Marlene Dietrich e Jean Gabin, un grande amore impossibile

Pubblicato il 30 Aprile 2025 in , , da Pierfranco Bianchetti
Dietrich

Dietrich, donna anticonformista e spregiudicata, ha nel corso della sua vita tanti amori. Ma il destino le riserva l’incontro con Jean Gabin, uno degli attori francesi più immortali. Un amore grande, ma impossibile

Berlino. La sera del 1° aprile 1930 al cinema Gloria- Palast tutto è pronto per dare il via a una serata speciale. Per la prima volta in assoluto viene presentato al pubblico il film “L’angelo azzurro” diretto dal regista Josef von Sternberg e interpretato da una nuova attrice, la bellissima Marlene Dietrich. La pellicola è stata realizzata in realtà per dare lustro a Emil Jannings, attore tedesco numero uno, che invece viene cancellato dal magnetismo erotico di Lola Lola (la Dietrich), una splendida sciantosa dalle gambe bellissime ricoperte di seta scura con mutandine di pizzo e cilindro bianco che canta con voce roca e suadente in un fumoso cabaret.

Quella sera nasce uno dei miti indimenticabili della storia del cinema. Il delirio che si impadronisce del pubblico soprattutto maschile è immenso. Dopo soli 15 giorni l’attrice è celebre in tutta Europa imponendosi come una moderna femme fatale e dopo sei mesi anche in America la stampa parla di lei. ”Marlene Dietrich canta e parla senza nessuna fatica…”. Hollywood come sempre ha subito intuito il talento dell’artista tedesca e la Paramount Pictures le offre un contratto di sette anni per contrastare la fama di Greta Garbo, altra esule europea e cavallo di razza della concorrente Metro.

Nata il 27 dicembre 1901 a Schöneberg, sobborgo di Berlino, Marie Magdalene allevata da un ufficiale prussiano di nome von Losch (diventerà Marlene Dietrich utilizzando il cognome del vero padre morto nel 1907), dopo aver vissuto diversi anni in un collegio a Weimar, è avviata alla carriera di violinista studiando presso la Scuola Superiore di Musica della capitale tedesca, ma in seguito a una tendinite è costretta a mettere da parte il violino per dedicarsi alla recitazione. Entra come allieva nel prestigioso Deutschen Theater, diretto da Max Reinhardt.

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“Il porto delle nebbie”

Nel maggio 1923 sposa l’aiuto regista Rudolf Sieber e nel 1925 nasce sua figlia Maria. Dopo 17 film e una ventina di spettacoli teatrali, grassottella, goffa e priva di fascino, la ventinovenne Magdalena von Losch è scelta dal regista Josef von Sternberg come interprete di “L’angelo azzurro”. Come sempre accade nella vita il destino gioca le sue carte. “Abbiamo una bella scelta di sederi, ma non abbiamo una faccia giusta” commenta l’operatore alla macchina da presa Gunther Rittau durante il casting sfogliando le foto di tante aspiranti attrici. “E’ vero – risponde Sternberg – per ora la faccia non c’è, ma le gambe di questa ragazza parlano” indicando la Dietrich, cui va la parte.

Quando arriva nel porto di New York l’eccitazione per la sua presenza è grande e gli incaricati della Paramount si danno da fare per presentare la nuova diva ai giornalisti. “Dice Marlene: ’Salirono sulla nave e videro che indossavo un tailleur da viaggio. Dissero che non potevo presentarmi a quel modo. Anche se molto perplessa dovetti scendere dalla nave in abito nero con pelliccia d visone. Erano le dieci del mattino di un bel giorno di sole” (Marlene Dietrich “Ciak in tasca ” – Silvio Berlusconi editore).

Di colpo Marlene è una diva con tanto di segretaria, di limousine con autista, di villa a Beverly Hills circondata da un parco dove può organizzare favolosi ricevimenti. Fino al 1935 la nuova diva gira sette film diretti dal suo pigmalione Sternberg, tra i quali i celebri “Marocco”, “Shangai Express”, “L’imperatrice Caterina”. L’anno successivo il ministro Josef Goebbels tenta di riportarla in Germania offrendole un contratto da favola (220 mila Reichsmark e libertà assoluta nella scelta dei copioni e dei registi), ma lei rifiuta sdegnosamente voltando le spalle alla sua patria ormai in preda all’isteria nazista. Anzi, nel 1939 dopo aver recitato in “Partita d’azzardo” di George Marshall con James Stewart, prende la cittadinanza statunitense lavorando con i più grandi cineasti quali Ernst Lubitsch, Billy Wilder, Alfred Hitchcock, Orson Welles, ma tenendo sempre i piedi per terra. “Da Lola Lola in poi, con la mia immagine, ho fatto sognare milioni di persone. Ma non mi sono mai lasciata coinvolgere fino in fondo nel mio personaggio. Io, nella vita di ogni giorno, non sogno. Vivo e basta”.

Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale è impegnata senza sosta nel deliziare con i suoi spettacoli e le sue canzoni le truppe al fronte in Africa, in Italia e Francia tanto che il governo americano la premia con la “Medaglia della libertà”, un’altissima onorificenza cui si aggiunge anche la decorazione come Cavaliere e Ufficiale della Legione d’Onore francese. Dietrich, donna anticonformista e spregiudicata, ha nel corso della sua vita tanti amori ad Hollywood con uomini e si sussurra anche con donne. Ma il destino riserva per lei un incontro che cambierà la sua vita sentimentale.

Dietrich e l’incontro con Jean Gabin, dagli occhi azzurri

È il 1941 quando Jean Gabin, l’attore che più di tutti ha rappresentato la Francia del Fronte Popolare, decide di lasciare il suo paese asservito ai conquistatori nazisti con la complicità della Repubblica di Vichy. Dopo aver espatriato clandestinamente attraverso la Spagna e il Portogallo, Gabin s’imbarca a Lisbona su di una nave destinazione gli Stati Uniti d’America, approfittando di un’offerta di lavoro che Hollywood gli ha fatto avere. Raggiunta Los Angeles, Gabin che non parla inglese, cerca di inserirsi nella nuova realtà. Fortunatamente incontra tra gli esuli francesi gli amici Jean Renoir e Julien Duvivier. Mentre si è insediato in uno degli alberghi più costosi della metropoli californiana, riceve una telefonata. É Marlene Dietrich, la femmina che tutti gli uomini non solo americani sognano e desiderano. I due si erano conosciuti in occasione del film “Dedee D’Anvers” che avrebbero dovuto girare insieme in Francia, ma poi il progetto erano svanito.

Il brontolio irripetibile, gli occhi semiaperti, il viso perennemente imbronciato, lo scuotere la testa in segno di diniego, sono le caratteristiche più significative di Jean Gabin, uno degli attori francesi più immortali, il leggendario interprete di decine e decine di pellicole entrate a far parte della storia del cinema. La sua formidabile carriera cinematografica, iniziata nel 1930 dopo un duro apprendistato nel varietà parigino, ha lasciato un’impronta indelebile nella storia del cinema francese e non solo.

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Marlene Dietrich e i marinai americani

Nato il 17 maggio 1904, dopo il suo debutto al Vaudeville il 14 aprile 1923 con lo spettacolo “La Revue du vaudeville de Rip2, comincia a frequentare i set cinematografici chiamato a impersonare ruoli brillanti ancora ben lontani da quel mauvais garçon di “La bandera” (1935), “Il bandito della Casbah” (1936), “Il porto delle nebbie” (1938), “L’angelo del male” e “Alba tragica”, entrambi del 1939, film d’alta drammaticità che lo renderanno popolarissimo. E’ l’interprete per eccellenza del cinema del Fronte popolare, il periodo francese che va dal 1934 al 1937, la grande speranza rivoluzionaria rappresentata dagli operai, dagli intellettuali e dai militanti della sinistra, decisi a trasformare radicalmente la nazione sotto la spinta di forti cambiamenti sociali e politici.

Quest’importante stagione contagia anche la cinematografia francese guidata, tra gli altri, da grandi autori quali Jean Renoir, (regista del capolavoro La grande illusione, 1937); Marcel Carné, Julien Duvivier, insieme a formidabili soggettisti e sceneggiatori come il poeta Jacques Prévert e lo scrittore Francis Carco. Jean Gabin riesce a imporsi come il simbolo di quell’epoca (detta anche “realismo poetico”), l’idolo di milioni di lavoratori che s’identificano in lui nel buio delle sale cinematografiche. I suoi personaggi, proletari con il maglione alto, il basco in testa e la bicicletta, sono uomini pronti ogni giorno ad affrontare duri sacrifici, ma anche in grado di vivere spensieratamente il tempo libero nelle tipiche balere frequentate dalla povera gente tra balli, canti e tanti bicchieri di vino buono.

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Dietrich e Gabin, una passione grande ma impossibile

Marlene ha molto ammirato Jean in “La grande illusione” e la sua telefonata al collega francese (“Jean, c’est Marlene!”) è apprezzata da Gabin che divide con lei gli stessi valori democratici. I due si rivedono. “I capelli quasi bianchi, il volto abbronzato e gli occhi meravigliosamente azzurri. Non è un intellettuale, ma è un attore di grandi risorse. Marlene si innamora di lui. Gli dedica il suo tempo, gli fa visitare Hollywood, lo obbliga a partecipare ai ricevimenti e lo consola perché Gabin è molto triste, non sopporta di vivere brillantemente mentre in Francia i suoi parenti patiscono la fame. Non dimentica di aver lavorato come muratore e compensa con la sua incontestabile virilità le doti di intellettuale che avevano attratto Marlene in Remarque. Di lui Marlene dice: “L’ho amato molto. L’ho aiutato a superare mille ostacoli. Lottavamo insieme, mano nella mano. Girò qualche film ma poi si arruolò nelle Forces Françaises Libres. Voleva andare a combattere e io lo capivo. Ero sua madre, sua sorella, la sua amica e anche qualcosa di più. Gabin era l’uomo, il superuomo, l’uomo di una vita. L’ideale che ogni donna cerca” (Marlene Dietrich “Ciak in tasca” Silvio Berlusconi editore).

Jean si dimostra un allievo promettente e ben presto può recitare davanti alla macchina da presa in inglese nel suo primo film in terra americana dal titolo “Moontide” (1942, in italiano “Ondata d’amore”) da un romanzo di Williard Robertson, diretto da Archie Mayo e Fritz Lang (anche se quest’ultimo non risulta accreditato ufficialmente), prodotto dalla Twentieth Century Fox- Film Corporation, la storia di Bobo (Jean Gabin), un uomo che vive su di una chiatta e si mantiene vendendo esche ai pescatori. Un giorno conosce Anna (Ida Lupino, attrice e poi regista di fama). La coppia decide di sposarsi, ma il giorno delle nozze Tiny (Thomas Mitchell), un individuo poco raccomandabile, cerca di fare del male a Bobo incolpandolo ingiustamente della morte di Pop Kelly, un socio dello stesso Bobo, cercando anche di violentare sua moglie Anna. Ma la sua malvagità verrà punita.

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Marocco” con Gary Cooper e Marlene Dietrich

L’attore francese gira poi una nuova pellicola, “The Impostor” (L’impostore) di Julien Duvivier, prodotto dall’Universal Pictures che esce nelle sale nel 1944. L’azione si svolge il 18 giugno 1940, protagonista Clément (Gabin), che dovrebbe essere ghigliottinato, ma un provvidenziale bombardamento aereo gli salva la vita. Per sfuggire alla giustizia assume l’identità del sergente Lafarge ucciso in uno scontro con i nemico e si arruola nelle forze francesi libere dimostrando coraggio che gli fa guadagnare il grado di tenente. Successivamente smascherato da un commilitone del vero Lafarge, viene degradato ma si riscatterà partecipando ad un’azione molto pericolosa che gli permetterà di morire con onore.

Come sappiamo la passione tra Marlene e Jean è travolgente perché la coppia condivide molte cose come l’essere due star internazionali, soffrire per il cinema di casa propria e nonostante le attenzioni che Hollywood riserva loro, seguire con ansia le sorti dei loro paesi d’origine in guerra. Ancora di Gabin nella sua autobiografia Marlene afferma: “Era buono e tutti quanti cercavano di imitarlo. Ma era una testa di mulo, un essere estremamente geloso. Tutte queste qualità mi piacevano e non abbiamo mai litigato seriamente…”.

Dopo un anno di convivenza a Los Angeles vicino agli stabilimenti cinematografici, i due attori si sistemano in un nuovo appartamento, ma ben presto le loro strade si divideranno per far fronte ad impegni legati alla lotta contro il nazismo. Nell’aprile del ’43 Jean torna in Europa per combattere al fianco degli Alleati, mentre Marlene va in tournée a cantare per le truppe angloamericane.

Nell’inverno 1944 vicino a Bastogne la Dietrich viene a sapere che il fronte verrà rafforzato dalle truppe francesi. Allora senza temere il pericolo di essere ferita dal fuoco tedesco, va a cercare il suo uomo arruolato nella seconda divisione blindata. “Mi misi a correre – racconta la diva nel suo libro di memorie “Marlene D.” – cercando dei capelli grigi sotto un elmetto di fuciliere di marina. Quasi tutti i soldati erano dei ragazzi. Tranquillamente seduti contemplavano il tramonto. Improvvisamente lo vidi, di spalle. Gridai il suo nome, lui si voltò e disse: Merde!”. Tutto qui. Saltò giù dal suo carro armato e mi strinse. Aveva appena ripreso fiato che suonò la tromba per ordinare l’allineamento dei carri armati. Risalì sul suo e ben presto non ci fu che una nube di polvere nel rombo dei motori. Era ripartito…”.

La guerra è finita, ma anche l’amore è destinato alla conclusione

Nel maggio 1945 l’Europa finalmente si ritrova a vivere in pace dopo la sconfitta del nazifascismo. Marlene si stabilisce a Parigi accanto a Jean Gabin, che dal luglio di quell’anno dopo aver compiuto il suo dovere di soldato (è stato congedato con onore), è tornato alla vita civile e alla sua professione, attore di cinema. I due innamorati tentano di convincere Prevért a scrivere un film per loro da fare dirigere a Marcel Carné, ma il progetto non va in porto. Però riescono a recitare insieme nel film “Martin Roumagnac” (Turbine d’amore, 1946) diretto da Georges Lacombe e tratto dal romanzo omonimo di Pierre-René Wolf.

La storia ruota attorno a Blanche Teffand (Marlene Dietrich), un’avventuriera affascinante e di buone maniere che arriva in una cittadina di provincia decisa a sposare il console de Laubry, la cui moglie è gravemente ammalata. Ma una serata conosce Martin Roumagnac (Jean Gabin), un imprenditore edile che si invaghisce di lei. Inizialmente Martin è per la donna un diversivo ma poi anche lei se ne innamora. Alla morte di sua moglie, de Laubry mette alle strette la donna che vuole sposare al più presto, ma Martin, terrorizzato dall’idea di essere lasciato da lei, la uccide. Al processo però l’uomo verrà assolto per mancanza di prove.

Il film purtroppo si rivela un vero e proprio flop coincidendo con la fine dell’amore tra Jean e Marlene. Gabin si è ormai allontanato dalla donna con cui ha condiviso gioie e dolori. La Dietrich, anche perché a corto di soldi, decide così di tornare ad Hollywood non senza aver dichiarato pubblicamente il suo amore infinito per lui: “Jean Gabin aveva i più bei lombi mai visti in un uomo, quel punto ultimo della bellezza maschile dove il torso si unisce ai fianchi”.

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“L’angelo azzurro”

Jean Gabin e il cinema francese del dopoguerra

Ripresi gli abiti civili, nel luglio 1945, l’attore tenta con difficoltà di reinserirsi nuovamente nel mondo della celluloide, ma le parti che gli sono offerte non sono proprio memorabili. Fortunatamente è Marcel Carnè che gli viene in soccorso affidandogli un ruolo di un certo prestigio in “La Vergine scaltra” (1949), un film tratto da Simenon, cui fa seguito “Il piacere” (1951) di Max Ophuls. Capelli imbiancati, corporatura robusta, camminata lenta e sguardo annacquato, Jean nel 1953 non si lascia sfuggire l’occasione rappresentata da “Grisbi” (1954), un noir diretto da Jacques Becker, che sfonda al botteghino, facendogli riconquistare i favori del pubblico più popolare. Da quel momento la sua carriera proseguirà ininterrotta, spesso nei panni di un incanutito tombeur de femmes caratterizzato da amarezza e ambiguità (La vergine scaltra, 1950 di Marcel Carné; La ragazza del peccato, 1958 di Claude Autant-Lara), ma anche di gangster o di sbirro (Il re dei falsari, 1961 di Gilles Grangier; Maigret e il caso Saint Fiacre di Jean Delannoy, 1959).

Successivamente Gabin, un po’ appesantito dalla ‘bonne cuisine du pays’, la cucina francese tradizionale, è entrato per così dire nella terza fase del suo percorso artistico, dove appare patriarcale e in parte misantropo, ma anche generoso ed ironico incarnando sotto il segno di Simenon un grande  Maigret in tre film; poi interpretando uno statista di prestigio in Il presidente (1960) di Henri Verneuil e padrino di nuove generazioni d’attori come Lino Ventura (Grisbì), Jean-Paul Belmondo (Quando torna l’inverno, 1962), Alain Delon (Colpo grosso al casino, 1963), Gèrard Depardieu (L’affare Dominici, 1973).

“Da borghese e da anziano –  scrive Ugo Casiraghi, “l’Unità2 15 novembre 1986 – Gabin seppe imprigionare il suo antico vitalismo e volgerlo a una nuova, variopinta valorizzazione dei propri talenti, del proprio fascino inimitabile e della propria grinta. Il lavoro gli era caro perché era stato quello di tutta una vita, l’unico che sapesse fare e che faceva al meglio. Non più un mito, certamente. Ma un mestierante di prestigioso livello, un caratterista-protagonista di sicura presa sul pubblico. E pare proprio che, alla distanza, la sua immagine di dominatore dello schermo non si sia affievolita. Anzi”. Quando morirà il 26 novembre 1976 a 72 anni, la Francia intera lo piangerà.

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Marlene Dietrich e i fans

Il ritorno sulla scena internazionale della Lola Lola di L’angelo azzurro

Tornata a Hollywood nel 1949, Marlene Dietrich trova pronto l’amico Billy Wilder, anche lui regista esule in America con passaporto statunitense, che le offre la parte di una nazista in “Scandalo internazionale”. All’inizio l’attrice è quasi offesa per la proposta, ma poi capisce che il ruolo è interessante. Benchè attratta dall’idea di riprendere il teatro, non può dire di noi al grande Hitchcock che la vuole assolutamente per il suo “Paura in palcoscenico” (1950) e nel 1958 è la volta di “Testimone d’accusa”, diretto ancora da Billy Wilder e tratto dall’omonimo commedia di grandissimo successo scritta da Agatha Christie, nel ruolo di una donna tedesca sposata durante la guerra ad un americano (Tyron Power), accusato dell’omicidio di una ricca vedova. La sua colpevolezza sembra certa, ma la testimonianza di una misteriosa signora dall’accento cockney favorirà la sua assoluzione. Il finale sarà a sorpresa.

Nel 1958 a Marlene viene offerto da Orson Welles ancora un ruolo da caratterista di lusso in “L’infernale Quinlan”, quello di Tanya, la tenutaria di un bordello, amica del corrotto capitano di polizia Quinlan.  Negli anni Cinquanta e Sessanta alternando il cinema con le sue acclamate performance sul palcoscenico, la Dietrich cerca di ritagliarsi un ruolo nella ricostruzione dell’immagine devastata della Germania sconfitta, ma è solo nel 1960 che rimette piede sul suolo tedesco per partecipare al film Vincitori e vinti, ultimo vero congedo dallo schermo (l’addio definitivo davanti alla macchina da presa è del 1979 con l’insignificante “Gigolò” di David Hemmings).

Nei panni della vedova di un generale tedesco dà il meglio di sé con un’interpretazione dal sapore vagamente autobiografico, al fianco dell’ottimo Spencer Tracy, anziano onesto giudice arrivato dalla provincia americana per presiedere il processo di Norimberga contro i dirigenti nazisti. Negli anni Sessanta e Settanta la diva gira i palcoscenici esibendosi in applauditissimi concerti in Olanda, Australia, Gran Bretagna. Poi il ritiro dalle scene e l’isolamento dal mondo chiusa nella quiete del suo appartamento parigino, fino alla sua scomparsa avvenuta il 6 maggio 1992.

L’8 maggio 1992 nel cimitero di Schöneberg sobborgo di Berlino, la bara contenente le spoglie di Marlene Dietrich, viene sepolta accanto alla tomba della madre. Il feretro è avvolto nella bandiera a stelle e a strisce come estrema volontà della grande diva tedesca, per ricordare al mondo la sua cittadinanza americana. La cerimonia è però disturbata un gruppo inferocito di cittadini berlinesi che esprimono così il loro incivile dissenso per il tradimento dell’attrice che molti anni prima aveva lasciato la Germania di Hitler per gli Stati Uniti, diventando l’emblema per eccellenza della lotta al nazismo. Si chiude così l’ultimo atto di un amore grande ma impossibile, quello tra Jean Gabin e Marlene Dietrich.

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