Nel 1948 gli ultimi soldati americani si imbarcano a Napoli per tornare finalmente a casa a tre anni dalla fine della guerra. Sulla banchina molte ragazze piangono e si disperano. Sono le “signorine allegre”, giovani donne che per sbarcare il lunario si sono concesse a quei militari in cambio di denaro. Una di queste, Agostina (Gina Lollobrigida) ha potuto mettere insieme un bel gruzzolo che ha inviato al parroco del suo paese perché glielo custodisse. Inizia così il film di Luigi Zampa Campane a martello del 1948, che tra i primi mette in evidenza la triste realtà delle ragazze italiane dedite in quegli anni alla prostituzione. La donna di piacere, spesso dal cuore buono, è una figura molto presente nel nostro cinema del dopoguerra. Secondo il libro Italy’sOther Women. Gender and Prostitution in Italian Cinema, 1940-1965 (Peter Lang, 2016) di Daniele Hipkins, docente all’ università di Exeter”, la prostituta compare in almeno il 10% dei film di produzione italiana, ma la sua ombra si proietta anche su molti altri titoli. Le passeggiatrici sono rappresentate in genere come “sgualdrine dal cuore d’oro” e dall’ animo generoso, costrette a imboccare quella strada dalle necessità economiche.
Prima di Zampa nel 1945 Mario Mattoli in La vita ricomincia racconta la storia di Paolo Martini, un medico reduce dalla prigionia (Fosco Giachetti), che torna a casa e ritrova la serenità con la moglie Patrizia (Alida Valli) e il figlio. Ma durante la sua lontananza la donna in un momento difficile, a causa di una malattia del suo bambino, si era concessa ad un uomo facoltoso per denaro. Costui, ritornato alla carica proprio poco prima del ritorno di Paolo, viene da lei respinto e poi ucciso. La pellicola è il triste ritratto di un’Italia povera e umiliata dagli anni di guerra tra macerie materiali e morali. Nel 1951 Luigi Comencini in Persiane chiuse, interpretato da Eleonora Rossi Drago e Giulietta Masina, ci mostra per la prima volta sul grande schermo il dramma delle case chiuse, le case di tolleranza. Un tema scottante e tragico da lui ripreso nel ’52 con La tratta delle bianche. Nel 1954 è Alberto Lattuada con La spiaggia a mettere in luce il comportamento ipocrita e falso di una certa Italia borghese e benestante. In una località turistica sul mare Annamaria (Martine Carol), una bella donna che fa la vita, sta trascorrendo con la figlioletta le vacanze al Grand Hotel frequentato da gente altolocata. Nessuno sa della sua vera “professione” e tutti la trattano con riguardo. Quando però la verità verrà a galla (Annamaria è costretta a presentarsi ogni giorno dal maresciallo dei carabinieri come prevede la legge per le prostitute schedate) intorno a lei sarà il vuoto costringendola ad andarsene. Un bel ritratto ironico e amaro allo stesso tempo del conformismo di una piccola Italia provinciale e moralista.
Dello stesso anno è Donne proibite di Giuseppe Amato, un melodramma con Valentina Cortese, Linda Darnell, Lea Padovani ed Anthony Quinn, storia di quattro prostitute che alla chiusura della casa di “malaffare” nella quale lavoravano, devono reinventarsi una nuova vita onesta. In Maddalena di Augusto Genina con Gino Cervi, Charles Vanel e Marta Toren, si racconta invece la vicenda di Maddalena, una mondana ingaggiata dal signorotto di un paese per interpretare la parte della Madonna in una sacra rappresentazione del Venerdì Santo. La donna ha accettato questo incarico “blasfemo” per punire in qualche modo la Vergine ritenuta da lei la responsabile della tragica morte di sua figlia. Nel 1957 Federico Fellini dirige sua moglie Giulietta Masina in Le notti di Cabiria, splendido e triste ritratto di una “passeggiatrice” ingenua e dall’ animo buono che cerca il grande amore con cui passare serenamente il resto della sua vita. Troverà invece la crudeltà di un uomo deciso a derubarla dei pochi risparmi accumulati negli anni. La straordinaria interpretazione della Masina è premiata al Festival di Cannes e il film ispirerà nel 1969 Bob Fosse per il suo Sweet Charity con Shirley Mac Laine. Quando la legge Merlin nel 1958 viene approvata causando la fine delle case di tolleranza, il paese si divide tra favorevoli e contrari in un clima di grandi scontri. Ovviamente il cinema non poteva non registrare le diversità dell’opinione pubblica e il destino di queste donne lasciate senza nessun aiuto da parte dello Stato. Nel 1959 tocca a Anna Magnani in Nella città l’inferno di Renato Castellani, tratto dal romanzo di Isa Mari Via delle Mantellate, recitare nel ruolo di Egle, una prostituta di lungo corso rinchiusa in un carcere romano insieme a diverse ragazze condannate per reati comuni. Tra loro anche Lina, una servetta veneta accusata ingiustamente di furto a cui l‘ esperta Egle insegnerà come sopravvivere nella giungla della vita.
Nello stesso anno esce sugli schermi Arrangiatevi! di Mauro Bolognini con Peppino De Filippo, Totò, Franca Valeri e Vittorio Caprioli; un padre di famiglia che stanco di dover coabitare con altre persone, affitta una grande casa a due piani a poco prezzo. In realtà l’edificio è un ex bordello sgombrato dopo l’approvazione della legge Merlin. La permanenza in quel palazzo farà ovviamente nascere equivoci e situazioni ironiche a non finire, ma poi tutto si sistemerà per il meglio. Memorabile l’ultima sequenza nella quale Totò dalla finestra grida verso un gruppo di soldati arrivati sotto casa sua per entrare in un quello che credono essere ancora un postribolo: ”Italiani rassegnatevi, ormai li hanno chiusi, arrangiatevi !”. Nel 1960 è Antonio Pietrangeli a firmare uno dei suoi film migliori che affronta con sensibilità il problema del reiserimento delle ex lucciole nella società. È Adua e le altre, raffigurazione graffiante e malinconica di quattro “signorine”, Adua (Simone Signoret), Lolita (Sandra Milo), Marilina (Emmanuelle Riva) e Caterina (Gina Rovere), che alla vigilia della chiusura dei luoghi di piacere, tentano di rifarsi una vita aprendo insieme una trattoria fuori porta. Purtroppo le donne si accorgeranno quando è difficile essere accettate dalla società perbenista e ipocrita che le costringerà a tornare al loro vecchio mestiere. Con il passare degli anni il fenomeno della prostituzione italiana subirà una profonda mutazione e un crudele imbarbarimento a causa della malavita che, come era prevedibile, si è impossessata di queste migliaia di disgraziate donne di nuovo costrette a vendere il proprio corpo per campare. Questo drammatico passaggio è ben raccontato da Carlo Lizzani nel 1975 in Storie di vita e malavita, girato in una Milano nebbiosa nella quale il racket della prostituzione minorile la fa da padrone. Ingenue ragazze del sud immigrate al Nord perchè allettate da false promesse e fanciulle della buona borghesia appartenenti a famiglie affettivamente disastrate datesi alla “vita” per rabbia e frustrazione, sono le vittime di lenoni violenti e crudeli. La pellicola, tratta da un’inchiesta giornalistica di Marisa Rusconi, ci offre uno spaccato sociologico davvero inquietante. Con il passare degli anni le “sgualdrine dal cuore d’ oro” saranno sostituite dalle nuove schiave del sesso provenienti dall’ Africa e dall’ Est europeo reclutate da una criminalità internazionale implacabile. Ormai la dolce e tenera Cabiria non esiste più!
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