Nel 1993 Fellini riceve l’Oscar. Ringrazia con una frase rivolta alla moglie seduta in sala: “Thank you Giulietta, and please, stop crying!”. Federico Fellini e Giulietta Masina sono stati una delle coppie più celebri, e longeve, del cinema italiano
È l’autunno 1942 e negli studi della Eiar (Ente italiano audizioni radiofoniche) il giovane artista riminese Federico Fellini di ventidue anni, trasferitosi a Roma per lavorare al giornale satirico “Marc’Aurelio” come vignettista (la rivista in quegli anni ha una diffusione enorme), conosce Giulietta Masina, un’attrice dal naso buffo, gli occhi vispi e il sorriso timido, che ha un anno meno di lui. Eppure quegli occhi stregheranno il visionario Federico, già autore di copioni per la radio, impegnato nella lavorazione delle radio-avventure amorose di Cico e Pallina. Giulietta, oltre al Teatro Universitario dove canta e balla, ha deciso di lavorare in radio, per guadagnare più soldi.
“La ragazza stringe la mano a un giovanotto magro, alto, cordiale – scrive Tullio Kezich nel libro “Federico” (Universale economica Feltrinelli) – e tutto finisce lì. Solo qualche tempo dopo Federico telefona, allo scopo, o con il pretesto, di chiedere una fotografia. Aci, l’Alleanza cinematografica italiana, che è la casa di produzione di Vittorio Mussolini, figlio del Duce, sta preparando il film ‘Ogni giorno è domenica’, storia di due sposini scritta da Federico e potrebbe esserci una parte per la Duse del Teatro dell’Università. Così comincia la vicenda di un brevissimo fidanzamento e un lunghissimo matrimonio, nel puro stile del corteggiamento cinematografico: con la vaga richiesta di una fotografia per un film che si girerà (senza Giulietta e senza il nome di Fellini) due anni dopo nei padiglioni della Biennale veneziana adibiti a studio cinematografico durante la Repubblica di Mussolini”.
Il 30 ottobre 1943 Federico e Giulietta si sposano concedendosi solo una passeggiata fino al teatro dove recita il loro amico Alberto Sordi. E niente viaggio di nozze perché siamo nel pieno della Seconda guerra mondiale e Fellini che dovrebbe già indossare la divisa di soldato, è riuscito fino ad allora a schivare il servizio militare con alcuni trucchi da grande illusionista (approfittando della sua iscrizione a due anagrafi comunali, quella di Bologna e quella di Roma, evita di presentarsi alla leva obbligatoria).
Però, come ricorda ancora Tullio Kezich, una volta Fellini ha rischiato di essere arrestato per diserzione. È il 29 ottobre 1943 a Roma, dalle parti di Piazza di Spagna e nel corso di un rastrellamento il giovane artista viene obbligato a salire su di un camion tedesco. Allora fingendo di riconoscere un ufficiale della Wehrmacht che comanda il reparto di soldati tedeschi gli grida abbracciandolo “Fritz, Fritz”. Poi approfittando dello smarrimento dell’uomo scappa nella vicina via Margutta, fuggendo nella casa dove si nasconderà fino alla liberazione della Capitale da parte delle forze alleate nel giugno 1944.
Dopo aver ripreso a lavorare per il cinema (scrive in particolare i copioni dei film di Aldo Fabrizi), Fellini il 22 marzo 1945 diventa padre di Pier Federico detto Federchino, che un mese dopo, il 24 aprile, purtroppo muore. Per la coppia sarà un dolore molto grande, di fatto mai superato.
Giulietta Masina, l’indimenticabile Gelsomina di “La strada”
Nata a San Giorgio di Piano, presso Bologna, il 22 febbraio 1921, figlia di una maestra e di un professore di musica, Giulietta a quattro anni viene mandata a vivere a Roma presso una zia milanese rimasta vedova, che l’aiuta a coltivare il talento per la recitazione. Entrata nel Teatro Universitario, si mette in mostra nel ballo e nel canto in diversi spettacoli. Curiosamente però non sarà Federico a farla debuttare davanti alla macchina da presa, ma il collega Rossellini, offrendole una parte nel film Paisà (1946).
Nel 1948 l’attrice è scelta da Alberto Lattuada per il ruolo di una prostituta in “Senza pietà” (1948) che le fa vincere il primo dei suoi quattro Nastri d’Argento.
Scrive Ugo Casiraghi su l’Unità 24 marzo 1994 in occasione della scomparsa di Giulietta pochi mesi dopo quella del suo adorato Federico: “È l’attrice che ammiro di più”, parola di Charlie Chaplin. ‘L’Adamo da cui tutti discendiamo’ (parola di Federico Fellini) aveva espresso quest’opinione su Giulietta Masina, in un’intervista del 1966, dodici anni dopo La strada. In Francia il personaggio di Gelsomina, che doveva segnare la fortuna mondiale dell’interprete (oltre che dell’autore), era stato battezzato ‘Charlot donna’. Ora, da colui ch’era stato il vero Charlot, veniva la conferma. Giulietta poteva sentirsi appagata. Era un elogio che riempiva una vita. Tanto che per lei perdevano importanza perfino i quasi duecento premi raccolti dovunque nella sua carriera.
Eppure – prosegue Casiraghi- il paragone con Chaplin regge fino a un certo punto. Indubbiamente Gelsomina è una vagabonda, una reietta e un clown come Charlot. Veste cenci, calza scarpacce, sotto bombetta o cilindro il volto è impiastricciato. Ma diversa è la poetica. Buffa e lunare, scarmigliata e dolente, divisa tra stupore e sgomento, tra smorfie amare e rapimenti sognanti, Gelsomina è una vittima sacrificale. Charlot era un combattente. Non si faceva schiacciare dagli suoi omoni. Si ribellava alla soperchieria con le armi dell’astuzia, con micidiali punture di spillo e la tremenda vendetta del più debole. Invece Gelsomina ammansirà il suo Zampanò a furia di candore e di soggezione, e col suo martirio”.
La collaborazione sul set cinematografico tra Federico e Giulietta arriva dopo alcune valide prove di attrice nei film “Persiane chiuse” (1950), di Luigi Comencini ed Europa ’51, di Roberto Rossellini e in particolare dopo “Luci del varietà” (1950), debutto di Fellini nella regia insieme ad Alberto Lattuada. Nel ’52 è nel film “Lo sceicco bianco”, protagonista Alberto Sordi e con la Masina nel ruolo di Cabiria.
Nel ’53 è nel film di Carlo Lizzani Ai margini della metropoli, un buon dramma sociale e Donne proibite (1954) di Giuseppe Amato, dedicato al tema scottante delle case chiuse.
Uscito nel ‘54 La strada è il più grande dei sette film girati con il marito. Leone d’Argento alla Mostra di Venezia, Oscar come miglior film straniero nel ’56, l’opera è una favola sulla solitudine che racconta la storia di tre anime semplici in grado di rappresentare, secondo lo stesso Fellini, tre aspetti dell’animo umano: Zampanò (Anthony Quinn), il Matto (Richard Basehart) e Gelsomina, con la splendida fotografia in bianco e nero di Otello Martelli. Prodotto in economia da De Laurentiis (solo 70 milioni di lire) che aveva appena concluso la sua esperienza cinematografica con Carlo Ponti, il film con le belle musiche del grande Nino Rota, avrebbe dovuto essere interpretato dalla moglie del produttore Silvana Mangano, da Burt Lancaster al posto di Anthony Quinn e da Alberto Sordi invece che Richard Basehart.
La scelta del ruolo di Zampanò, affidato a Anthony Quinn, è merito della Masina. Nel ’53 lei aveva lavorato insieme al grande attore hollywoodiano nel già citato “Donne proibite”. Giulietta aveva guardato con attenzione Quinn e avevo detto al marito: ”Ho trovato Zampanò, è lui che devi prendere, è perfetto per la parte”.
La prima apparizione pubblica del film avviene durante la Mostra del Cinema di Venezia, la sera del 6 settembre 1954. Federico e Giulietta sono accolti con freddezza e la Giuria del Lido in difficoltà con il gruppo dei felliniani e quello dei viscontiani che avrebbe voluto premiare “Senso”, finiscono con favorire l’accademico “Romeo e Giulietta” di Renato Castellani, “Senza accorgersi peraltro – come scrive Maurizio Porro – di “La finestra sul cortile di Hitchcock”.
La critica in particolare è confusa e spiazzata dal film di Fellini, come ricorda Ugo Casiraghi: “La strada nella sua compattezza di apologo morale al limite dell’astrazione, si caricava improvvisamente d’una valenza ideologica inattesa. Obiettivamente, in quel tempo di contrapposizione frontale, faceva l’effetto di rinnegare il neorealismo, d’essere l’altra faccia della medaglia, una faccia che non ci piaceva. Ciò naturalmente a prescindere da ogni intenzione e suggestione puramente lirica. Giulietta Masina vi offriva una prova decisiva, più tardi reiterata con Le notti di Cabiria. Per la prima volta gli stracci che avvolgevano Gelsomina e Cabiria, emarginate e diseredate di tutto, non disturbavano il potere. Erano donne innalzate a categorie dello spirito, creature aurorali che si avvicinavano al miracolo della grazia i loro sfruttatori e persecutori. Neorealistica rimaneva la cornice: un circo ambulante, la periferia battuta dalle prostitute.
Mettetevi, se potete, nei nostri panni di freschi reduci dalle appassionate e perfin furibonde battaglie per difendere il neorealismo di Rossellini, di Visconti, di De Sica e Zavattini, di Giuseppe De Santis o magari di Pietro Germi, beninteso, non riconciliati e con nessuna predisposizione a cambiare. Pur avendo partecipato al movimento, Fellini risultava ai nostri occhi un transfuga, fin troppo prono a quel potere clericale che del neorealismo era stato il nemico e l’affossatore. Su l’Unità, dunque, ‘giustiziammo’ “La strada” con una durezza ch’era il frutto d’una delusione profonda. Tanto più che dopo “I vitelloni” si era pronti a scommettere sul suo autore. Ed ecco con nuovo poema Fellini virava di bordo: ci sembrava, in buona sostanza, che l’artista superasse ma insieme tradisse se stesso. Da qui la nostra reazione senza dubbio eccessiva”.
E nonostante queste polemiche, la pellicola di Fellini colpisce i membri dell’Academy of Motion Pictures di Hollywood che devono decidere l’assegnazione degli Oscar 1957.
La sera del 27 marzo al RKO Pantages Theatre di Los Angeles la preziosa statuetta va La strada nella categoria per il miglior film straniero, tra la commozione di Fellini e della Masina presenti in sala. Finita la cerimonia in una delle tradizionali cene riservate e eleganti organizzate dalle Major, la nostra attrice timida e sperduta, la Gelsomina minuta e poetica inventata dalla penna di Ennio Flaiano, si trova a sedere a tavola a fianco di Clarke Gable “Il re di Hollywood”. Lei rossa in volto osa dirgli con un filo di voce “Mr. Gable sono onorata di essere al suo fianco”. E lui confermando la sua fama di gentiluomo, le risponde “No, lei ha vinto l’Oscar e perciò stasera sono io a essere onorato di starle vicino!”. E con grande stupore della Masina il divo amatissimo in tutto il mondo le chiede anche l’autografo!
Del ’57 è “Le notti di Cabiria”, probabilmente il miglior film della coppia, che rivince l’Oscar per miglior film straniero, sceneggiato dal regista insieme a Tullio Pinelli ed Ennio Flaiano, con i dialoghi del film a cura del giovane Pier Paolo Pasolini. Cabiria, la Masina, è una piccola prostituta sfruttata da tutti che però trova la forza di non perdere fiducia nella vita e negli altri. Il regista non esita a far emergere in questo film la sua origine culturale cattolica, realizzando un inno alla speranza di una prostituta (Giulietta Masina), che nella vita ha conosciuto solo disgrazie. Un’opera dai forti contenuti morali premiata dall’Ufficio Cattolico Internazionale del Cinema al Festival di Cannes, ma non molto apprezzata dalla critica di sinistra.
Nel ’58 Giulietta gira “Fortunella” per la regia di Eduardo De Filippo, una commedia popolaresca in cui è l’amante di un rigattiere trafficone di nome Peppino (Alberto Sordi) per il quale finisce in galera. Nello stesso anno è in “Nella città l’inferno” di Renato Castellani, film famoso per l’incontro tra la Masina e Anna Magnani, le due dive più popolari dell’immediato dopoguerra. Lina (Giulietta Marina) è una povera servetta veneta che finisce nel carcere romano delle Mantellate, dove conosce Egle (Magnani), malvivente incallita che comanda di fatto la galera. La pellicola definita postneorealista, mette a confronto il talento e la personalità delle due attrici italiane.
“Paragonata a Stan Laurel, a Barrault e a Marceau – scrive Gian Piero Brunetta su La Repubblica 24 marzo 1994, in occasione della scomparsa di Giulietta Masina – si è detto che reincarnava i Pierrot della commedia dell’arte. E se a farle raggiungere i risultati più memorabili furono i film del marito, da “Luci del varietà” a “Ginger e Fred”, molti altri ruoli ne dimostrarono il talento e la capacità d’interiorizzazione dei personaggi: dal debutto con Lattuada in “Senza pietà” fino agli originali televisivi “Eleonora” e “Camilla”.
Nel 1965 l’attrice è protagonista di Giulietta degli spiriti, per certi versi considerato il film forse meno riuscito di Fellini ma che fare i conti con l’ingombrante Sandra Milo.
La sua carriera prosegue con La gran vita (1960), di Julien Duvivier, La pazza di Cahillot (1969), di Bryan Forbes, La signora delle neve (1985), un film per bambini del regista slovacco Jurai Jakubisko, tratto dalla favola dei fratelli Grimm e Sogni e bisogni (1985), di Sergio Citti. Nello stesso anno è protagonista, al fianco dell’amico Marcello Mastroianni, di Ginger e Fred. I due attori interpretano una vecchia coppia di ballerini impegnati ad imitare Fred Astaire e Ginger Rogers in uno show televisivo. Il film di Fellini è un duro atto di accusa contro la volgarità moderna, rappresentata da un network televisivo che allude senza mezzi termini all’impero Berlusconi ormai pronto a divorare il pubblico italiano.
Grande popolarità ottiene l’attrice nello sceneggiato televisivo, Eleonora, ambientato nella Milano del secondo Ottocento tra due nascite, quella della borghesia imprenditoriale e quella del movimento artistico della Scapigliatura. Lo sceneggiato in costume del 1973, permette alla Masina di emergere in due aspetti importati dell’opera, il rapporto con la famiglia borghese e quello della bohéme irregolare. Tre anni dopo arriva un nuovo successo sempre in televisione con Camilla, ancora d’ambientazione milanese ma sullo sfondo della Resistenza, con la figura di una madre coraggiosa e indipendente.
Federico Fellini, il visionario
Federico Fellini, “il più italiano dei registi italiani”, secondo Ugo Casiraghi, ci ha lasciato in eredità indimenticabili immagini di bellezza, degradazione, sensualità e corruzione. Il cinema non poteva che essere per lui il più naturale e logico mezzo di espressione per utilizzare al meglio la sua infinita e fervida fantasia invettiva, capace di costruire sequenze cinematografiche inimitabili. Il suo cinema, spesso caratterizzato da connotati autobiografici, (“Nei miei film devo essere sincero per forza”, egli ha più volte confessato), è anche fortemente attratto dal mondo dello spettacolo e dallo spettacolo della vita.
La dura realtà che si scontra con le illusioni prodotte dal fotoromanzo è il tema di “Lo sceicco bianco” (1952), a cui fa seguito l’anno dopo il bellissimo “I vitelloni”, storia di cinque amici che trascorrono oziosamente le giornate nella pigra monotonia della provincia. Il film, Leone d’Argento alla Mostra del Cinema di Venezia, riscuote un grande successo di pubblico ed inoltre premia Fellini come un autore di calibro internazionale. Dopo “La strada”, nel 1955 gira “Il bidone”, opera sottovalutata nella filmografia felliniana e incentrata su di un truffatore nascosto sotto la veste di un vescovo.
Il Fellini più maturo pone invece il suo occhio indagatore sull’erotismo presente in “La dolce vita” (1960), film che ha marcato un’epoca, quella del boom, della motorizzazione, dei mass media e della volgarità, mentre nel ’63 è la volta di “8 e1/2″, intima confessione sui ricordi di un regista in crisi professionale e di identità. Nel 1976 firma con “Casanova” la rivisitazione del mito del seduttore visto però come una condanna e nel 1969 “Fellini Satyricon” (1969), tratto dal romanzo di Petronio. Impossibile non ricordare nella sua straordinaria filmografia “Roma” (1972), una sorta di documentario fantastico e lo splendido “Amarcord” (1973), autobiografia della sua infanzia riminese nella quale pubblico e privato si mescolano in un’infinità di memorie ironiche ed affettuose.
Gli ultimi anni di Fellini e Masina
Fellini, dopo aver girato l’apologo “Prova d’orchestra” (1979), una riflessione sugli anni della contestazione giovanile e le sue conseguenze, firma nel 1980 “La città delle donne”, un’opera ancora in parte autobiografica caratterizzata da un’inventiva ricchissima. Nel ’83 è la volta di “E la nave va”, il viaggio di un piroscafo, il Gloria N., nel 1914 alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, da Napoli al Mar Egeo. Secondo Italo Calvino il film è “una storia che funziona perché la nave che affonda è il grande mito del nostro secolo, e come in tutti i miti sappiamo già dall’inizio come andrà a finire, e la nostra partecipazione consiste nel modo di indentificarci con questa storia”.
Dopo “Intervista” (1987), un piccolo e garbato film nel quale il grande regista italiano rilasciata un’intervista a una troupe giornalistica giapponese tra ricordi, realtà e fantasia, Federico realizza nel 1990 “La voce della luna”, interpretato da Paolo Villaggio e Roberto Benigni, ispirato al romanzo “Il poema dei lunatici” (1987) di Ermanno Cavazzoni.
Il 29 marzo 1993 al Dorothy Chandler Pavilion di Los Angeles Fellini riceve l’Oscar alla carriera pronunciando una frase famosa rivolta a sua moglie seduta in sala e molto commossa: “Thank you Giulietta, and please, stop crying!”.
Poco più di due mesi dopo il regista il 16 giugno viene operato al cuore presso un ospedale di Zurigo, ma il 3 agosto successivo, mentre è in vacanza al Grand Hotel di Rimini, è colpito da un’ischemia. Dopo un periodo di riabilitazione presso un centro specializzato di Ferrara, viene trasferito al Policlinico Umberto I di Roma per stare vicino a Giulietta malata gravemente. Il 17 ottobre, una domenica, Fellini riceve il permesso di uscire dall’ospedale e pranza con la moglie e alcuni amici in un ristorante. Poi ritornato all’ospedale cade in un coma irreversibile.
Il 31 ottobre muore, il giorno dopo l’anniversario dei 50 anni di matrimonio. La sua salma il 2 novembre viene esposta al Teatro 5 di Cinecittà, dove ha girato la maggior parte dei suoi film. Giulietta, distrutta dal dolore e dalla malattia, lo segue quasi cinque mesi dopo, il 23 marzo 1994. I due artisti riposano insieme nel Cimitero Monumentale di Rimini.
Si conclude così una storia d’amore durata una vita intera, quella di Federico e Giulietta, una delle coppie più celebri del cinema italiano.
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