Il clan dei Carradine: John, David, Keith e Robert, una vita per il cinema

Pubblicato il 11 Maggio 2023 in , , da Pierfranco Bianchetti
Carradine

John Carradine, nome d’arte di Richmond Reed, è stato il capostipite di una famiglia di attori. I suoi figli David, Keith e Robert hanno seguito la sua strada, partita da una famiglia di  origini genovesi, i Corradini

Milano, domenica 27 novembre 1988. Un signore anziano, alto, un po’ malandato di aspetto dopo aver visitato il Duomo comincia a salire i 257 gradini che portano sulla terrazza per vedere il panorama della città. Arrivato in cima si sente male e si accascia. Ricoverato all’ospedale Fatebenefratelli muore poche ore dopo senza riprendere coscienza. Un infarto lo ha stroncato. Lo sconosciuto è l’ottantaduenne John Carradine di Los Angeles, California, di professione attore. Proprio il leggendario Hatfield gentiluomo del sud e giocatore d’azzardo del film Ombre rosse (1939), diretto da John Ford. Con i suoi baffetti indimenticabili e il suo panama bianco, è uno dei passeggeri della diligenza che attraversa i territori del Nuovo Messico con a bordo il conducente, uno sceriffo, la moglie incinta di un ufficiale, una prostituta, un medico alcolizzato, un rappresentante di liquori e un banchiere ladro in fuga con i soldi rubati ai suoi clienti.

Ospite d’onore a Milano in occasione della rassegna dedicata ai quarant’anni del personaggio dei fumetti Tex Willer, Carradine è stato il capostipite di una famiglia di attori. I suoi figli David, Keith e Robert hanno seguito la sua strada ottenendo più successo di lui senza che la cosa lo abbia mai turbato. Richmond Reed, nato al Greenwich Village di New York il 5 febbraio 1906, da un padre avvocato, poeta, giornalista e da una madre medico chirurgo (ma le origini della sua famiglia sono italiane-genovesi, i Corradini) approda al teatro classico per amore di  Shakespeare (“Leggete quanto più Shakespeare potete. Chi è in grado di recitare Shakespeare, è in grado di recitare qualsiasi cosa” amava affermare). Esordisce poi nel cinema grazie alla sua voce baritonale ben impostata, al fisico asciutto e imponente e ai suoi occhi penetranti.

Ben presto sfonda a Hollywood con il nome d’ arte di John Carradine, diventando protagonista di celebri film quali Il segno della croce, Il prigioniero dell’isola degli squali, Maria di Scozia, La più grande avventura e Furore, dove si cala nei panni dell’ex pastore Casey che predica una sorta di socialismo umanitario durante la Grande Depressione. Seguono ancora L’ultimo urrà, L’ uomo che uccise Liberty Valance, Il grande sentiero e La casa degli orrori dove interpreta un Dracula da incubo. Negli anni Cinquanta inizia per lui il declino non riuscendo più a trovare personaggi di rilievo. Tra gli anni Settanta e Ottanta si ritaglia però una certa popolarità con il personaggio del Vampiro in molte produzioni.

Carradine
“America 1929, sterminateli senza pietà”

Carradine, il Vampiro disoccupato

Nel 1983 l’attore di passaggio a Roma dove è ospite d’onore, dopo Vincent Price e Cristopher Lee, del terzo Festival del Film fantastico, approfitta per l’occasione per lanciare un ”grido di dolore” nei confronti di Hollywood che lo ha dimenticato. “Vedendolo da vicino – scrive Michele Anselmi su ‘l’Unità’ del 19 ottobre -nelle sale dell’intonatissimo hotel in stile gotico a due passi dal Vaticano, è proprio come ce l’avevamo immaginato. Gli occhi azzurri, furbi e vivissimi, sanno ancora raggelare gli sguardi altrui come ai tempi di ‘Ombre rosse’; le rughe sono tante ma ben portate, e se non fosse per quelle mani atrocemente accartocciate nell’artrosi deformante, nessuno gli darebbe 77 anni. La prima cosa che dice con quella voce profonda che piacque a Griffith e a De Mille è ‘Buongiorno, sono John Carradine e ho ancora voglia di lavorare’. Quasi una presentazione alla John Ford. Semplice, efficace, concisa”.

I ricordi della sua carriera sono affascinanti: “John Ford? Era un tipo difficile, non sapevi mai come prenderlo. Ed era anche un magnifico imbroglione, nel senso che ti faceva provare e poi girava senza avvisarti perché così la scena veniva più autentica”. In quanto alla vecchia Hollywood l’attore afferma: “C’erano produttori geniali, con le idee in testa, che si inventavano dal niente le star. Se il soggetto era buono, si rischiava fino in fondo, senza paura. Oggi i produttori hanno la faccia da ragioniere e un assegno al posto del cuore. I divi li prendono dalla tv e il gioco è fatto”.

Orgoglioso delle sue esperienze teatrali che lo hanno formato come attore, non esita a spiazzare i giornalisti presenti: ”I film dell’orrore? No, non mi piacciono un granchè. Mi chiamano per interpretarli e io cerco di onorare bene il contratto, da quel buon attore che sono. Ma sono solo una piccolissima parte della mia carriera. Preferisco lo Skylock del Mercante di Venezia al mostro di Frankenstein”.

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“I cavalieri dalle lunghe ombre”

In occasione della sua scomparsa Tullio Kezich lo ricorda così: “Ma il sogno di Carradine era tornare sul palcoscenico con una propria compagnia e quando poté realizzarlo fece ‘Amleto’, ‘Il mercante di Venezia’, ‘Otello’ e poi, a Broadway ‘La duchessa di Amalfi’, ‘Volpone’, ‘La pazza di Chaillot’ e tanti spettacoli. Impicciato con l’alcool, sfortunato con le mogli, capostipite di un’intera dinastia di attori, John Carradine ci ricompariva davanti ogni tanto come ospite d’onore in qualche horror movie”. Benchè dichiarasse orgogliosamente “Non mi sono mai sentito fuori posto da nessuna parte”, negli anni di Hollywood aveva sperimentato di essere un personaggio fuori misura, troppo artista, idealista e ribelle. Fu sfruttato (Zanuck lo pagava 300 dollari la settimana e lo prestava ad altri produttori incassando cinque e sei volte tanto), spesso umiliato, quasi sempre male utilizzato. Ma quel che rimane di lui (pensiamo soprattutto ai personaggi fatti con Ford) è abbastanza per rendere indimenticabile il suo passaggio nel cinema.

Anche nelle sue legittime idee politiche John Carradine è spiazzante. Come il “falco” John Wayne è un repubblicano convinto, a differenza del democratico Henry Fonda. “Preferisco Reagan al quel mollaccione di Carter” afferma uno dei protagonisti di Furore, il film di John Ford che ha rappresentato il socialismo umanitario americano degli anni Trenta. Elegante e ironico come è sempre stato nella sua vita, l’attore racconta in uno dei suoi incontri con la stampa, di quando una stazione radiofonica statunitense annunciò la sua scomparsa. Senza scomporsi più di tanto l’attore telefonò al direttore dell’emittente annunciando con toni grave: “Salve, sono John Carradine, vi chiamo dalla mia tomba!”.

Originale sarà anche la sua uscita di scena dalla vita. La sua diligenza si è fermata a Milano, invece, che nelle pianure dell’Arizona come nei bei tempi d’ oro quando l’amico John Ford telegrafava a lui e ai suoi fedelissimi John Wayne, Henry Fonda, Ward Bond, Victor McLaglen: “Vi aspetto domani sulla Monument Valley. Si gira!”.

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“Il grande uno rosso”

David Carradine, il divo ribelle di Hollywood

Il 3 giugno 2009 in una stanza di un lussuoso hotel di Bangkok David Carradine viene trovato seminudo e impiccato con una corda da tende nella cabina armadio.  Sul suo corpo non vengono riscontrati segni di violenza e le autorità competenti non sanno dare una spiegazione alla sua drammatica fine. Nato l’8 dicembre 1936 a Los Angeles, David è figlio di John e di Ardanelle McCool. I suoi genitori divorziano quando lui ha solo otto anni. Ribelle di natura, David frequenta delle comunità hippies girando in lungo e in largo l’America.

Affascinato dall’arte, dalla letteratura, dalla musica, dalla scultura e soprattutto dalle arti marziali quale il Kung Fu, il giovane Carradine entra nel mondo dello spettacolo. Grazie alla sua abilità in questa disciplina viene scritturato per interpretare un guerriero orientale, il monaco errante di una serie televisiva di grande successo durata tre anni e costituita da 62 episodi (titolo Kung fu) che lo fa diventare un’icona delle arti marziali. Nel 1972 il regista Martin Scorsese lo chiama a interpretare il ruolo del sindacalista ucciso negli scontri sociali della Grande Depressione nel celebre film America 1929, sterminateli senza pietà e nel ’76 è Hal Asby a volerlo in Questa è la mia terra incentrato sulla figura di Woody Guthrie, uno dei più famosi interpreti della musica popolare americana. Per questo ruolo Davi ottiene una nomination all’Oscar.

Nel 1977 è Ingmar Bergman che lo sceglie per L’uovo del serpente, considerata una delle opere minori del grande regista svedese. ”Un genio assoluto – racconterà l’attore parlando di Bergman – gelido e cordiale allo stesso tempo. Aveva la capacità di farti sprofondare nella depressione e di consolarti con la luce della sua presenza”. Nel 1980 insieme ai fratelli Keith e Robert è protagonista di I cavalieri dalle lunghe ombre dedicato alla vita e alla morte del bandito Jesse James, curiosa pellicola nella quale recitano anche altri veri fratelli come Stacy e James Keach, Dennis e Randy Quaid, Nicholas e Christopher Guest.

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“Ombre rosse”

Pur non trovando mai una collocazione nell’industria cinematografica americana, David, uomo eccentrico e lontano dall’ambiente della Hollywood che conta, alterna produzioni di basso profilo arrivando ad interpretare anche otto o nove film, con periodi di inattività vissuti presso il suo ranch, tra cavalli, cani, cow boys e amici. Nel 2003 a 67 anni, dopo un periodo difficile tra alcol e droga, torna sul set richiamato dal regista Quentin Tarantino che gli offre l’occasione di rinascere con la saga noir Kill Bill Volume 1 e Kill Bill Volume 2, un ritorno nei panni del capo di una banda di killer presa di mira da Black Mamba.

“David – afferma l’autore di “Pulp Fiction” a Silvia Bizio su “la Repubblica” del 5 giugno 2009 –  che è stato sottovalutato da Hollywood, era felice ma io non avevo avuto dubbi: Bill poteva esserlo solo lui. Mi era piaciuto tanto che avevo perfino pensato di fare un cartoon in stile anime con la sua voce sulla giovinezza di Bill. Non abbiamo avuto il tempo ma ci siamo divertiti insieme a fare Hell Ride, scritto e diretto da Larry Bishop, che io ho prodotto, su una gang di motociclisti infernali”. La sua tragica scomparsa a 72 anni (probabilmente un gioco erotico finito male) avvenuta durante la lavorazione del film Strech per la regia di Charles de Meaux, desta grande impressione ad Hollywood. Con lui se ne va un importante esponente del clan dei Carradine.

Keith Carradine, l’eclettico interprete dei film di Robert Altman

Nato a San Mateo, in California l’8 agosto 1949, Keith Carradine, secondo figlio di John e di Sonia Sorel e fratello maggiore di Robert, segue corsi di recitazione all’università e poi debutta giovanissimo in produzioni teatrali quali Hair. L’esordio davanti alla macchina da presa avviene nei panni di un giovane cow boy in I compari (1971) di Robert Altman, regista con il quale girerà Gang (1974) e Nashville (1975). In quest’ultimo film Keith interpreta la parte di un musicista, grande seduttore di donne, che canta accompagnandosi con una chitarra da 12 corde, la bellissima canzone (da lui composta) I’m easy. Questo motivo indimenticabile lo porterà a incidere il suo primo long playing per la casa discografica Wes e gli farà vincere l’Oscar per la migliore canzone dell’anno.

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“La casa degli orrori”

“Keith – afferma il regista Robert Altman – ha la stoffa del cavallo vincente. Bravo, intonato e pieno di personalità. E poi anche se fosse scarso non ha importanza: le donne comprerebbero i dischi solo per avere le foto della copertina”. Successivamente l’attore diventa protagonista delle pellicole dirette da Alan Rudolph, un allievo di Altman, Welcome to L.A. (1977), Choose me (1984), Stati di allucinazione progressiva (1989), Moderns (1988). In L’imperatore del Nord (1973) per la regia di Robert Aldrich, grande film sulla Depressione degli anni Trenta, è al fianco di due mostri sacri quali Lee Marvin e Ernest Borgnine, nel ruolo di un giovane vagabondo.

Dopo il già citato film I cavalieri dalle lunghe ombre nel quale recita insieme ai fratelli David e Robert, ottiene un buon successo a Broadway nel musical Roy Rogers, ispirato alla vita e alla musica di un cowboy, attore e politico degli anni ’20. Nel ’86 gira per la regia del nostro Damiano Damiani il film in costume L’inchiesta, da un’idea di Flaiano e Suso Cecchi D’Amico, con la sceneggiatura di Vittorio Bonicelli e dello stesso regista. Il suo ruolo è quello di Tito Valerio Tauro, funzionario dell’imperatore Tiberio inviato in Palestina per indagare sulla scomparsa del corpo di Gesù dopo la crocifissione. Negli ultimi anni Keith lavora molto in televisione perché, come racconta al festival Torino Film festival 2011 dove è stato ospite, “Quel che viene prodotto oggi in tv è meglio dei film hollywoodiani di serie A”. Nel 2014 torna sul palcoscenico a Broadway per interpretare il musical Hands on a Hardboy.

Altri Carradine a Hollywood

La dinastia iniziata con il grande John Carradine prosegue con Robert, nato il 24 marzo 1954 a Los Angeles, fratello di Keith e David che dopo aver partecipato al film I cavalieri dalle lunghe ombre, è interprete di Tornando a casa di Hal Ashby e di Il grande uno rosso di Samuel Fuller. È soprattutto attivo in molte produzioni del cinema di serie B. E ancora Bruce (classe 1933), figlio di primo letto di Ardanelle McCool, adottato da John, è attore di secondo piano in cinema e televisione, mentre Michael Bowen, nato nel 1953, fratellastro di Keith e Robert, è attore caratterista a Hollywood. L’ultima del clan Carradine è Martha Plimpton (classe 1970), figlia di Keith appartenente alla terza generazione, presente in diverse serie televisive.

Carradine
“Questa terra è la mia terra”