“Quello che non so di lei” di Roman Polanski
sceneggiatura Roman Polanski, Olivier Assayas dal romanzo “Una storia vera” di Delphine de Vigan (Mondadori) cast Emmanuelle Seigner (Delphine de Vigan) Eva Green (Elle) Vincent Perez (François) Dominique Pinon (Raymond) Camille Chamoux (Oriane) genere drammatico durata 110 min
Una scrittrice di successo in crisi di ispirazione. Mentre firma a raffica le copie del suo ultimo libro nel classico evento cultural-mondano, Delphine si imbatte in una strana ammiratrice che ritrova poi, casualmente, a un party per addetti ai lavori. Stanca, annoiata, anche un po’ arrabbiata Delphine apre appena un poco il suo animo a quella sconosciuta “collega”, ghost writer per celebrità desiderose di autoicensarsi, e le affida la lettura del suo ultimo dattiloscritto. Il bello è che tra le due donne, è la scrittrice affermata a sembrare la più dimessa, inelegante, goffa e insicura. L’altra, che si fa chiamare «Elle, come Elisabeth», cioè semplicemente “Lei”, è sempre elegantissima, sofisticata e padrona della situazione. Nasce un’amicizia che è anche collaborazione lavorativa, complicità intellettuale, perfino qualcosa di più che lega con un filo invisibile, ma ferreo. Tanto che Delphine decide di abbandonare il progetto che aveva in corso per dedicarsi al racconto della vita di “Elle”, la sua compagna. Non sveliamo oltre perché il pregio del film è proprio il racconto di questo rapporto. Che è di vita, ma anche molto di più, fino al sorprendente finale che rimescola le carte al punto da disorientare. Qualcuno ha paragonato questa storia a “Misery non deve morire” (1990) specialmente per la parte in cui le due donne si isolano nella casa di campagna del compagno di Delphine. Sostenuti da una sorta di avallo dello stesso Polanski.
A guardar bene però l’accostamento è sbagliato e fuorviante. L’antecedente più prossimo è invece “Sils Maria” di Olivier Assayas che qui compare come sceneggiatore e che, a nostro parere, è la persona cui si deve la cifra del film, più dello stesso regista. Vero che in “Sils Maria” si trattava di una teatrante e della sua segretaria, ma la sostanza dei rapporti tra le due donne, qui è la, è la stessa. A tutto beneficio dell’azione e della densità del racconto. Senza Assayas, dubitiamo che Polanski sarebbe stato così profondo. Per chi invece si accontenta di una bella trama a suspense, qui si va a nozze tanto la storia cattura per l’intrigo e la progressione drammatica. Il tutto sulle spalle di due sole interpreti, chiamate a reggere il peso di un duetto che sembrerebbe tendere all’infinito. Emmanuelle Seigner in Polanski ne esce da par suo con una prova maiuscola. Invecchiata, imbruttita, con il luminoso casco d’oro sacrificato per una più anonima capigliatura castana perennemente arruffata, dà l’anima e il corpo giusti a una Delphine in conflitto con il mondo. Eva Green le tiene magnificamente spalla nel ruolo dell’amica-nemica con cui confrontarsi e affrontarsi. Ottimi fotografia, scenografia, montaggio e costumi. Un po’ meno la musica.
E allora perché vederlo?
Per capire quanto sia sottile la linea che separa una pagina di romanzo dalla vita vera.