Il suo nome è Mariuccia e di professione fa la commessa in una profumeria, la prima donna milanese nel cinema italiano protagonista di “Gli uomini che mascalzoni” diretto nel 1932 da Mario Camerini. In una Milano moderna e in profonda trasformazione raffigurata dalla Fiera Campionaria, tra automobili, biciclette, tram e le prime scritte della cartellonistica che anticipano l’imminente invasione della pubblicità di massa, nasca l’amore tra la ragazza (Lia Franca), figlia di un conducente di taxi e l’autista Bruno (Vittorio De Sica) che per conquistarla inseguirà in bicicletta il tram su cui lei è salita per andare al lavoro. Nel film di Camerini si vedono molte donne al lavoro, spia di un forte cambiamento della società italiana ancora agraria, ma che presto diventerà industrializzata. Nella Milano del dopoguerra che sta rinascendo con i suoi numerosi cantieri edili si svolge invece uno dei capolavori di Michelangelo Antonioni, “Cronaca di un amore”, 1950, più un noir che una commedia, girato negli anni in cui il neorealismo sta mutando pelle. L’affascinante Lucia Bosé, milanese di nascita, è Paola Fontana, moglie di un ricco industriale impegnata a passare le sue giornate vuote tra sartoria, shopping, serate alla Scala e al ristorante. Elegante nella sua lussuosa pelliccia la signora si muove per la metropoli alla ricerca di una soddisfazione interiore che non riesce a trovare. L’incontro con il suo amante di gioventù Giulio (Massimo Girotti) la spinge a desiderare di liberarsi del marito per vivere accanto all’uomo che ha sempre desiderato. I due preparano l’omicidio camuffato da incidente, ma le cose non andranno come previsto.. Antonioni attraverso lunghe inquadrature ci mostra una crudele rappresentazione dell’egoismo morale e dell’alienazione dell’alta borghesia. La nebbia e il cielo plumbeo che spesso calano su Milano sono chiaramente la metafora dell’oscuramento dei sentimenti di un mondo ricco e superficiale.
Dopo nove anni è Dino Risi a regalarci un altro ritratto di donna milanese, quello di Elvira Almiraghi interpretata da una strepitosa Franca Valeri nella commedia grottesca “Il vedovo”. Elvira, una manager di grande successo, ma di feroce antipatia, tiranneggia il marito Alberto Nardi (Alberto Sordi), un industriale romano megalomane capace solo di contrarre debiti. Per un equivoco la “sciura” Almiraghi sarà creduta morta per ventiquattro ore con grande gioia del presunto “vedovo”. Quando lei però ritorna viva e vegeta Alberto disperato progetta di liberarsi dell’insopportabile consorte. Ancora una volta però la sorte deciderà diversamente.. Nel ’65 tocca a Carlo Lizzani portare sullo schermo un altro personaggio femminile della metropoli lombarda con il film “Celestina P.R.” Un’ un’abile addetta alle pubbliche relazioni di nome Celestina lavora nel mondo degli affari in piena espansione negli anni del boom economico. In realtà però il suo ruolo è quello di procurare ragazze disponibili a facoltosi uomini d’affari, i “cumenda” in vena di divertirsi, con i quali Celestina poi riesce a chiudere affari e trattative commerciali di alto livello. Il film s’ispira vagamente a una commedia spagnola del Cinquecento, “La Celestina” di Fernando de Rojas, con l’intento di denunciare l’ipocrisia, il perbenismo dell’epoca e l’alienazione della società capitalistica industrializzata. Tra gli interpreti si notano Raffaella Carrà e Franco Nero agli inizi di carriera, mentre Celestina è la veterana Assia Noris, la diva per eccellenza dei film di Mario Camerini, nella sua ultima apparizione cinematografica. Nel ’60 Antonioni sceglie ancora la capitale lombarda per “La notte”, uno spaccato dell’ambiente borghese intellettuale milanese. La vicenda ruota attorno a Lidia (Jeanne Moreau), moglie di Giovanni Pontano, uno scrittore di successo che sta attraversando un periodo di crisi matrimoniale. La coppia dopo la visita in ospedale a un amico ormai prossimo alla fine e la presenza a un party letterario per l’ultimo libro di Giovanni, vaga per le strade della città completamente svuotata nei sentimenti. La sera nel corso di una festa mondana nella sontuosa villa di campagna di un grande industriale i due coniugi tentano di buttarsi entrambi in un’avventura sentimentale. All’alba però capiscono di poter salvare ancora il loro rapporto forse in corso di maturazione.
Nello stesso anno anche il grande Luchino Visconti è sul set nella nebbia e nel freddo milanesi per uno dei suoi film più famosi, “Rocco e i suoi fratelli”, storia della famiglia lucana Parondi trasferitasi al nord alla ricerca di un futuro migliore. Qui due dei fratelli, Rocco (Alain Delon) e Simone (Renato Salvatori) che si trovano a confrontarsi con una realtà sociale e culturale molto diversa dalla loro, intrecciano una relazione con Nadia (Annie Girardot), una donna lombarda inurbata decisa però a sollevarsi dalla sua condizione di prostituta, ma che troverà invece la morte. Nel ‘62 è ancora l’ambiente dell’alta borghesia al centro di “Una storia milanese” diretto da Eriprando Visconti, nipote di Luchino, qui al suo esordio dietro la macchina da macchina da presa. Su soggetto e sceneggiatura di Vittorio Sermonti, Renzo Rossi e del regista stesso, la diciottenne Valeria (Danièle Gaubert) lascia il fidanzato e si lega a Giampiero (Enrico Thibaut), un giovanotto vanesio e superficiale. Rimasta incinta la ragazza decide di recarsi in Svizzera per abortire rifiutando la sistemazione conformistica del matrimonio con il giovanotto che lei non ama. Nel ’62 ancora due figure femminili milanesi nel film a episodi “Boccaccio ’70”. Nel 1° Atto intitolato “Renzo e Luciana” per la regia di Mario Monicelli, protagonisti sono due giovani sposi operai nella stessa azienda costretti per contratto a nascondere il loro matrimonio, mentre nel 3° Atto, “Il lavoro”, con Romy Schneider, una contessa del dorato mondo milanese di nome Pupe costringe il marito, il conte Ottavio (Tomas Milian) coinvolto in un giro milionario di ragazze squillo, a pagare per punizione le sue prestazioni sessuali come una qualsiasi delle sue mercenarie dell’amore. Nei quartieri alti è nuovamente ambientato il film di Alberto Lattuada “L’amica”, 1969, con la bellissima Lisa Gastoni nei panni di Lisa, una moglie tradita che si vendica dell’amica Carla (Elsa Martinelli) rea di aver sparlato di lei seducendo con fredda determinazione il marito, l’amante e perfino il giovane figlio della donna. Chiude questa galleria di figure femminili milanesi una “straniera”, l’affascinante Tilda Swinson in “Io sono l’amore”, 2009, nel ruolo dell’algida e fredda Emma, moglie di Tancredi e madre di tre figli. I Recchi, una ricca famiglia industriale lombarda, vivono nella loro lussuosa villa in città, ma i sentimenti che albergano nei cuori di tutti sono gelidi. Solo l’amore improvviso di Emma per Antonio (Edoardo Gabbriellini), uno chef di talento, scuote gli equilibri faticosamente conquistati. Con l’avvento della globalizzazione e del profondo cambiamento in atto nella nostra società sicuramente il cinema italiano non mancherà di raccontarci ancora sullo sfondo della metropoli in divenire le speranze, le delusioni e le aspirazioni della nuova donna milanese.