietro ha pescato la materia prima per il suo film che racconta un’Italia poco conosciuta eppure vitale proprio grazie a questi immigrati.

Il vegetariano

Attenzione, però: Il vegetariano non è un film sull’immigrazione, ma sulla commistione di culture, sensibilità, religioni, stili di vita di un paese globalizzato dove gli autoctoni sono per lo più anziani e magari con qualche patologia inabilitante (Alzheimer) e gli “stranieri” sono quelli che “mandano avanti la baracca” facendo appunto i bergamini o le badanti. E Krishna è figlio di un brahmino, dunque educato a considerare il cosmo come un insieme indissolubile e tutti gli esseri viventi parte di un unico soffio divino che trascende le singole forme in cui si cala. Uomini o animali che siano. Ecco perché il giovane va in crisi quando una mucca scende sotto la soglia remunerativa della produzione lattiera diventando così un peso morto per il già malmesso allevamento. Per evitarle il macello Krishna altera i dati, ma la menzogna dura poco, con le conseguenze del caso. Nel frattempo ha conosciuto e sposato Maria, badante russa cresciuta a sua volta sulle rive di un altro grande fiume, il Volga, e anch’essa in bilico tra passato e futuro, tra la chiesa ortodossa dove si celebrano interminabili liturgie e il desiderio di radicarsi nelle nuova realtà del paese d’adozione. Il film procede per flash back riportandoci spesso all’infanzia di Krishna per farci comprendere meglio il perché delle sue scelte e le motivazioni dei suoi gesti. Come attingere acqua dal Po in un’ampolla, non per versarla nella laguna veneta, ma per metterla accanto a un’altra che contiene l’acqua del Gange.

Il vegetariano

Roberto San Pietro si è formato cinematograficamente al laboratorio Ipotesi Cinema di Ermanno Olmi e la lezione stilistica del maestro scomparso un anno fa si nota. A cominciare proprio dalle location, in quel tratto del medio corso del Po molto caro al regista bergamasco che da queste stesse parti aveva girato o ambientato film come Lungo il fiume (1992), Il mestiere delle armi (2001) e Centochiodi (2007). San Pietro ha scelto Novellara (RE), paese di Augusto Daolio, storico leader dei Nomadi, nonché sede del secondo gurdwara più grande d’Europa, dopo quello di Pessina, usato anche come set. Film poetico, perché la poesia sta nelle piccole cose e, soprattutto, nel modo di vederle, e film drammatico perché in una società dominata dal “mercato” è sempre più difficile trovare spazi per l’anima come per portare avanti un’attività agricola tradizionale. Alla lezione di Olmi va ricondotta anche la scelta del regista di utilizzare in molti ruoli attori non professionisti e persone comuni della minoranza punjabi di Novellara. Con esiti in qualche caso interessanti. Forse il più debole è proprio l’operaio-ballerino Sukhpal Singh cui grava il compito del ruolo principale mentre una bella scoperta è Marta Tananyan, viso fresco e gentile, che si rivela attrice completa. Al pari di molti comprimari con il turbante. Menzione d’obbligo per Luigi Monfredini (Magnani), operatore culturale di lungo corso perfettamente a suo agio nel ruolo.

 

E allora perché vederlo?

Per gettare uno sguardo più che attento su un’Italia sconosciuta.

 

Le proiezioni in aprile

Milano

Anteo 1/04 (19.40), 03/04 (21.30)

Reggio Emilia

Rosebud 3/04 (19.00 e 21.00), 9/04 (21.00)

Bologna

Lumière 4/04 (20.00), 6/04 (18.00), 10/04 (20.00), 11/04 (18.00), 17/04 (22.00)

Mantova

Ariston 5/04 (21.15) 6/7/8 aprile

Bergamo

Auditorium 8/04 (21.00)

Venezia

Rossini 10/04 (17.00, 19.00 e 21.00)

Campagnola Emilia

16/04 (21.00)

Firenze

Odeon 28/04 (21.00)

Per aggiornamenti sulle proiezioni: www.facebook.com/pg/apapaja.official/events


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