La bandiera rubata e la piccola Gloria
In questi giorni mi sono chiesta molte volte cosa rappresenti per me l’Italia. La prima cosa mi viene in mente è mio bisnonno Angelo, un normalissimo fante (lui era molto scocciato di non aver fatto l’alpino) a cui durante la Grande Guerra gli Austriaci spararono nella schiena perché era penetrato nel loro accampamento una notte per recuperare la bandiera italiana che loro avevano sottratto e offendevano urinandoci e sputandoci sopra. Gli diedero la medaglia d’oro e la croce di guerra, per questo gesto che si potrebbe definire inutile, se vogliamo. Fosse inutile per tutto il mondo, per me non lo è.
Poi c’è Joan, neozelandese di nascita, ma cittadina italiana, che dice che gli Italiani sono bella gente e, quando lo va affermando, ne è davvero convinta; Joan si offende a morte quando qualcuno la chiama inglese e non italiana. Come osano? Poi mio marito, che sta cercando di far entrare nel patrimonio Unesco le palafitte che studia, costruite migliaia di anni fa da Italiani lontani anni luce da noi. Sarà banale, ma per me l’Italia è Roma, anche se sono una donna del Nord, e ogni volta che alzo gli occhi per guardare il soffitto della Cappella Sistina mi commuovo, pensando a Michelangelo e a tutti i suoi colleghi miei compatrioti, che hanno fatto quello che hanno fatto.
Ma la prima cosa che da oggi ricorderò sono i miei figli che a scuola prima di uscire hanno cantato insieme ai loro compagni l’Inno di Mameli. C’erano bambini di tutti i tipi e di tutti i colori: sono i futuri genitori dei nostri nipoti e bisnipoti, i padri fondatori della prossima generazione. Erano bellissimi, lo saranno ancora di più i loro figli, perché mischiarsi e diversificarsi fa diventare più belli in tutti i sensi, sempre.
Abbiamo passato cinquemila anni a ricostruire su dove avevamo precedentemente costruito, creando quella stratificazione meravigliosa che è la nostra patria. Un’attività da cretini, a pensarci bene, ma il risultato è sorprendente. Noi siamo un po’ così: mezzi sorprendenti e mezzi cretini. In queste settimane saremo schiacciati dalla retorica. Pazienza. La retorica non sempre fa male, non sempre è negativa. Dipende da chi la fa e da come la si usa e la si dosa. Dovremmo saperlo, visto che siamo un popolo vecchio, a volte troppo vecchio, e disincantato, a volte troppo disincantato. Forse dovremmo fermarci un secondo, guardarci intorno, vedere cosa abbiamo fatto di male e di bene, nel primo caso incavolarci e nel secondo incantarci.
Tutte le volte che sento l’Inno di Mameli mi viene da piangere, un po’ per gioia e un po’ per disperazione. È un atteggiamento molto lontano dal mio modo austero e controllato di gestire le emozioni, ma è sempre stato così, non so perché. Oggi per la prima volta nella mia vita non ho cercato di nascondere le lacrime e non mi sono vergognata. Mentre ascoltavo ho visto mio bisnonno da giovane con la sua bandiera, mio figlio maggiore che cantava tenendo per mano Gloria, la bambina extracomunitaria di cui è innamorato, il minore vicino alla piccola Paola, siciliana di aspetto normanno, e gli uomini preistorici che piantavano i pali per costruire le palafitte. Ho pensato che c’è ancora speranza. Italiani pizza, spaghetti e mandolino. Sì, e allora?
Sono napoletano,quindi faccio parte di quella popolazione italiana sottoposta alle denigrazioni più impensabili,mi sembra come se a Napoli fosse concentrata tutta la cattiveria del mondo,ma naturalmente non è così.Non sono ne sudista ne nordista,sono italiano e le sue parole mi hanno riempito di orgoglio.Concordo pienamente con tutto ciò che ha scritto,e Le dico,grazie.Viva la Sua vita sempre in letizia.