Dopo le elezioni europee in cui gli italiani, non senza un coup de théâtre, hanno sì scelto di criticare l’Europa ma non si sono schierati apertamente per un suo non meglio precisato smantellamento, il premier Renzi si prepara al semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea. Un compito che spetta all’Italia dopo 11 anni. L’ultima volta era stato nel lontano 2003 e la prossima non sarà prima del 2020. A dire il vero non si tratta esattamente della stessa cosa. Nel 2003 il semestre comprendeva anche la Presidenza del Consiglio europeo, ovvero l’organo ‘principe’ dell’Ue che riunisce i capi di stato e di governo, mentre oggi è il Presidente Van Rompuy – peraltro in uscita – che ai sensi del Trattato di Lisbona ricopre tale carica, lasciando al paese presidente di turno un ruolo in larga misura tecnico-segretariale. Messa così, ci si potrebbe quasi abbandonare ad un laconico ‘molto rumore per nulla’, ma le cose non stanno esattamente in questo modo.
L’affermazione di Renzi alle elezioni europee, la contestuale necessità di rinnovare le principali cariche europee e di continuare a curare i malanni dell’Eurozona – anche attraverso il definitivo avvio dell’unione bancaria e la lotta alla disoccupazione, soprattutto giovanile – rendono il semestre di Presidenza italiana politicamente molto rilevante. Anzi, si potrebbe considerare un’occasione irripetibile per l’Italia per dimostrare di essere in grado non solo di rispettare – con estrema fatica – i vincoli di Bruxelles, ma anche di essere propositiva e indicare un nuovo percorso per l’integrazione europea che piaccia da Londra a Berlino, da Parigi ad Atene.
Di fronte ad un compito così gravoso, il governo italiano ha già indicato che farà dell’anti-austerità e del rilancio di crescita e occupazione il leitmotiv della sua Presidenza. Cosa questo voglia dire nel concreto è stato compreso un po’ meglio nel corso del vertice svoltosi tra Ypres e Bruxelles il 26 e 27 giugno: di certo non la cancellazione dei vincoli europei – a partire da quelli tristemente famosi su deficit e debito – quanto piuttosto una interpretazione più ampia delle clausole legata alle circostanze straordinarie già indicate nei Trattati e negli accordi europei esistenti, permettendo così di spezzare il circolo vizioso tra il pur necessario rigore di bilancio e la drastica riduzione degli investimenti produttivi. Questa è una strada ‘a Trattati costanti’ già indicata dalla Commissione europea, che nei mesi scorsi ha proposto l’introduzione di ‘contratti’ che permettano di scambiare maggiori investimenti con riforme strutturali basate su una chiara e, auspicabilmente, non modificabile tabella di marcia in cui la tempistica venga indicata con ‘tedesca’ precisione. Detto in altri termini, la Commissione europea continuerà a vigilare sul rispetto del fatidico 3% del rapporto deficit/Pil ma potrà decidere di non aprire una procedura di infrazione tenendo conto di quegli investimenti legati al rilancio della crescita, soprattutto se inseriti in un chiaro quadro di riforme strutturali. Quindi, non si potrà sforare, ma l’eventuale sforamento potrà essere interpretato con maggiore benevolenza. Si potrebbe addirittura pensare che stiamo ottenendo dalla Germania quello che noi avevamo contribuito a darle nella nostra precedente Presidenza del 2003, ovvero una interpretazione meno ‘stupida’ dei vincoli di bilancio. Sempre che ovviamente la nuova interpretazione non risulti ancora più ‘stupida’ della precedente, e non rappresenti un incentivo a un ‘azzardo morale’, come quello in cui sono incorsi molti paesi Ue negli anni immediatamente precedenti la crisi. La cancelliera Merkel e i paesi del nord dell’Eurozona hanno già messo le mani avanti: questo semplicemente non accadrà.
Oltre ai vincoli di bilancio, gli altri cavalli di battaglia della presidenza italiana riguarderanno essenzialmente il lavoro e l’immigrazione, ma sempre con la stessa logica: essere prima credibili a casa per poi pretendere passi in avanti dall’Europa. Riguardo al lavoro, si propone di rendere permanente la Youth Guarantee che impiega già 6 miliardi del bilancio comunitario, di cui circa 1,5 miliardi destinati solo all’Italia. Va accolta positivamente la decisione del governo italiano di posticipare da luglio al prossimo autunno il summit europeo sul lavoro. Come essere credibili nel chiedere di più all’Europa se le Regioni italiane sono già in ritardo nella firma delle convenzioni che permetterebbero loro di accedere ai fondi europei? E ancora, come esserlo se il Jobs Act deve ancora passare al vaglio del Parlamento italiano? Meglio prendersi un po’ di tempo, approfittandone magari anche per chiarire come si intendono pagare gli oltre 90 miliardi di debito della pubblica amministrazione, di cui al momento solo 24 miliardi sono stati sbloccati, tanto che il Commissario uscente Antonio Tajani ha dovuto avviare una procedura d’infrazione contro l’Italia. Certo, rispettare i 60 giorni imposti da Bruxelles per i pagamenti sarà difficile dato che l’Italia ce ne mette oltre 200; il governo tuttavia potrà presentare un piano credibile di pagamenti se a questo si accompagnerà l’agognata flessibilità europea sul rispetto dei vincoli di bilancio.
Anche in merito all’immigrazione, l’Italia dovrà continuare a fare la propria parte, anche mediante Mare Nostrum, prima di chiedere un rafforzamento di Frontex e un maggiore impegno europeo.
In entrambi i casi non bisogna comunque cadere in facili illusioni. Riguardo alla Youth Guarantee infatti i fondi stanziati sono già modesti rispetto ad una disoccupazione giovanile che tocca il 23,5% nell’Eurozona e difficilmente si potranno trovare molte altre risorse tra le pieghe del bilancio comunitario, sempre fermo all’1% del Pil europeo.
E le aspettative non potranno essere molto alte anche in merito alla gestione comune dei fenomeni migratori. Il Commissario Cecilia Malmström ha già fatto sapere dalle colonne del Wall Street Journal che al momento mancherebbero le coperture finanziarie. Inoltre i Trattati non saranno toccati e quindi le politiche di immigrazione rimarranno saldamente nelle mani degli stati membri. Certo, l’Europa potrà e dovrà far di più, ma è inutile illudersi che si prenderà carico degli sbarchi a Lampedusa.
Tutto sommato quindi nel valutare con equità quanto l’Italia potrà fare durante il proprio Semestre di Presidenza bisogna tener conto dei vincoli esistenti e non aspettarsi nulla di eclatante, per il semplice fatto che tutto dovrà accadere a bocce ferme, ovvero con i Trattati che abbiamo. Quello che invece può essere politicamente davvero eclatante è l’atteggiamento che l’Italia potrà assumere: fare bene in casa propria prima di pretendere impegni dai partner europei. Si tratterebbe, in fin dei conti, di un recupero di credibilità del nostro paese. Probabilmente il miglior lascito che ci possiamo augurare dal prossimo semestre.
di Antonio Villafranca, ISPI Senior Research Fellow e Head del Programma Europa dell’ISPI.