Luisa Ferida e Osvaldo Valenti è stata la coppia più celebre del cinema fascista. Storia d’amore e di cinema tra i due famosi interpreti di tanti film avventurosi finita tragicamente
Milano, 30 aprile 1945, poco prima di mezzanotte. Piove a dirotto e la città è deserta. Un camion si ferma in via Poliziano, all’angolo di via Fauché. Alcuni partigiani della brigata Pasubio fanno scendere dal mezzo un uomo e una donna spaventati e smarriti. Sono i divi del cinema Luisa Ferida e Osvaldo Valenti. Davanti al numero civico 17 alla coppia viene ordinato di fermarsi, mentre i fari dell’automezzo la illumina. Poi due raffiche di mitra pongono fine alla loro vita. Da una vicina canonica un prete, don Adolfo Terzoli, vede la tragica scena e chiama un’ambulanza. Poi si avvicina e impartisce l’estrema unzione ai due corpi. La Ferida è già morta, mentre Valenti si spegne poco dopo e confermandosi attore melodrammatico fino all’ultimo minuto della sua esistenza, stringe in mano la scarpina di lana di suo figlio Kim morto dopo soli cinque giorni di vita nel 1942.
Finisce così tragicamente la storia d’amore e di cinema tra i due famosi interpreti di tanti film avventurosi e romantici che desterà molta impressione nell’opinione pubblica in quei giorni confusa ma anche felice per la fine di un incubo, per la caduta del fascismo e per il ritorno alla pace e alla democrazia.
Luisa Ferida e Osvaldo Valenti, coppia inseparabile
Bella, bruna, sensualmente aggressiva, Luisa Manfrina Farnet, in arte Luisa Ferida nasce in provincia di Rieti nel 1914 e giovanissima entra nella compagnia teatrale di Ruggero Ruggeri. Nel 1935 è a Cinecittà dove entra ufficialmente nel cinema grazie al suo fascino particolare. Alessandro Blasetti la sceglie come protagonista di Un avventura di Salvator Rosa, tratto da un romano di Ugo Scotti Berni, sceneggiato da Corrado Paolini, da Blasetti e da Renato Castellani. Protagonisti maschili sono Gino Cervi e l’antagonista Osvaldo Valenti, un attore nato a Istanbul nel 1906, che ha iniziato la carriera artistica a Berlino (parla con grande facilità quattro lingue) recitando in diversi film ma sempre in piccoli ruoli tra cui Rapsodia ungherese (1929). Stabilitosi definitivamente in Italia, Valenti è utilizzato in pellicole di genere sportivo come Cinque a zero (1932) di Mario Bonnard e in alcune commedie.
Nel ’37 Blasetti lo vuole per La Contessa di Parma e poi è per Ettore Fieramosca (1938), dove recita nei panni del duca francese Guy de la Motte. Sullo schermo il suo volto ambiguo e freddo è perfetto in ruoli di antagonista e molti registi fanno a gara per averlo nei loro film. Nel 1939 in Un avventura di Salvator Rosa avviene l’incontro magico con Luisa Ferida, un’attrice non ancora matura per il grande successo di pubblico.
“L’aveva voluta assolutamente Alessandro Blasetti, nonostante l’opposizione del noleggio, che non le aveva perdonato alcuni film sfortunati. E, a quanto racconta Blasetti, lei arrivata sul set, gli lasciò intendere che ‘non era affatto indifferente alla sua grinta di uomo e regista’. Blasetti pregò l’amico Valenti di spiegarle che lei era sì ‘una donna stupenda, ma che lui aveva altri interessi sentimentali’. Valenti glielo spiegò tanto bene che, dopo pochi giorni, e nonostante un precedente legame di Luisa, la loro storia d’amore era iniziata”(Il Cinema- Grande Storia Illustrata-Istituto Geografico Agostini Novara).
I due attori diventano inseparabili sul set e nella vita privata. Nel 1941 girano insieme La corona di ferro, ancora per la regia di Blasetti, con Gino Cervi, Elisa Cegani. La Ferida interpreta il ruolo della principessa Tundra, una donna dalla bellezza sfrontata e selvaggia (ma è anche la madre di Tundra da giovane) e Valenti recita nel personaggio di Eriberto, un principe tartaro feroce. Nel corso delle riprese l’attore viene ferito accidentalmente al volto ma rifiuta il ricovero in ospedale e insiste per non interrompere la lavorazione del film. Nel frattempo Luisa Ferida è ormai diventata una delle dive più popolari del cinema dell’epoca, stimata dal regime fascista. Ancora nel ’41 i due attori-amanti sono sempre sotto la guida di Blasetti per La cena delle beffe. Lei è Fiammetta e lui è il perfido Giannetto Malespini.
Osvaldo è un personaggio irrequieto e sopra le righe. Sul suo yacht ancorato a Fregene dove riceve i gerarchi e le loro amanti, diverte gli ospiti con feroci imitazioni del Führer (non ha mai nascosto il suo disprezzo per gli alleati tedeschi) ma è sempre alla ricerca di denaro per poter soddisfare la sua dipendenza dalle droghe. Quando il 25 luglio 1943 Mussolini viene destituito dal Gran Consiglio, il divo a Cinecittà festeggia la fine del fascismo, ma ben presto molti gli ricordano il suo legame stretto con il regime. La collega Elsa De Giorgi ricorderà che i due hanno poi pagato il loro successo e la loro ostentazione di ricchezza, mentre buona parte degli italiani tiravano la cinghia.
Nel 1943 Valenti recita nella pellicola diretta da Giorgio Pastina, Enrico IV, tratta dal dramma di Rosso di San Secondo e poi è al fianco di Luisa, protagonista di Bella addormentata di Luigi Chiarini, nel ruolo di Carmela, una povera ragazza destinata a morire d’amore, mentre il buono è Amedeo Nazzari. Uscita nel 1944, la pellicola, l’ultima realizzata a Cinecittà prima della trasferta a Venezia dove la neonata Repubblica di Salò ha trasferito quello che è rimasto del cinema italiano dilaniato dalle traversie della guerra, è considerata come la prova migliore di Valenti che nel ’44 Valenti recita ancora nei panni di un fuorilegge in Harlem di Carmine Gallone.
“Impostato su una gamma di espressioni non vastissima, ma ben distinte tra loro e articolate sulla doppiezza, il sadismo, la sensualità, il sarcasmo, l’inquietudine, Valenti si afferma come attore di buona levatura diretto da Luigi Chiarini in La bella addormentata (1942) come coprotagonista…” (C.C. Dizionario Universale del Cinema Fernaldo Di Giammatteo –Editori Riuniti).
La vita sregolata di Ferida e Valenti
Il legame sentimentale tra i due divi sarà sempre appassionato e violento anche a causa dell’uso e abuso di cocaina da parte di Valenti (anche Luisa ne sarà contagiata). Nel ’42 la donna mette al mondo un figlio, Kim, che muore pochi giorni dopo e provoca nei due artisti molta sofferenza e infelicità. L’irrequietezza e l‘incostanza di Valenti lo spingono a percorrere strade sempre più pericolose tra traffici illeciti e ricerca ossessiva di denaro che serve al suo alto tenore di vita malsano.
“L’attore nel frattempo si è arruolato nella X Mas di Junio Valerio Borghese, convinto che questo corpo militare può difendere gli italiani dagli invasori tedeschi e si aggira per Venezia sfoggiando la sua divisa di ufficiale e facendosi fotografare dalla Domenica del Corriere. I due divi, lo ricorda un articolo di Film d’oggi uscito dopo la Liberazione, vivono nel lusso sfrenato ‘con una piccola corte: il sovrintendente, l’amministratore, il segretario, il maggiordomo, la cuoca, i camerieri, il custode dei cani e un poeta: sì, anche un poeta privato per scrivere madrigali alla diva’. Per qualche tempo Osvaldo fu anche commissario per lo Spettacolo accanto al direttore generale Giorgio Venturini (e accarezza il sogno di dirigere un film tutto suo). Ma per poco. Aveva girato con Luisa, nei padiglioni abbandonati della Biennale diventati gli stabilimenti della nuova Cines, un film per la regia di Piero Ballerini, accanto a Cesco Baseggio e Wanda Capodaglio: Fatto di cronaca. Non si trattò certo di un successo. Qualcuno ne approfittò per attaccare Osvaldo per una fede fascista considerata troppo rigida. Aveva appena dato le dimissioni dal suo insostenibile ruolo di commissario che Luisa abortì’ un secondo, desideratissimo figlio”. (Il Cinema Grande Storia Illustrata Istituto Geografico De Agostini Novara)
I due attori decidono di trasferirsi a Milano. Osvaldo, stabilitosi in un lussuoso appartamento all’hotel Continental in via Manzoni frequentato da fascisti e nazisti, traffica illecitamente partite di carburante grezzo ed inizia a frequentare Villa Triste in via Paolo Uccello, sinistro luogo che i milanesi hanno imparato a evitare, dove la famigerata banda di torturatori e assassini diretta da Pietro Koch, porta i partigiani e gli antifascisti per costringerli a denunciare i loro compagni di lotta. Valenti, essendo conosciuto, è subito notato da aguzzini e vittime e quando la Liberazione si avvicina, seguendo il suo protagonismo irrefrenabile, cerca di contattare i partigiani per organizzare uno scambio di prigionieri.
La resa dei conti
Mentre Luisa Ferida è impegnata di uno spettacolo al teatro Corso, Osvaldo attirato in una trappola, si reca in un appartamento di via Guerrazzi al numero 18, (è la sede della brigata partigiana Pasubio) e viene arrestato dopo la delazione di un fascista che confessa di averlo visto numerose volte insieme ai torturatori di Villa Triste. Anche la Ferida viene fermata dai partigiani che portano la coppia in una cascina a Merzono, Baggio, alla periferia di Milano. “I due attori occupano un stanza al primo piano – scrive nel suo libro L’alba che aspettavamo di Edgarda Ferri, Mondadori – guardati a vista da una donna che si fa chiamare ‘signora Rossi’, e si è fatta consegnare 380.000 lire e il cofanetto di gioielli che la Ferida aveva portato con sé. Spesso, alla Cascina Merzono si fa vedere Giuseppe Marozin, nome di battaglia ‘Vero. Siete in buone mani’ li assicura. ‘Si tratta di lasciar passare un po’ di tempo, fra poco sarete liberi’.
Invece, Luisa è terrorizzata. Due giorni fa, la radio ha trasmesso la falsa notizia che Osvaldo è stato fucilato, e questa mattina il dottor Agnelli, proprietario della cascina, ‘per ordine del capo’ si è fatto consegnare dalla Signora Rossi il suo denaro e i suoi gioielli. Alla signora Rossi è stato riferito che il piccolo tesoro dell’attrice è stato presso in consegna da Carla Bossi, la segretaria di Marozin. Da due giorni, Luisa non esce più dalla sua stanza. Valenti ha raccontato alla signora Rossi che le crisi di pianto di sua moglie sono sempre più frequenti: la notte non riesce a dormire, di giorno non ha la forza di alzarsi dal letto. Marozin ha ordinato che alla Ferida sia concesso tutto ciò che desidera: la cascina Merzono è infatti il deposito di rifornimenti della Pasubio, le sue casse sono piene di cibo e liquori. Il processo a Valenti dura fino al tramonto. Marozin gli sorride spesso, gli lancia cenni d’intesa, come per fargli capire che è tutto un gioco, una messinscena. Valenti ammette di aver avuto rapporti con Pietro Koch solo perché gli procurava la cocaina. Nega insistentemente di aver partecipato o assistito alle torture dei partigiani. Sostiene di aver indossato la divisa della Muti ‘solo in quanto simbolo di dignità e di onore’. Quanto torna al piano di sopra, cerca di tranquillizzare sua moglie: ‘Ho chiesto e ottenuto un supplemento di istruttoria, ci sarà un secondo processo. E in ogni caso non vedi avere paura, il tuo nome non è mai stato fatto’. La chiama ‘Luisina’, le asciuga le le lacrime, ma lei non smette di piangere: ‘Io lo so che ci uccideranno’ continua a ripetere.”
La sera del 30 aprile 1945 dopo l’esecuzione dei due divi, il prete don Terzoli accompagna con l’ambulanza i due corpi all’obitorio civico dove i cadaveri sono talmente tanti da occupare i corridoi dell’istituto. Luisa Ferida e Osvaldo Valenti vengono poi sepolti uno accanto all’altra nel cimitero di Musocco a Milano dove ancora riposano.
Alla loro storia tragica è stato dedicato il volume di Romano Braccalini Celebri e dannati (1985); il film per la tv Gioco perverso di Italo Moscati (1993), con Ida Di Benedetto e Fabio Testi e il film Sanguepazzo di Marco Tullio Giordana (2008), con Luca Zingaretti e Monica Bellucci.