Ho l’otite, ho appena perso un lavoro, non ho i soldi per pagare le tasse perché sto pagando quelle di due anni fa. Oggi mi sono detta: “Dai, adesso vai a comprare un paio di gratta e vinci (cosa che non faccio mai) e vedi se la fortuna ti aiuta.” Be’, all’edicola avevano finito i gratta e vinci. Ho pensato che in giro ci dev’essere tanta disperazione e che tanti ormai ragionano come ho fatto io per un attimo, altrimenti almeno un gratta e vinci da un euro l’avrei trovato. Non confortante. Ho avuto il sospetto che ciò fosse una spia dei nostri tempi tribolati. Torno a casa e aprendo il frigo mi si rompe una bottiglia di vino da dieci euro, con i vetri mi faccio tagli a mani e piedi. L’ho comprata ieri, tornando da un hospice dove ero andata a salutare a una cara persona. Quando vai in questo genere di posti sai che il saluto è l’ultimo. Non l’ho comprata per cercare di dimenticare, perché dimenticare non serve. L’ho comprata e basta, senza pensare a niente, concentrandomi sulla vita.
Non so se ho fatto bene o male a procedere a tale acquisto, se sia giusto, di fronte al dramma di una povera anima, egoisticamente pensare alla propria personale consolazione. Francamente non mi interessa stabilirlo. Mi dispiace di non averla bevuta, quella bottiglia, questo sì. Ho pensato che lui sarebbe stato contento di condividerla con me, e forse il fatto che sia caduta a terra rompendosi è stata una forma di condivisione. Abbiamo rinunciato entrambi, ma infine idealmente eravamo insieme. Ho pensato a quante volte nella vita speriamo che stia per arrivare quello che possiamo chiamare il nostro tempo, quella che definiamo la nostra occasione. Penso ai molti fallimenti più o meno dolorosi ai quali siamo soggetti, destinati, se vogliamo condannati. Non è interessante sapere se sia o meno giusto che ciò accada, che alcuni debbano subire di più e altri meno. Non è interessante per niente stabilire ciò. È una magra consolazione sapere che c’è chi sta peggio e una triste vittoria essere consci di avere avuto maggiore buona sorte.
A volte quel tempo che nei nostri beati sogni riteniamo nostro non arriva mai, e non so se sia vero che l’importante è sognare, in questo mondo. So solo che viviamo in tempi in cui, così come chiudiamo a chiave le nostre speranze, chiudiamo negli hospice chi sta morendo. Perché non vogliamo vedere, perché preferiamo fare finta che certe cose non esistano. Noi ci vogliamo efficienti e brillanti a ogni età e in ogni giorno e momento e pensiamo che il dolore e la depressione siano cose da mettere in un angolo, alle quali non bisogna pensare. Troppo spesso ci convinciamo che siano i vincenti coloro che ci devono ispirare, ma forse non capiamo bene cosa voglia dire vincere, nella vita.
Tante volte mi sono chiesta quando sarebbe arrivato il mio tempo per vincere e altrettante volte ho avuto il sospetto che all’incirca non sarebbe arrivato mai. Ultimamente ho avuto alcune riconferme, cala che mi fossi illusa del contrario. Non mi sono arresa e non credo che lo farò prossimamente. Devo diventare saggia, quindi da fare ne ho, prima di raggiungere la meta. Mi viene in mente Buzz Lightyear, l’astronauta giocattolo di Toy Story, il quale per mezzo film (il primo) si illude si essere un eroe spaziale in grado di volare e poi amaramente scopre di essere un balocco per bambini che volare non sa. All’inizio si deprime, poi reagisce e decide, malgrado i suoi limiti, di gettarsi ugualmente nel vuoto, perché, pure se non sa volare, sa cadere con stile. Volare e cadere con stile sono cose molto simili, più di quanto si pensi. È solo il pilota che fa la differenza.