sceneggiatura Arasha Amel dal libro di Paul Conroy “Confesso che sono stata uccisa”, Newton Compton ed. cast Rosamund Pike (Marie Colvin) Jamie Dornan (Paul Conroy) Tom Hollander (Sean Ryan) Stanley Tucci (Tony Shaw) Greg Wise (David Irens) Faye Marsay (Kate Richardson) Nikki Amuka-Bird (Rita Williams) Alexandra Moen (Zoe) Corey Johnson (Norm Coburn) Amanda Drew (Amy Bentham) Raad Rawi (Gheddafi) genere drammatico prod Usa, GB 2018 durata 110 min.
Un tarlo, un assillo che può trasformarsi in un incubo senza fine. È questo il destino di una donna, Marie Colvin, inviata speciale sui fronti più caldi del globo per raccontare ciò che nessuno racconta: la devastazione, la morte, le sofferenze, le atrocità che ogni guerra si porta in grembo, soprattutto verso le popolazioni civili. Dallo Sri Lanka delle Tigri Tamil alla Siria di Assad e dei suoi oppositori, una giornalista che ha sulle spalle più campagne di qualsiasi veterano. Logico, quindi, che i sonni siano agitati anche nel profumato tepore delle lenzuola domestiche. E altrettanto logico che la mattina dopo si rifaccia lo zaino per una nuova missione. Fino a quando una scheggia di granata o una raffica di mitragliatrice non pone fine agli incubi ponendo fine all’esistenza. Marie Colvin è realmente esistita ed è morta tra le macerie di Homs, sotto le bombe dei lealisti del regime. Dopo aver dettato il suo ultimo reportage. La sua storia è stata scritta dal compagno di tante avventure, il fotografo Paul Conroy, scampato alla morte per miracolo, e adesso in questo bel film, asciutto e cattivo, di Heineman. Asciutto e cattivo come appunto le situazioni raccontate. Senza enfasi, ma con il giusto distacco. Con lo sguardo, appunto, del reporter che descrive e racconta senza prendere posizione, senza schierarsi se non dalla parte dei più deboli e delle vittime innocenti. Bravissima la Pike in ruolo tutt’altro che facile. All’altezza i comprimari. Tra le scene clou, spicca senza dubbio quella relativa al ritrovamento di fosse comuni, sempre nel martoriato quadrante Mediorientale. E per fortuna che il cinema, sia pur di finzione, mostra quello che nessun tg mostrerà mai.
E allora perché vederlo?
Per capire cosa significa davvero sporcarsi gli scarponi quando i nostri giornalisti pantofolai, superlottizzati e strapagati, cianciano di “servizio pubblico”.