tit. orig. Mientras dure la guerra scen. Alejandro Amenábar, Alejandro Hernández cast Karra Elejalde (Miguel de Unamuno) Eduard Fernández (José Millán Astray) Santi Prego (Francisco Franco) Nathalie Poza (Ana Carrasco Robledo) Tito Valverde (generale Cabanellas) Luis Bermejo (Nicolás Franco) Patricia López Arnaiz (María de Unamuno) Inma Cuevas (Felisa de Unamuno) Carlos Serrano-Clark (Salvador Vila) Luis Zahera (Atilano Coco) Ainhoa Santamaría (Enriqueta Carbonell) Mireia Rey (Carmen Polo) Luis Callejo (generale Mola) genere storico lingua orig. spagnolo prod. Spagna 2019 durata 107 min.
Dopo la fine dell’avventura hollywoodiana determinata dal flop al botteghino di Agorà (2009, costo 70milioni di dollari, incasso 37milioni, peccato mortale per lo star system) e dal semiflop di Regression (2015, costo 11milioni, incasso 17milioni), il 50enne talentuoso regista ispanocileno è tornato all’ovile, ossia a girare film in Spagna da dove aveva spiccato il volo dopo aver mietuto meritati allori con titoli come Apri gli occhi (1998) e Mare dentro (2004). Il risultato è questo cauto film storico che tocca un argomento sempre un po’ scabrosetto per l’opinione pubblica iberica. Diciamo “cauto” in quanto Amenábar non fa l’Amenábar ossia si mimetizza in un prodotto molto televisivo e poco personale. Forse proprio per non incorrere in altri infortuni al box office. In compenso però tratta l’argomento franchismo da un punto di vista molto particolare e, quindi, molto personale. Cerchiamo di spiegare l’apparente contraddizione. Già per uno spagnolo è difficile districarsi tra cause prossime e remote, intrecci storici e ideologici che hanno determinato la Guerra Civile del 1936-39 nonché gli eventi che l’hanno preceduta: l’instaurazione della Seconda Repubblica, l’esilio di re Alfonso XIII di Borbone, la vittoria delle sinistre alle elezioni del 1931 e la rivincita delle destre in quelle del 1933. Difficile per uno spagnolo, figuriamoci per chi spagnolo non è. E in questo il film non aiuta, dando tutto per scontato e acquisito e portandoci direttamente al luglio del 1936 ossia alla sollevazione delle truppe contro il legittimo governo repubblicano.
Il tutto visto però attraverso gli occhi (e gli occhiali) di un grande intellettuale dell’epoca, filosofo, scrittore, saggista, rettore dell’università di Salamanca nonché fenomenale bastian contrario: Miguel de Unamuno. Anche questo nome sicuramente dice poco fuori dalla Spagna e dagli addetti ai lavori, ma questa figura (e quindi la scelta di Amenábar) è forse il miglior compendio del coacervo storico-politico che abbiamo sommariamente ricordato. Proprio per il suo essere perennemente “contro”. In esilio durante la dittatura di Miguel Primo de Rivera, poi deputato socialista, ma inciucista con le destre. Antimonarchico e anticlericale, ma amicissimo di un pastore protestante massone, infine, con le sorti della guerra ormai segnate dall’intervento di Italia e Germania accanto agli insorti, fiero oppositore della dittatura al punto da rischiare il linciaggio oltre che essere rimosso dall’incarico accademico. Casi del genere non sono una rarità nella storia della cultura europea. Basti pensare a uno Schopenhauer che plaude la feroce repressione dei moti liberali del 1848 perché gli insorti, con i loro schiamazzi, disturbavano le sue elucubrazioni filosofiche. Unamuno fa un po’ lo stesso: inorridito dalle violenze di anarchici e comunisti dopo la loro presa del potere finisce tra le braccia dei falangisti chiudendo gli occhi sulle loro violenze che raggiungono (e oltrepassano) la soglia della sua stessa casa. Salvo ribaltare nuovamente le carte con lo storico discorso nel Paraninfo (l’aula magna) della “sua” università davanti a una platea di franchisti. Canto del cigno perché Unamuno muore il 31 dicembre del 1936, prima che la guerra dispieghi tutte le sue atrocità. Doverosa una parola sul cast, formato da eccellenti interpreti, con un attore su tutti: Eduard Fernández nei panni e nelle stampelle di José Millán Astray, El Glorioso Mutilado ossia l’equivalente spagnolo di un Farinacci, la “suocera del regime fascista”. Da incorniciare il suo discorso in cui spiega, sulle proprie ferite, perché deve essere Francisco Franco a reggere il timone del comando unico. Doverosa anche una parola sul set, ossia sulla città di Salamanca sede della più antica università iberica nonché centro urbano di straordinaria bellezza. A cominciare proprio dal glorioso ateneo retto da Unamuno, dai suoi chiostri e dal Paraninfo per toccare le stradine strette e assolate del centro storico, la stupenda Plaza Mayor, la Cattedrale e il ponte romano sul fiume Tormes. Un personaggio a sua volta, anche se muto. Ultima chiosa: il titolo. Capziosetto quello italiano dato che nel film non compare alcuna “lettera” a Franco (se non le petizioni di Unamuno) mentre quello originale (che si può tradurre con: Finché dura la guerra) riprende testualmente la frase con cui, su precisa richiesta tedesca, la giunta dei militari insorti assegna a Francisco Franco i pieni poteri limitati, nelle intenzioni degli altri ufficiali, alla sola durata delle operazioni. Sappiamo tutti com’è andata.
E allora perché vederlo?
Perché anche oggi c’è troppa gente in giro per le cancellerie di mezzo mondo che ha una gran voglia di premere il grilletto.