“Freud-l’ultima analisi”: la malattia, il disagio psicologico e sociale

Pubblicato il 30 Gennaio 2025 in , da redazione grey-panthers
Freud

Il racconto cinematografico di una “giornata particolare”, a 20 giorni dalla sua morte, di Freud, che affronta le sofferenze fisiche, il tumore alla bocca, il disagio psicologico e sociale con grande riservatezza e capacità di autocontrollo

 

Il film racconta una “giornata particolare”, di Freud, a Londra, il 3 settembre 1939, 20 giorni prima della sua morte. Il filo conduttore che scorre lungo il film è l’incontro di Freud con lo scrittore e teologo britannico Clive Staples Lewis. Incontro immaginario, però, perché sappiano che in realtà non si incontrarono mai. Oggetto della loro discussione, l’esistenza o meno di Dio

È un Freud sofferente, che da 16 anni (dal 1923, cioè) lotta contro un tumore alla bocca, operato più volte, e sempre più invasivo, che gli ha comportato l’asportazione di porzioni dell’osso mascellare, della mandibola e del palato molle. Ne è risultata la necessità di usare una protesi mobile, per ripristinare la separazione tra cavità nasale e bocca. Nel film c’è un momento in cui questa protesi appare, ma stiamo tranquilli, niente di impressionante!

Questa situazione sin dall’inizio ha comportato difficoltà nel mangiare e nel bere, ma soprattutto nel parlare.

Da anni, così, Freud deve rinunciare a partecipare ai convegni della Società psicoanalitica di Vienna, tanto che istituisce riunioni mensili nella propria abitazione. Parlare gli richiede un grande sforzo. Pure i collaboratori lo devono raggiungere a casa. Rinuncia pure a viaggiare con il ritmo di sempre.Anche il premio Goethe per la letteratura, che gli è stato conferito nel 1930, lo ha visto impossibilitato a raggiungere Francoforte e costretto a delegare la figlia Anna, che non solo ritira il premio al posto suo, ma interviene, pronunciando il discorso che lui avrebbe voluto fare. Nella stessa estate del 1930, persino il funerale della madre lo vede assente, rappresentato ancora da Anna. Adesso che è morta la madre, scriverà, può morire anche lui.

Freud affronta da sempre le sofferenze fisiche, la malattia, il disagio psicologico e sociale con grande riservatezza e capacità di autocontrollo “con una serenità e una dignità che facevano impressione su chiunque”, scrive il suo medico Max Schur, che racconterà il suo rapporto con Freud nel libro ”Il caso di Freud” edito da Boringhieri, nel 1976 (acquistabile ancora in edizione Vintage).

Freud

Ci sono aspetti del film che non corrispondono alla vita reale di Freud: la riservatezza e il suo rapporto con il medico di fiducia.

  • La riservatezza di Freud è poco visibile nel film. Più manifesta la “sorprendente elasticità mentale che gli consente di comunicare con persone di ogni livello”, come scrive ancora Schur. La riservatezza, che chi lo conosceva unanimemente gli attribuisce, contrasta, con un’altra scena del film in cui Freud si vanta di avere un accordo speciale con il proprio medico “che lo aiuterà a morire”. Affermazione inverosimile per lui con un estraneo. Neppure la moglie e la figlia conoscevano questo “patto” tra i due.
  • Non appare nel film neppure la posizione di Freud nei confronti dei farmaci che avrebbero potuto alleviare i suoi dolori: si sa con certezza della sua contrarietà ad assumere sedativi e antidolorifici, mentre nel film sembra concedersi frequenti cocktail di alcol e morfina.

Ma torniamo alla riservatezza: nella realtà, Freud era anche refrattario a lamentarsi dei suoi dolori e apprezzava interlocutori che evitavano di chiedergli informazioni sull’evoluzione della sua malattia.

Il dottor Schur (quarant’anni più giovane di Freud e naturalmente presente nel film) ha sempre rappresentato un punto di riferimento nella vita di Freud; una relazione, la loro, basata sulla fiducia che il medico sarebbe sempre stato al suo fianco fino all’ultimo. Un patto chiaro già dal primo incontro: Freud dal suo medico si attendeva “che gli fosse sempre detta nient’altro che la verità”; inoltre, come racconta Schur stesso, la promessa anche che “quando sarà venuto il momento, non mi lasci soffrire inutilmente”. Promessa sigillata con una stretta di mano, nel 1928. Un patto forte e personale, contrassegnato da una correttezza anche formale (si sono sempre dati del lei), e da un puntuale pagamento delle prestazioni al medico.

In quest’ultima parte del patto, e a quanto ne scrive Schur, Freud non ha mai considerato fattibile il suicidio o l’eutanasia, ma ha semplicemente chiesto di essere accompagnato verso un’agonia indolore. Niente a che vedere, dunque, per esempio, con lo spirito del film di Almodovar, nel quale la protagonista gestisce il fine vita in autonomia.

Nel film questo patto tra Freud e Schur naturalmente non si vede nei dettagli: si percepisce, piuttosto, in molti momenti del film, la serenità che anche da questo patto deriva a Freud (e che Hopkins, invece, per quanto bravissimo, manifesta con una eccitazione di fondo che francamente spesso appare eccessiva).

Un’altra incongruenza, infine, riguarda la collocazione temporale del racconto: negli ultimi mesi di vita (e nella pellicola, ricordiamo, siamo a 20 giorni dalla morte) Freud è molto indebolito dal tumore. Non riceve più visite, non esce di casa, intrattiene solo rapporti epistolari con le persone più significative per lui. Ben diversa la descrizione che ne fa il film, proponendo azioni e movimenti assolutamente inverosimili per le sue condizioni psicofisiche in quel periodo.

Il film potrebbe avere questo messaggio: scegliere la data della propria morte, concordarla con il proprio medico di fiducia, produce uno stato di benessere che mette al riparo dal senso di impotenza. In realtà, Freud non ha mai espresso idee di suicidio o eutanasia.


Dettagli del film “Freud-l’ultima analisi”

Titolo originale: Freud’s Last Session – Regia: Matt Brown – Cast: Anthony Hopkins, Matthew Goode, Liv Lisa Fries, Jodi Balfour, Jeremy Northam – Genere: Drammatico, USA, 2023 – durata: 110 minuti

 

di Leonardo Resele

 

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